Domicilio digitale degli amministratori: Unioncamere chiarisce, nessuna scadenza fissata dalla legge

Secondo quanto affermato da diverse Camere di commercio italiane, tra cui quelle di Milano, Torino, Bergamo, Lecce e Padova, non è previsto alcun termine sanzionabile entro il 30 giugno 2025 per il deposito del domicilio digitale (PEC) da parte degli amministratori delle società iscritte al 1° gennaio 2025. Le Camere di commercio hanno reso nota questa posizione per chiarire le interpretazioni diffuse da organi di stampa e alcune campagne pubblicitarie che indicavano tale data come una scadenza ufficiale.

L’obbligo di comunicazione della PEC degli amministratori è stato introdotto con la Legge di Bilancio 2025 (legge n. 207/2024), articolo 1, comma 860. Tuttavia, nella formulazione della norma non viene indicato alcun termine specifico entro cui adempiere all’obbligo. Inoltre, nessuna sanzione viene espressamente prevista dalla legge nel caso di mancata comunicazione della PEC entro una certa data.

Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha fornito una prima lettura della disposizione, che lasciava intendere la presenza di un termine, ma tale indicazione non ha fondamento normativo. A questa prima lettura ha fatto seguito una nota ufficiale di Unioncamere del 2 aprile 2025, in cui si richiede un chiarimento da parte del Ministero stesso. La risposta del Ministero è ancora attesa.

Secondo quanto riferito, le Camere di commercio hanno assunto una posizione comune secondo cui non sussistono né il termine del 30 giugno né l’applicabilità di sanzioni, basandosi sulla formulazione letterale della norma e sulla normativa vigente in materia di sanzioni amministrative.

L’articolo 2630 del Codice civile prevede infatti che le sanzioni amministrative siano applicabili solo quando un soggetto, obbligato per legge, omette un adempimento nei termini prescritti. In assenza di un termine definito per legge, la sanzione non può essere applicata. Inoltre, l’articolo 1 della legge 689/1981 stabilisce che «nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge» che definisca in modo esplicito tempi e modalità della violazione.

Le Camere di commercio sottolineano anche che, ai fini delle notifiche da parte della Pubblica amministrazione o di soggetti privati, l’unico indirizzo PEC valido resta quello della società pubblicato nel Registro delle imprese, come previsto dal 2008. Le PEC degli amministratori, che potranno essere inserite dal 1° gennaio 2025, non sono rilevanti per tali notifiche ufficiali.

La disposizione della Legge di Bilancio introduce dunque un obbligo formale, ma senza l’indicazione di una scadenza né la previsione di una sanzione, come previsto dai criteri normativi per la validità delle sanzioni amministrative. In questo contesto, Unioncamere ha richiesto un chiarimento definitivo da parte degli uffici del Ministero competente, in merito alla corretta applicazione della norma.

Aggiornamento del 25 giugno 2025 – Differimento del termine per il domicilio digitale

Con avviso del 25 giugno 2025, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha disposto il differimento al 31 dicembre 2025 del termine per la comunicazione del domicilio digitale da parte degli amministratori di imprese costituite in forma societaria e già iscritte alla data del 1° gennaio 2025. Il provvedimento integra le indicazioni fornite con la precedente comunicazione del 12 marzo, garantendo un’applicazione uniforme delle disposizioni previste dall’art. 1, comma 860, della legge n. 207/2024.

Per ulteriori chiarimenti il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

La gestione delle spese di trasferta rappresenta un aspetto rilevante nell’ambito fiscale e amministrativo per tutte le imprese che prevedono attività fuori sede per dipendenti e collaboratori. Tali spese, infatti, non solo incidono sulla contabilità aziendale, ma sono anche soggette a specifiche normative fiscali relative alla loro deducibilità.

Quando un lavoratore dipendente o un collaboratore coordinato e continuativo presta temporaneamente la propria attività lavorativa lontano dalla propria sede abituale, l’azienda può scegliere di corrispondere somme a titolo di indennità di trasferta oppure rimborsare le spese sostenute dal lavoratore.

Tre sono i principali sistemi di rimborso riconosciuti dal TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi): forfetario, misto e analitico. La scelta del sistema influisce direttamente sul trattamento fiscale delle somme versate al dipendente e sulla loro deducibilità per l’impresa.

Dal 2025, il rimborso delle spese per vitto, alloggio, viaggio e trasporto mediante servizi non di linea (ad esempio taxi o NCC) non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente solo se effettuato con metodi di pagamento tracciabili.

Le somme versate a titolo di indennità, invece, possono essere parzialmente o totalmente tassate, essendo considerate un compenso per il disagio subito dal lavoratore durante la trasferta.

Per quanto riguarda le limitazioni specifiche alla deducibilità per l’impresa, il TUIR stabilisce dei limiti giornalieri per le spese di vitto e alloggio quando la trasferta è svolta fuori dal comune della sede abituale di lavoro. In particolare, è previsto un limite massimo di deduzione di € 180,76 al giorno per trasferte effettuate in Italia e di € 258,23 per quelle all’estero, applicabile esclusivamente ai rimborsi analitici (a piè di lista).

Inoltre, nel caso il dipendente utilizzi un veicolo personale o noleggiato specificamente per la trasferta, la deducibilità dei rimborsi chilometrici è ammessa nel limite del costo sostenuto per veicoli con potenza non superiore a 17 cavalli fiscali o 20 CV fiscali se diesel.

Dal 2025 è introdotto l’obbligo di utilizzare metodi di pagamento tracciabili per le spese di vitto, alloggio e per i servizi di trasporto pubblico non di linea, affinché queste siano deducibili fiscalmente.

Ai fini documentali, la deducibilità è subordinata alla presenza di una nota spese redatta dal dipendente, accompagnata dai documenti giustificativi originali o comunque validi per comprovare l’effettività della spesa sostenuta durante la trasferta. Tali documenti non devono necessariamente essere intestati al datore di lavoro o al dipendente stesso, purché dimostrino chiaramente il luogo e la data della trasferta.

Nel caso specifico dei rimborsi chilometrici, è richiesta una documentazione dettagliata degli spostamenti effettuati con indicazione dei chilometri percorsi. Non è richiesto che i biglietti di mezzi pubblici siano nominativi per essere validamente documentati.

Le spese sostenute devono necessariamente essere correlate al luogo e al periodo della trasferta per essere considerate valide ai fini della deducibilità. Inoltre, è indispensabile la tracciabilità dei pagamenti relativi a queste spese a partire dal 2025.

Sotto il profilo contabile, le somme corrisposte a titolo di indennità di trasferta compongono la retribuzione lorda e vengono classificate come indennità nella voce B.9.a del bilancio. Diversamente, le spese per vitto, alloggio, viaggi, trasporti e rimborsi chilometrici vengono inserite nella voce B.7, trattandosi di erogazioni effettuate attraverso il dipendente per il pagamento diretto di servizi e non come compensi aggiuntivi.

Infine, l’IVA non volontariamente detratta dalle spese di trasferta non risulta deducibile ai fini della determinazione del reddito d’impresa. Per quanto concerne l’IRAP, invece, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che i rimborsi chilometrici non sono deducibili.

Se avete bisogno di chiarimenti o di assistenza dedicata, il nostro staff qualificato è pronto a fornirvi tutto il supporto necessario.

FAQ

Cosa si intende per rimborso analitico?

Il rimborso analitico, o a piè di lista, avviene quando il dipendente presenta una nota dettagliata delle spese sostenute, accompagnata da documentazione valida.

Quali sono i limiti giornalieri per dedurre spese di trasferta in Italia e all’estero?

I limiti giornalieri per le spese di vitto e alloggio sono rispettivamente € 180,76 per le trasferte nazionali e € 258,23 per quelle all’estero.

È sempre obbligatoria la tracciabilità delle spese?

Dal 2025, sì. Tutte le spese di vitto, alloggio e trasporti devono essere effettuate con mezzi di pagamento tracciabili per essere deducibili.

Quali documenti occorrono per la deducibilità delle spese?

Occorre una nota spese accompagnata da documenti validi come biglietti di trasporto, ricevute o documenti commerciali, anche non intestati.

 

Tabella Riepilogativa

TIPO SPESA DOCUMENTO GIUSTIFICATIVO OBBLIGO TRACCIABILITÀ DEDUCIBILITÀ COSTO PER IMPRESA
Vitto e alloggio Fattura intestata al datore di lavoro 75% nel comune, 100% fuori comune (limite di €180,76/giorno in Italia, €258,23/giorno all’estero per rimborso analitico)
Vitto e alloggio Documento commerciale (non intestato) 75% nel comune, 100% fuori comune
Viaggio e trasporto Biglietto mezzi pubblici, scontrino parcheggio*, ecc. (non intestato) No 100%
Viaggio e trasporto Ricevuta taxi, NCC, ecc. 100%
Spese non documentabili Dettaglio analitico nella nota spese anche in assenza di documenti giustificativi No 100%
Rimborsi chilometrici Foglio viaggi No 100% (entro limite costo percorrenza veicoli max 17 CV fiscali/20 CV fiscali se diesel)


Secondo l’Agenzia delle Entrate (Risposta 31.1.2019, n. 5), il parcheggio non è considerato una spesa di viaggio e trasporto.

 

Con l’approvazione definitiva del Decreto Fiscale n. 155 del 19 ottobre 2024, il panorama normativo fiscale italiano si arricchisce di importanti novità. Questo intervento legislativo è stato concepito per rispondere alle esigenze economiche post-pandemiche, concentrandosi sul Concordato Preventivo Biennale (CPB) e su strumenti di supporto per imprese e lavoratori.

Il Concordato Preventivo Biennale (CPB) rappresenta un pilastro fondamentale per agevolare la gestione fiscale delle imprese italiane. In seguito agli effetti della pandemia da COVID-19, che ha messo a dura prova la stabilità economica di molti settori, il Governo ha deciso di intervenire con un correttivo, ampliando le opportunità di regolarizzazione fiscale e introducendo nuovi strumenti di supporto economico. Il Decreto Fiscale n. 155/2024 diventa così un tassello fondamentale per rafforzare la ripresa economica del Paese.

Una delle misure di maggior rilievo riguarda il cosiddetto ravvedimento speciale, applicabile agli anni dal 2018 al 2022, che consente alle imprese di regolarizzare la propria posizione fiscale con condizioni particolarmente favorevoli. Questa misura è dedicata a coloro che hanno aderito al CPB e soddisfano specifiche condizioni, come aver dichiarato cause di esclusione dall’applicazione degli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA) a causa della pandemia o operato in condizioni di non normale svolgimento dell’attività.

Per accedere al ravvedimento, le imposte sostitutive vengono calcolate sulla base di un incremento del reddito dichiarato del 25%, applicando un’aliquota ridotta. Ad esempio:

Imposta IRPEF: aliquota del 12,5%.

Imposta IRAP: aliquota del 3,9%.

Inoltre, una riduzione del 30% sulle imposte sostitutive rende questa misura ancora più conveniente per i soggetti idonei.

 

Tipologia di Imposta Base Imponibile Aliquota Riduzione Applicabile
IRPEF Reddito incrementato del 25% 12,5% 30%
IRAP Valore della produzione incrementato 25% 3,9% 30%

 

Un punto importante del decreto è il potenziamento del credito d’imposta per le Zone Economiche Speciali (ZES), un incentivo destinato alle imprese del Sud Italia. Grazie alle nuove disposizioni, gli investimenti effettuati tra il 1° gennaio e il 15 novembre 2024 possono essere inclusi in una comunicazione integrativa, aumentando così il credito d’imposta disponibile. Questo strumento rappresenta un motore per stimolare nuovi investimenti e rafforzare la competitività del Mezzogiorno.

Un’altra misura che guarda alle necessità delle partite IVA riguarda il rinvio della scadenza della seconda rata di acconto IRPEF. Originariamente fissata al 30 novembre, la nuova scadenza è stata spostata al 16 gennaio 2025, dando così maggior respiro finanziario a lavoratori autonomi e piccole imprese con ricavi non superiori a 170.000 euro.

 

Questa proroga rappresenta un intervento mirato per migliorare la liquidità dei contribuenti, in un periodo spesso critico per le finanze delle imprese.

Il Decreto Fiscale introduce anche un rifinanziamento per l’APE Sociale, un’indennità che permette a determinate categorie di lavoratori di accedere al pensionamento anticipato a partire dai 63 anni. Le risorse aggiuntive stanziate fino al 2028 garantiscono la continuità di questa misura, con una suddivisione annuale che arriva a 50 milioni di euro nel 2027.

 

Un riepilogo delle modifiche principali

 

Misura Ambito di Applicazione Dettagli Principali
Ravvedimento speciale Annualità 2018-2022 Aliquote agevolate su redditi incrementati
Credito d’imposta ZES Zone Economiche Speciali Nuovi investimenti ammissibili
Rinvio rata di acconto IRPEF Partite IVA con ricavi < 170.000€ Scadenza prorogata al 16 gennaio 2025

 

FAQ

Cos’è il Concordato Preventivo Biennale (CPB)?

È un regime fiscale che consente alle imprese di pianificare e gestire gli obblighi fiscali su un periodo di due anni.

Chi può accedere al ravvedimento speciale?

Imprese con ricavi fino a 5,16 milioni di euro che soddisfano le condizioni legate alla pandemia.

Quali vantaggi offre il credito d’imposta ZES?

Permette di aumentare il credito fiscale per nuovi investimenti nel Sud Italia.

Chi può beneficiare del rifinanziamento dell’APE Sociale?

Lavoratori che soddisfano i requisiti per il pensionamento anticipato, in particolare quelli in condizioni di difficoltà.

Quando scade la seconda rata di acconto IRPEF?

Per il 2024, la nuova scadenza è fissata al 16 gennaio 2025.

L’imposta sostitutiva sulla rivalutazione del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è un obbligo fiscale che ogni anno coinvolge i datori di lavoro italiani. Con la scadenza per il versamento dell’acconto fissata al 16 dicembre 2024, è importante comprendere tutti gli aspetti normativi e operativi legati a questa imposta.

Il TFR rappresenta una forma di risparmio obbligatorio accumulato dai datori di lavoro per i dipendenti, da corrispondere al termine del rapporto di lavoro. La rivalutazione del TFR avviene annualmente per adeguare il suo valore all’inflazione. Su questa rivalutazione si applica un’imposta sostitutiva pari al 17%, gestita direttamente dal datore di lavoro.

Questa imposta si riferisce esclusivamente alla quota finanziaria rivalutata del TFR, non alla quota capitale. Quest’ultima, infatti, viene tassata solo al momento della liquidazione finale o in caso di anticipi concessi per esigenze specifiche, come l’acquisto della prima casa.

 

Rivalutazione TFR: Metodo e Calcolo

La rivalutazione del TFR è determinata secondo una formula che combina un tasso fisso dell’1,5% con il 75% della variazione dell’indice ISTAT FOI relativo ai prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati. Questo calcolo consente di mantenere il valore del TFR allineato al costo della vita.

Un elemento chiave è che la rivalutazione non si applica alla quota di TFR maturata nell’anno corrente, ma solo al fondo accumulato al 31 dicembre dell’anno precedente. In caso di deflazione, la variazione ISTAT viene considerata pari a zero.

L’imposta sostitutiva viene versata in due momenti distinti:

Acconto: entro il 16 dicembre dell’anno in corso.

Saldo: entro il 16 febbraio dell’anno successivo.

Il pagamento avviene tramite il modello F24, utilizzando i codici tributo specifici:

  • 1712 per l’acconto.
  • 1713 per il saldo.

I datori di lavoro possono inoltre compensare eventuali crediti fiscali maturati per altre imposte o contributi.

Metodo Storico vs Metodo Previsionale

Per il calcolo dell’acconto, i datori di lavoro possono scegliere tra due metodi:

Metodo storico: si basa sulle rivalutazioni maturate nell’anno precedente. È una soluzione stabile e meno rischiosa, ideale in contesti economici prevedibili.

Metodo previsionale: consente di stimare le rivalutazioni dell’anno in corso. Questo approccio offre maggiore flessibilità, ma richiede un’analisi economica accurata per evitare errori che potrebbero portare a sanzioni.

La scelta del metodo più adatto dipende dalle competenze interne e dalla variabilità del contesto economico.

La gestione del TFR varia in base alla dimensione aziendale:

Aziende con almeno 50 dipendenti: il TFR viene trasferito all’INPS, che si occupa della rivalutazione e della gestione.

Aziende con meno di 50 dipendenti: la gestione resta a carico del datore di lavoro, che può decidere se accantonare il TFR internamente o trasferirlo a un fondo pensionistico complementare.

Questa seconda opzione può offrire vantaggi finanziari a breve termine, ma comporta rischi significativi in termini di liquidità.

Novità Normative

Un’importante novità introdotta dall’Agenzia delle Entrate riguarda l’opzione di calcolo dell’acconto basata sull’incremento presuntivo dell’indice ISTAT di dicembre. Questo approccio offre maggiore flessibilità, consentendo alle aziende di stimare l’acconto in modo più aderente alle condizioni economiche attuali.

Focus sull’Acconto del 16 dicembre 2024

L’acconto rappresenta il 90% dell’imposta sostitutiva totale sulle rivalutazioni maturate. Il metodo previsionale può essere particolarmente utile in periodi di forte volatilità economica, mentre il metodo storico è indicato per contesti più stabili.

Il saldo, da versare entro il 16 febbraio 2025, corrisponde alla differenza tra l’imposta dovuta e l’acconto già versato. In caso di saldo negativo, l’importo può essere utilizzato come credito in compensazione.

Ravvedimento Operoso e Sanzioni

Il mancato rispetto delle scadenze comporta una sanzione del 30% sull’importo dovuto, ma il ravvedimento operoso consente di ridurre significativamente queste penalità. Questo strumento è particolarmente utile per regolarizzare eventuali errori senza conseguenze gravi.

Lo Studio Pallino Commercialisti è a vostra disposizione per  consulenza e assistenza personalizzata.

Dopo un’attenta analisi della Circolare n. 20/2024 dell’Agenzia delle Dogane e dell’articolo 27, comma 2, del DLgs n. 141/2024, emergono alcune importanti considerazioni:

L’imposta sul valore aggiunto (IVA) è stata esplicitamente inclusa tra i diritti di confine. Questo aggiornamento, chiarito ulteriormente all’articolo 28, comma 2, del DLgs n. 141/2024, specifica che, anche per l’IVA applicata alle operazioni di importazione, valgono le norme unionali in materia di individuazione del debitore e di estinzione dell’obbligazione doganale.

In buona sostanza il Legislatore ha trasformato la natura dell’IVA all’importazione, qualificandola non più come “tributo interno”, ma come “diritto di confine”.

Questa modifica comporta rilevanti implicazioni per il rappresentante doganale indiretto, ossia l’intermediario che opera in nome proprio ma per conto dell’importatore, con il compito di presentare dichiarazioni doganali e rappresentare il cliente presso le autorità doganali.

In passato, quando l’IVA all’importazione era considerata un “tributo interno”, il rappresentante doganale indiretto era responsabile unicamente per l’obbligazione doganale, non anche per l’IVA. Essendo privo del diritto alla detrazione dell’IVA, riservato esclusivamente al proprietario delle merci, il rappresentante doganale non poteva essere considerato corresponsabile in solido con l’importatore per il pagamento dell’imposta non versata. Pertanto, la solidarietà passiva non trovava applicazione nell’accertamento e nella riscossione dell’IVA.

Con la nuova qualificazione dell’IVA all’importazione come “diritto di confine”, i soggetti obbligati al pagamento dei relativi diritti includeranno non solo i dichiaranti, ma anche i rappresentanti doganali che operano in regime di rappresentanza indiretta.

La Circolare chiarisce inoltre che l’IVA non assume la natura di diritto di confine nei seguenti casi:

  • Immissione in libera pratica di merci senza il pagamento dell’IVA, quando le merci sono destinate alla successiva immissione in consumo in un altro Stato membro dell’Unione Europea (regime 42).
  • Immissione in libera pratica di merci senza il pagamento dell’IVA, con successivo vincolo delle merci a un regime di deposito diverso dal deposito doganale, come nel caso delle merci introdotte in un deposito IVA (regime 45).

In conclusione, l’IVA sarà considerata un diritto di confine esclusivamente nei casi di irregolare introduzione in consumo in Italia, quando non venga dimostrata l’immissione in consumo in un altro Stato membro, non risultino prove dell’uscita dal territorio italiano, o le merci non siano correttamente registrate nella contabilità di un deposito IVA.

Le operazioni interne al Gruppo IVA rappresentano un tema di grande rilevanza nel panorama fiscale europeo. Recentemente, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (UE) si è espressa sulla questione dell’imponibilità dei servizi resi a titolo oneroso tra soggetti appartenenti allo stesso Gruppo IVA, escludendoli dall’applicazione dell’imposta.

Cos’è un Gruppo IVA?

Un Gruppo IVA è un insieme di soggetti giuridici che, pur mantenendo la propria autonomia legale, sono considerati un’unica entità ai fini dell’IVA. Questa struttura permette ai membri del gruppo di beneficiare di semplificazioni amministrative e di evitare la doppia imposizione sulle transazioni interne. Tuttavia, la formazione di un Gruppo IVA comporta anche sfide e svantaggi, come la complessità nella gestione della detraibilità dell’IVA e l’adeguamento alle normative nazionali e comunitarie.

L’11 luglio 2024, la Corte di Giustizia UE si è pronunciata sulla causa C-184/23, stabilendo che i servizi resi a titolo oneroso tra soggetti appartenenti allo stesso Gruppo IVA non sono soggetti a imposta, anche se l’IVA assolta dal destinatario non può essere detratta.

Questa sentenza è fondamentale poiché fornisce chiarezza sulla rilevanza ai fini dell’IVA delle operazioni interne al Gruppo, un tema che ha visto opinioni divergenti tra gli Avvocati generali della Corte.

Posizioni Divergenti degli Avvocati Generali

Gli Avvocati generali della Corte UE hanno espresso opinioni diverse riguardo all’imponibilità delle operazioni infragruppo. Da un lato, un primo orientamento sostiene che tali operazioni sono escluse dal campo di applicazione dell’IVA, considerandole operazioni infragruppo. Questa posizione è stata sostenuta nelle cause C-85/11 (Commissione/Irlanda), C-480/10 (Commissione/Svezia) e C-108/14 e C-109/14 (Larentia + Minerva e Marenave Schiffahrt).

Dall’altro lato, un orientamento opposto ritiene che le operazioni interne tra i membri del Gruppo IVA debbano essere imponibili.

La Corte ha dovuto quindi bilanciare queste posizioni divergenti per giungere a una decisione definitiva.

La sentenza della Corte di Giustizia UE ha effetti immediati per i Gruppi IVA, escludendo dall’imposta le operazioni interne. Questo significa che i servizi resi all’interno di un Gruppo IVA non saranno più soggetti all’IVA, indipendentemente dalla detraibilità dell’imposta per il destinatario. Le imprese dovranno quindi rivedere le loro pratiche fiscali e adattarsi a questa nuova normativa, che porta con sé sia vantaggi che sfide.

Per beneficiare dell’esclusione dall’IVA, le operazioni devono soddisfare determinati requisiti. In particolare, devono essere effettuate tra soggetti appartenenti allo stesso Gruppo IVA e devono essere a titolo oneroso. Ad esempio, se una società del gruppo fornisce servizi di consulenza a un’altra società dello stesso gruppo, questi servizi non saranno soggetti a IVA. Tuttavia, è importantissimo che tutte le condizioni previste dalla normativa siano rispettate per evitare sanzioni e contestazioni da parte delle autorità fiscali.

Differenze tra Stati Membri

Gli Stati membri dell’UE adottano approcci diversi nella regolamentazione delle operazioni infragruppo. Ad esempio, in Italia, l’Agenzia delle Entrate ha fornito specifiche indicazioni sull’applicazione delle esclusioni per i Gruppi IVA. Altri paesi, come la Germania e la Francia, hanno normative leggermente diverse che riflettono le loro specificità fiscali. È essenziale che le imprese multinazionali siano consapevoli di queste differenze e si adeguino di conseguenza per garantire la conformità in ogni giurisdizione.

Detraibilità dell’IVA

La detraibilità dell’IVA è un concetto fondamentale nella gestione fiscale delle imprese. La sentenza della Corte di Giustizia UE specifica che, anche se le operazioni interne al Gruppo IVA sono escluse dall’imposta, l’IVA assolta dal destinatario non può essere detratta. Questo implica che le imprese devono prestare particolare attenzione alla gestione della detraibilità per evitare impatti negativi sul cash flow e sulla pianificazione fiscale.

La sentenza della Corte di Giustizia UE rappresenta un cambiamento significativo nella gestione delle operazioni interne ai Gruppi IVA. Escludendo queste operazioni dall’imposta, la Corte ha fornito chiarezza su un tema controverso e ha introdotto nuove sfide per le imprese.

Per adattarsi alla nuova normativa, le imprese dovranno rivedere le loro procedure interne e assicurarsi di rispettare tutte le condizioni previste e tenere conto delle diverse normative nazionali per assicurarsi di essere conformi in ogni giurisdizione in cui operano.

È consigliabile consultare esperti fiscali per valutare l’impatto della sentenza e implementare strategie che ottimizzino la gestione dell’IVA.
Il nostri esperti sono a disposizione per chiarire ogni eventuale dubbio, per consulenze e per assistenza personalizzata.

 

FAQ

  1. Cos’è un Gruppo IVA? Un Gruppo IVA è un insieme di soggetti giuridici che vengono considerati come un’unica entità ai fini dell’IVA, beneficiando di semplificazioni amministrative e riduzione della doppia imposizione.
  2. Quali sono le implicazioni della sentenza della Corte di Giustizia UE? La sentenza esclude dall’imposta le operazioni interne ai Gruppi IVA, influenzando la gestione fiscale delle imprese e la detraibilità dell’IVA.
  3. Come si applicano le esclusioni dall’IVA? Le esclusioni si applicano alle operazioni a titolo oneroso tra soggetti appartenenti allo stesso Gruppo IVA, a condizione che tutte le normative siano rispettate.
  4. Quali sono le differenze tra gli Stati membri nella regolamentazione delle operazioni infragruppo? Gli Stati membri adottano approcci diversi; le imprese devono adeguarsi alle specifiche normative nazionali per garantire la conformità.
  5. Qual è l’impatto della sentenza sulla detraibilità dell’IVA? Anche se le operazioni interne sono escluse dall’imposta, l’IVA assolta dal destinatario non può essere detratta, influenzando il cash flow e la pianificazione fiscale delle imprese.

 

Il termine per il pagamento del saldo IVA 2023 è fissato al 31 luglio 2024 e riguarda tutti i contribuenti che, dalla dichiarazione annuale IVA 2024, risultano avere un saldo IVA a debito. Questo include anche coloro che non hanno rispettato le scadenze precedenti del 19 marzo o del 1° luglio 2024. In particolare, sono interessati i soggetti che esercitano attività economiche per le quali sono stati approvati gli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA) e che dichiarano ricavi o compensi entro i limiti stabiliti dal decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Il saldo IVA 2023 può essere pagato in unica soluzione o rateizzato. Se si opta per il pagamento rateale, le rate devono essere di pari importo e la prima rata deve essere versata entro il termine ordinario di pagamento dell’IVA in unica soluzione. Le rate successive devono essere pagate entro il giorno 16 di ogni mese, con l’aggiunta di un interesse fisso dello 0,33% mensile su ciascuna rata dopo la prima.

La scadenza del 31 luglio 2024 si applica anche ai soggetti che hanno aderito al concordato preventivo biennale. In questo caso, il pagamento del saldo IVA 2023 può essere effettuato senza applicare la maggiorazione dello 0,40% prevista per altri contribuenti. Tuttavia, per i contribuenti che non hanno effettuato il pagamento entro il 19 marzo o il 1° luglio, è prevista una maggiorazione dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese successivo al 19 marzo fino al 30 giugno, più un’ulteriore maggiorazione dello 0,40%.

Il D.Lgs. n. 13/2024 disciplina l’istituto del concordato preventivo biennale, prevedendo una proroga del termine per il pagamento del saldo IVA 2023 al 31 luglio 2024 senza maggiorazione. Questo beneficio si applica ai soggetti che esercitano attività economiche per le quali sono stati approvati gli ISA e che dichiarano ricavi o compensi non superiori ai limiti stabiliti dal relativo decreto ministeriale. In questo contesto, il contribuente può godere di una proroga anche per il saldo 2023 e la prima rata dell’acconto 2024 delle imposte sui redditi e dell’IRAP.

Per chi sceglie la rateizzazione, è importante seguire un preciso calendario dei pagamenti. La prima rata deve essere versata entro il 18 marzo 2024, mentre le rate successive devono essere pagate entro il 16 di ogni mese. Grazie al Decreto Adempimenti (D.Lgs. n. 1/2024), l’ultima rata può essere pagata entro il 16 dicembre 2024, estendendo il termine originario del 16 novembre. Questo decreto consente ai contribuenti di perfezionare la rateizzazione senza effettuare l’opzione in dichiarazione, stabilendo una data unica di scadenza per il pagamento delle rate successive alla prima.

Il contribuente ha la possibilità di differire il pagamento del saldo IVA 2023 al 1° luglio 2024 o al 31 luglio 2024. Nel primo caso, si applica una maggiorazione dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese successivi al 16 marzo, fino al 30 giugno. Nel secondo caso, si aggiunge un’ulteriore maggiorazione dello 0,40% per il periodo dal 1° luglio al 31 luglio.

Le scadenze per il pagamento del saldo IVA 2023 variano a seconda del tipo di soggetto che effettua il pagamento. Per le persone fisiche, le società di persone e i soggetti IRES, le date di scadenza dipendono dall’approvazione del bilancio d’esercizio e dalla chiusura dell’esercizio fiscale. È fondamentale considerare questi aspetti per determinare la corretta data di pagamento del saldo IVA.

Per i soggetti che hanno aderito al concordato preventivo biennale, il D.Lgs. n. 13/2024 prevede una proroga del termine per il pagamento del saldo IVA 2023 al 31 luglio senza applicare la maggiorazione dello 0,40%. Questo termine si applica anche per il saldo 2023 e la prima rata dell’acconto 2024 delle imposte sui redditi e dell’IRAP. Questa proroga rappresenta un’importante opportunità per i contribuenti di regolarizzare la loro posizione fiscale senza incorrere in ulteriori costi.

Il termine del 31 luglio 2024 rappresenta una scadenza importante per il pagamento del saldo IVA 2023. I contribuenti devono assicurarsi di rispettare le modalità e le scadenze stabilite per evitare sanzioni. Per chi ha aderito al concordato preventivo biennale, il 31 luglio offre un’opportunità di differimento senza maggiorazioni, consentendo una gestione finanziaria più flessibile.

Per consulenze ed assistenza personalizzata il nostro Studio è a vostra disposizione.

FAQ

  1. Chi deve pagare il saldo IVA 2023? Tutti i contribuenti che, dalla dichiarazione annuale IVA 2024, risultano avere un saldo IVA a debito.
  2. Quali sono le modalità di pagamento del saldo IVA 2023? Il pagamento può essere effettuato in unica soluzione o rateizzato. Le rate devono essere di pari importo con un interesse fisso dello 0,33% mensile sulle rate successive alla prima.
  3. Quali sono le scadenze per il pagamento del saldo IVA 2023? Le principali scadenze sono il 18 marzo 2024, il 1° luglio 2024, e il 31 luglio 2024.
  4. Che cosa prevede il concordato preventivo biennale? Il D.Lgs. n. 13/2024 prevede una proroga del termine per il pagamento del saldo IVA 2023 al 31 luglio 2024 senza maggiorazione per i soggetti che esercitano attività economiche per le quali sono stati approvati gli ISA.
  5. Come influisce la rateizzazione sui pagamenti del saldo IVA 2023? La rateizzazione consente di distribuire il pagamento in più rate mensili, con un interesse fisso dello 0,33% mensile sulle rate successive alla prima, estendendo il termine finale al 16 dicembre 2024.

In vista della prossima scadenza per il versamento della prima rata dell’IMU 2024, prevista per il 17 giugno 2024, è essenziale esaminare le recenti modifiche normative e gli aggiornamenti riguardanti l’Imposta Municipale Propria (IMU):

Esenzione IMU per Immobili Destinati a Finalità Sociali

La Legge di Bilancio 2024 (Legge n. 213/2023) ha introdotto un’interpretazione autentica che estende l’esenzione IMU agli immobili posseduti o utilizzati da enti pubblici e privati, trust non commerciali e organismi di investimento collettivo del risparmio, destinati esclusivamente a scopi assistenziali, previdenziali, sanitari, di ricerca scientifica, didattici, culturali, ricreativi e religiosi, anche se concessi in comodato a soggetti funzionalmente o strutturalmente collegati al concedente.

Questa esenzione rappresenta un’importante agevolazione per le organizzazioni che operano nel sociale, riducendo il carico fiscale sugli immobili utilizzati per attività non commerciali di rilevante impatto sociale. È fondamentale che gli enti interessati comprendano i requisiti specifici per poter beneficiare di questa esenzione, come la necessità che gli immobili siano strumentali alle attività indicate e che l’assenza di esercizio delle stesse non ne determini la cessazione definitiva della strumentalità.

Proroga dei Termini per Delibere e Regolamenti IMU

A partire dal 2024, se i termini per l’inserimento delle delibere e regolamenti comunali IMU (14 ottobre) e la loro pubblicazione (28 ottobre) cadono di sabato o domenica, saranno prorogati al primo giorno lavorativo successivo. Questa modifica normativa mira a garantire che gli adempimenti amministrativi non siano ostacolati dai giorni non lavorativi, facilitando il rispetto delle scadenze da parte dei comuni e degli operatori fiscali.

Esenzione IMU per Immobili Occupati Abusivamente

Dal 1° gennaio 2023, la Legge n. 197/2022 ha previsto l’esenzione IMU per gli immobili occupati abusivamente, a condizione che siano soddisfatti i seguenti requisiti:

  • L’immobile non deve essere utilizzabile né disponibile.
  • Deve essere stata presentata denuncia all’autorità giudiziaria per violazione di domicilio o invasione di terreni/edifici.
  • Il contribuente deve comunicare al Comune il possesso dei requisiti per l’esenzione.

La comunicazione può essere effettuata direttamente nella dichiarazione IMU, da trasmettere esclusivamente per via telematica. L’esenzione è riconosciuta solo per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni indicate.

Questa misura introduce una significativa tutela per i proprietari di immobili vittime di occupazioni abusive, esentandoli dall’onere fiscale per i periodi in cui non possono disporre dei propri beni. È importante per i proprietari assicurarsi di soddisfare tutti i requisiti e completare correttamente la procedura di comunicazione per beneficiare dell’esenzione.

Chiarimenti su Fabbricati Collabenti e Rurali Strumentali

La Risoluzione del 16 novembre 2023 ha precisato che i fabbricati collabenti (categoria F/2) non rientrano tra le aree edificabili e sono esclusi dall’IMU perché privi di rendita. Per i fabbricati rurali strumentali, non è necessaria la qualifica di coltivatore diretto o IAP, ma è sufficiente il classamento in categoria A/6 o D/10 con relativa annotazione.

Questi chiarimenti sono fondamentali per evitare dispute interpretative e assicurare che i contribuenti possano applicare correttamente le agevolazioni previste. I fabbricati collabenti, spesso trascurati, sono ora chiaramente esclusi dall’IMU, mentre per i fabbricati rurali strumentali viene semplificata la prova della loro ruralità.

Conduzione Associata di Terreni

Il MEF ha chiarito che la conduzione associata di terreni tramite contratti di rete agricoli o di compartecipazione agraria non preclude l’applicazione dell’esenzione IMU, mantenendo il requisito della conduzione diretta del terreno da parte del coltivatore diretto o dello IAP.

Questa precisazione è fondamentale in un contesto agricolo sempre più orientato alla collaborazione e all’aggregazione di risorse. La possibilità di mantenere l’esenzione IMU anche in caso di conduzione associata incentiva le forme collaborative di gestione agricola, che possono portare a significativi benefici economici e operativi.

Coefficienti di Rivalutazione per Fabbricati del Gruppo Catastale D

Il Decreto dell’8 marzo 2024 ha aggiornato i coefficienti di rivalutazione per determinare il valore dei fabbricati del gruppo catastale D per il calcolo dell’IMU e dell’IMPi. Il coefficiente per il 2024 è stato fissato a 1,02.

L’aggiornamento dei coefficienti è un’operazione necessaria per mantenere allineato il valore catastale degli immobili alle fluttuazioni del mercato immobiliare. Un coefficiente aggiornato garantisce una valutazione equa degli immobili, che si riflette in una corretta determinazione della base imponibile per l’IMU.

In conclusione le modifiche normative introdotte nel corso del 2023 e nei primi mesi del 2024 apportano significative innovazioni alla disciplina dell’IMU, con importanti chiarimenti e aggiornamenti che influiscono sulla gestione dell’imposta.

Le novità principali riguardano l’introduzione di nuove esenzioni, la modifica dei termini per le delibere comunali, l’aggiornamento dei coefficienti di rivalutazione e i chiarimenti su specifiche categorie di immobili. Questi cambiamenti riflettono l’evoluzione delle esigenze fiscali e sociali, promuovendo una gestione più equa e trasparente dell’imposta municipale.

L’IMU rappresenta una componente fondamentale del sistema fiscale italiano, influenzando significativamente le finanze locali e le scelte economiche dei proprietari immobiliari. Le recenti modifiche normative riflettono l’evoluzione delle politiche fiscali, mirate a promuovere una gestione più equa e sostenibile dell’imposta.

È essenziale per i contribuenti essere informati, consultando regolarmente le fonti ufficiali e avvalendosi del supporto di esperti fiscali. Solo attraverso una corretta comprensione delle nuove disposizioni è possibile ottimizzare la gestione degli immobili e adempiere efficacemente agli obblighi fiscali.

Per una consulenza dettagliata sull’IMU o su altre tematiche fiscali, lo Studio Pallino Commercialisti è a vostra completa disposizione.

Il nuovo decreto legislativo introduce una serie di modifiche fondamentali che intervengono su vari aspetti del sistema sanzionatorio tributario, con l’obiettivo di armonizzare le sanzioni amministrative e penali, rendendole più coerenti e uniformi. Di seguito le principali novità.

Disposizioni Comuni tra Sanzioni Amministrative e Penali

Integrazione tra Fattispecie Sanzionatorie:

Il decreto mira a creare un sistema sanzionatorio più integrato, eliminando le incongruenze tra le diverse tipologie di sanzioni. Questo comporta una maggiore coerenza nel trattamento delle violazioni fiscali, indipendentemente dal fatto che siano di natura amministrativa o penale.

Revisione dei Rapporti tra Processo Penale e Processo Tributario:

Viene introdotta una maggiore armonizzazione tra i procedimenti penali e tributari. Le prove raccolte in un processo potranno essere utilizzate nell’altro, facilitando così una gestione più efficiente e coordinata dei casi di evasione e frode fiscale.

Meccanismi di Compensazione:

Si prevede un sistema di compensazione tra le sanzioni da irrogare e quelle già irrogate, con l’obiettivo di evitare duplicazioni e ridondanze. Questo meccanismo permette di ridurre il carico sanzionatorio complessivo in caso di violazioni multiple, migliorando l’equità del sistema.

Riduzione delle Sanzioni:

Viene introdotta una riduzione delle sanzioni, specialmente in presenza di condotte meno gravi. Questo approccio premia i contribuenti che, pur avendo commesso violazioni, non hanno agito con intenzione fraudolenta o reiterata.

Sanzioni Penali

Revisione dei Profili Sanzionatori per Omessi Versamenti Non Reiterati:

Il decreto prevede un inasprimento delle pene per chi omette di versare le ritenute dovute. In particolare, è prevista la reclusione da sei mesi a due anni per importi superiori a 150.000 euro. Questa misura punta a dissuadere le omissioni nei versamenti, rafforzando il deterrente contro tali pratiche.

Sanzioni Amministrative

Proporzionalità delle Sanzioni:

Le sanzioni amministrative verranno ricalibrate per essere più proporzionate rispetto alle condotte contestate. Saranno più severe per i comportamenti fraudolenti, mentre le infrazioni minori vedranno una riduzione delle sanzioni, incentivando una maggiore conformità da parte dei contribuenti.

Disciplina della Recidiva, Cumuli e Continuazioni:

Viene rivista la disciplina riguardante la recidiva e i cumuli, con un’attenzione particolare alla continuità delle infrazioni. Questo assicura che le sanzioni siano adeguate alla gravità e alla frequenza delle violazioni, promuovendo un comportamento fiscale più responsabile.

 

Nuove Disposizioni in Materia di Prove e Giudicato

Un altro aspetto fondamentale della riforma riguarda l’utilizzo delle prove e l’efficacia del giudicato:

Prove: Le sentenze emesse nel processo tributario, una volta divenute irrevocabili, così come gli accertamenti definitivi delle imposte in sede amministrativa, potranno essere utilizzati come prova nel processo penale. Questo rappresenta un passo significativo verso una maggiore integrazione tra i due sistemi di giustizia.

Giudicato: Una sentenza irrevocabile di assoluzione in ambito penale, pronunciata per gli stessi fatti materiali oggetto del processo tributario, avrà efficacia di giudicato anche nel processo tributario. Questa disposizione mira a evitare incongruenze e garantire una maggiore coerenza nelle decisioni giudiziarie.

Responsabilità delle Sanzioni Pecuniarie

Il decreto introduce anche novità riguardo alla responsabilità delle sanzioni pecuniarie. Le sanzioni relative al rapporto tributario delle società o enti saranno esclusivamente a carico della società o dell’ente stesso. Tuttavia, nel caso in cui questi soggetti siano costituiti in maniera fittizia o interposti, la sanzione sarà irrogata nei confronti della persona fisica che ha agito per loro conto.

La revisione del sistema sanzionatorio tributario rappresenta una svolta significativa per il diritto tributario italiano. L’approvazione definitiva del decreto legislativo segna l’inizio di una nuova era caratterizzata da maggiore integrazione, proporzionalità e coerenza tra sanzioni amministrative e penali.

Per una consulenza dettagliata e assistenza personalizzata sulla nuova normativa, per assistervi nell’adeguamento alle nuove disposizioni fiscali  i nostri esperti sono a vostra disposizione.

Ai sensi degli articoli 2478 bis e 2364 del codice civile italiano, l’assemblea dei soci deve essere convocata per l’approvazione del bilancio entro termini specifici. Per il bilancio 2023, la data limite per l’assemblea nei termini ordinari è il 29 aprile 2024 (120 giorni dal 31/12/2023, anno bisestile) , una scadenza che sottolinea l’importanza di una preparazione tempestiva.

Per le società a responsabilità limitata (Srl), la convocazione dei soci deve avvenire in genere almeno 8 giorni prima dell’assemblea o nel diverso termine di statuto e  quindi normalmente entro il 20 aprile 2024.

È essenziale notare che la mancata convocazione può essere sanata solo con la dichiarazione di assenso o la presenza (e in tal caso la dichiarazione in adunanza) di tutti i soci e dell’organo amministrativo, nonché ove previsto dell’organo di controllo.

Per le società per azioni (Spa), invece, la convocazione deve essere effettuata normalmente con un preavviso di 15 giorni, quindi entro il 14 aprile 2024.

In ogni caso dovranno essere rispettate le specifiche prescrizioni statutarie.

error: