Il 4 settembre 2025 il Consiglio dei ministri ha approvato un pacchetto di riforme che riguarda il mondo delle libere professioni. Si tratta di un intervento di ampio respiro che coinvolge 14 categorie professionali, con un’attenzione particolare ad avvocati e professionisti sanitari. Rimane invece sospeso, almeno per ora, il riordino delle regole che interessano i commercialisti, rinviato dopo una lunga discussione in sede pre-consiliare.

Il pacchetto rappresenta il primo intervento organico dopo oltre un decennio, visto che l’ultima legge quadro di riferimento risale al Dpr 137/2012.

Sono 1,6 milioni i professionisti coinvolti dal provvedimento, un comparto rilevante non solo dal punto di vista occupazionale ma anche per la funzione sociale svolta. Le nuove regole toccano in particolare architetti, consulenti del lavoro, geometri, periti, attuari e ingegneri, con un’attenzione specifica alle varie specializzazioni tecniche che contraddistinguono queste professioni. Restano invece escluse, almeno in questa fase, figure come notai, chimici, fisici e biologi, oltre a medici e avvocati che sono oggetto di interventi dedicati.

Il disegno di legge delega non introduce nuove competenze o riserve professionali, ma punta a perimetrare le attività già previste dalle norme vigenti, chiarendo le aree di sovrapposizione che si sono sviluppate nel tempo tra diverse categorie. L’intento è dunque quello di dare maggiore ordine al sistema, evitando conflitti interpretativi e incertezze nell’esercizio della professione.

Il testo approvato contiene oltre venti principi fondamentali. Tra i più rilevanti vi è la promozione della parità di genere nella governance degli Ordini e dei Consigli nazionali, anche attraverso l’introduzione di elezioni online. Altri punti centrali riguardano l’equo compenso, la riforma della formazione continua e la revisione delle modalità di svolgimento dell’esame di Stato.

In particolare, il principio dell’equo compenso viene esteso a tutti i rapporti con i clienti, non solo a quelli con soggetti considerati “forti” come banche e assicurazioni. Per rendere effettiva la norma, il decreto prevede la definizione di parametri di riferimento anche per quelle professioni che ne sono ancora prive.

La formazione continua viene rafforzata con l’obbligo di destinare una parte dei crediti annuali allo studio delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale, un segnale della volontà di aggiornare le competenze dei professionisti in linea con le trasformazioni del mercato. Inoltre, viene previsto il riconoscimento ufficiale delle specializzazioni interne e delle certificazioni di competenze, con particolare riferimento a professioni come quella degli ingegneri che già prevedono percorsi volontari di certificazione.

Un ulteriore punto di rilievo riguarda la possibilità di estendere a tutti i professionisti le tutele legate al rinvio delle scadenze tributarie e contributive in caso di gravi malattie, infortuni o maternità, riconoscendo così la necessità di maggiore protezione sociale anche in un settore tradizionalmente caratterizzato da elevata autonomia.

Parallelamente alla riforma generale, sono state approvate norme specifiche per avvocati e professioni sanitarie. Per i medici, in particolare, è stato reso definitivo lo scudo penale nei casi di colpa grave, un provvedimento che da tempo era oggetto di dibattito all’interno della categoria e che mira a offrire maggiori certezze nell’esercizio della professione sanitaria.

Per quanto riguarda gli avvocati, la riforma punta a rivedere diversi aspetti dell’organizzazione e dell’accesso alla professione, in linea con la necessità di aggiornare regole ferme ormai da molti anni.

Tutti i provvedimenti approvati si presentano come disegni di legge delega, che delineano cornici generali e principi guida, rimandando poi a successivi decreti delegati la definizione operativa. Dopo il passaggio parlamentare, il Governo avrà 24 mesi di tempo per esercitare la delega.

Il tema dell’insubordinazione del lavoratore rappresenta uno degli aspetti più delicati nella gestione dei rapporti di lavoro, soprattutto quando si tratta di definire se la condotta possa giustificare una sanzione conservativa o un licenziamento per giusta causa.

La questione, nel corso degli anni, è stata oggetto di numerosi interventi della giurisprudenza di legittimità, che ha contribuito a delineare confini interpretativi sempre più precisi.

Un recente intervento della Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 21103 del 24 luglio 2025, ha ribadito che un’offesa grave rivolta al superiore gerarchico può integrare giusta causa di licenziamento anche se si tratta di un episodio isolato. Tale pronuncia si inserisce all’interno della consolidata nozione di giusta causa prevista dall’articolo 2119 del Codice civile, richiamato dall’articolo 5 della legge 604/1966, secondo cui il datore di lavoro deve dimostrare una “grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro”, in particolare del vincolo fiduciario.

L’attenzione si concentra dunque sul concetto di insubordinazione, distinta in lieve e grave, come disciplinato nei vari Ccnl di categoria, e sulla rilevanza della recidiva nel valutare la legittimità di un licenziamento.

La disciplina di base trova fondamento nell’articolo 2104 del Codice civile, che impone al lavoratore di rispettare le disposizioni dell’imprenditore, e nell’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970), che stabilisce le regole generali per l’applicazione delle sanzioni disciplinari, a partire dalla necessaria contestazione preventiva dell’addebito.

All’interno dei contratti collettivi, solitamente, l’insubordinazione viene classificata in tre livelli. L’insubordinazione lieve è punita con sanzioni conservative come l’ammenda o una breve sospensione. L’insubordinazione “semplice”, che non raggiunge i livelli di gravità estrema, può comportare il licenziamento con preavviso. Infine, l’insubordinazione grave giustifica il licenziamento immediato senza preavviso, configurando una vera e propria giusta causa.

Tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che questa classificazione non è vincolante in senso assoluto, ma rappresenta un parametro utile nella valutazione della proporzionalità della sanzione. La Cassazione ha più volte affermato che la tipizzazione contrattuale è “esemplificativa” e non esaustiva rispetto alla nozione legale di giusta causa (sentenza n. 28492/2018).

Differenza tra insubordinazione lieve e grave

La distinzione fondamentale risiede nella modalità con cui si manifesta la condotta. L’insubordinazione lieve si concretizza in un semplice rifiuto di eseguire un ordine legittimo, senza però accompagnarsi a espressioni offensive o modalità denigratorie. Al contrario, l’insubordinazione grave non si limita al rifiuto, ma assume forme tali da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, ad esempio attraverso insulti, minacce o una contestazione pubblica dell’autorità datoriale.

Un esempio significativo è dato dall’ordinanza n. 6398/2025 della Cassazione, che ha chiarito come il comportamento diventi grave quando si associa a modalità idonee a ledere irreparabilmente il rapporto di fiducia tra datore e lavoratore.

Un altro elemento di rilievo è la recidiva nelle mancanze. Spesso i contratti collettivi individuano la recidiva come causa autonoma di licenziamento, soprattutto se riferita a comportamenti specifici. Tuttavia, la Cassazione ha più volte chiarito che anche in presenza di recidiva spetta al giudice valutare la reale gravità della condotta e la proporzionalità del provvedimento espulsivo.

In particolare, le sentenze n. 28417/2017 e n. 15566/2019 hanno sottolineato che la recidiva non elimina il dovere del giudice di procedere a una valutazione concreta degli addebiti. Essa può costituire un “indice accentuativo” della gravità, come ribadito anche dalla sentenza n. 26770/2024, ma non produce automaticamente la legittimità del licenziamento senza preavviso. È necessario che la reiterazione abbia aggravato in maniera significativa il pregiudizio al vincolo fiduciario.

L’ordinanza n. 21103/2025 ha introdotto un approccio strutturato per l’analisi dei casi di insubordinazione, attraverso un test in due fasi.

La prima fase, definita di sussunzione, richiede di verificare se la condotta del lavoratore rientri nella tipologia di insubordinazione lieve o grave prevista dal contratto collettivo. Un rifiuto espresso in termini formali e senza ulteriori eccessi può collocarsi nell’ambito dell’insubordinazione lieve, mentre un rifiuto accompagnato da insulti o da una contestazione pubblica del potere direttivo rientra nell’insubordinazione grave.

La seconda fase è quella della valutazione di gravità e proporzionalità. Qui il giudice è chiamato a stabilire se l’episodio, pur rientrando nella categoria contrattuale, possieda i requisiti di gravità tali da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro. Questa valutazione prende in considerazione diversi fattori, come la natura del rapporto, il grado di fiducia richiesto, l’intensità dell’intento soggettivo e le circostanze specifiche in cui la condotta è avvenuta.

Tale approccio, già riconosciuto in precedenti pronunce come la sentenza n. 12789/2022, garantisce un esame concreto e non meramente formale delle condotte contestate.

L’impostazione adottata dalla Corte ha lo scopo di bilanciare due esigenze: da un lato il rispetto delle previsioni della disciplina collettiva, dall’altro la necessità di applicare correttamente la clausola generale di giusta causa di cui all’articolo 2119 del Codice civile.

La discrezionalità del giudice di merito rimane dunque centrale. Egli è chiamato a valutare, caso per caso, se la condotta contestata al lavoratore sia tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario. La recidiva, pur avendo valore rafforzativo, non sostituisce questo giudizio, ma lo integra, fungendo da parametro utile per misurare la gravità dell’insieme dei comportamenti.

In questo modo, il sistema riesce a contemperare le esigenze di certezza del diritto, garantite dalle previsioni contrattuali, con quelle di giustizia sostanziale, affidate al vaglio del giudice.

Il nostro team di esperti è a vostra disposizione per fornire chiarimenti e assistenza personalizzata.

FAQ

Qual è la differenza principale tra insubordinazione lieve e grave?
L’insubordinazione lieve consiste in un semplice rifiuto di eseguire un ordine legittimo senza modalità offensive, mentre l’insubordinazione grave implica comportamenti denigratori o minacciosi che compromettono il vincolo fiduciario e possono giustificare il licenziamento immediato.

La recidiva comporta sempre il licenziamento?
No. La recidiva non determina automaticamente la risoluzione del rapporto. Può rafforzare la gravità della condotta, ma spetta al giudice verificare se la reiterazione abbia effettivamente leso la fiducia necessaria al rapporto di lavoro.

Come si valuta la proporzionalità della sanzione?
La proporzionalità viene valutata attraverso un test in due fasi: prima si stabilisce se la condotta rientra nella tipologia di insubordinazione lieve o grave; successivamente si esamina se le circostanze concrete rendano la condotta così grave da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro.

 

 

Il Modello 770/2025 introduce una novità significativa per le piccole imprese: la possibilità di ricorrere a una procedura semplificata per la trasmissione dei dati fiscali. Tale modalità alternativa, prevista dall’articolo 16 del decreto legislativo 1/2024, rientra nell’ambito della Riforma Fiscale e si applica a partire dalle ritenute operate nel 2025. Il cambiamento riguarda i sostituti d’imposta con una struttura lavorativa contenuta, e ha l’obiettivo di ridurre il carico burocratico, mantenendo comunque il rispetto degli obblighi dichiarativi nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.

Il sistema si basa su una dichiarazione integrata che unisce il versamento tramite Modello F24 all’invio contestuale dei dati fiscali richiesti. L’adempimento, in virtù di quanto stabilito nel provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 31 gennaio 2025, viene giuridicamente equiparato alla trasmissione del Modello 770 tradizionale, garantendo quindi la piena validità dell’operazione anche ai fini fiscali.

Le imprese che possono accedere a questa procedura devono soddisfare specifici criteri. Al 31 dicembre dell’anno precedente, devono aver impiegato non più di cinque dipendenti. Inoltre, devono erogare esclusivamente compensi che costituiscono redditi di lavoro dipendente, autonomo o assimilati, e risultare obbligate ad applicare le ritenute alla fonte. È richiesto che i versamenti delle ritenute e trattenute siano effettuati esclusivamente tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, utilizzando il Modello F24.

La trasmissione semplificata dei dati richiede l’inclusione di diverse informazioni fondamentali. Innanzitutto, devono essere indicati l’importo delle ritenute e trattenute operate, il codice tributo e il periodo di riferimento. Se le trattenute riguardano le addizionali IRPEF regionali e comunali, è necessario specificare la regione o il comune di riferimento. Devono essere riportate anche le note codificate secondo quanto previsto dall’allegato 2 del provvedimento, e l’eventuale presenza di interessi versati in caso di ravvedimento operoso.

È altresì richiesto l’inserimento dei crediti maturati in qualità di sostituto d’imposta, utilizzati in compensazione, indicando sempre il codice tributo e il periodo. Questi crediti, se previsto dalla normativa vigente, possono anche essere impiegati in un separato Modello F24 ordinario per la compensazione di debiti diversi da quelli relativi alle ritenute. L’adempimento richiede inoltre la comunicazione di ulteriori importi a debito o a credito, comprese eventuali sanzioni, secondo quanto stabilito dalla normativa.

Un altro elemento essenziale è la comunicazione del codice IBAN del conto del contribuente, necessario per autorizzare l’addebito automatico del saldo positivo risultante dal Modello F24.

Il nuovo servizio telematico dell’Agenzia delle Entrate per la trasmissione semplificata dei dati è operativo dal 6 febbraio 2025. I sostituti d’imposta in possesso dei requisiti possono trasmettere le comunicazioni direttamente oppure tramite intermediari abilitati, utilizzando le specifiche tecniche allegate al provvedimento.

Il termine per l’invio è fissato al 30 settembre 2025, coincidente con la scadenza ordinaria per la presentazione del Modello 770. È importante notare che tale scadenza resta valida anche in assenza totale o parziale dei versamenti delle ritenute e trattenute.

Per quanto riguarda il periodo transitorio, ossia i mesi di gennaio e febbraio 2025, i sostituti che optano per la procedura semplificata possono comunque eseguire i versamenti con F24 entro le scadenze ordinarie mensili, ma hanno tempo fino al 30 aprile 2025 per effettuare la trasmissione dei dati relativi.

Lo Studio Pallino è a vostra a disposizione per consulenza e assistenza personalizzata.

Modello 770/2025 Semplificato per le Piccole Imprese

 

Normativa di riferimento Art. 16 del D.lgs. 1/2024 – Riforma Fiscale
Provvedimento attuativo Agenzia delle Entrate – 31 gennaio 2025
Validità della procedura Equiparata alla trasmissione del Modello 770 ordinario
Soggetti ammessi Sostituti d’imposta con massimo 5 dipendenti al 31 dicembre dell’anno precedente
Tipologia di redditi Solo compensi che costituiscono redditi di lavoro dipendente, autonomo o assimilati
Obblighi per l’accesso Versamento ritenute e trattenute tramite F24 esclusivamente con i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate
Dati da comunicare Importi, codici tributo, periodo di riferimento, addizionali IRPEF regionali e comunali, interessi, crediti/debiti, IBAN, note tecniche allegato 2
Note obbligatorie Presenti nell’allegato 2 del provvedimento
Modalità di invio Servizio telematico AdE attivo dal 6 febbraio 2025
Chi può trasmettere Il sostituto d’imposta o un intermediario abilitato
Scadenza ordinaria 30 settembre 2025
Eccezioni (gennaio/febbraio) Versamenti entro scadenze ordinarie; invio dati entro 30 aprile 2025
Documenti di supporto Codici tributo, prospetto ritenute, specifiche tecniche, note F24/770 disponibili sul sito dell’Agenzia delle Entrate

FAQ

Chi può utilizzare la procedura semplificata per il Modello 770/2025?

Possono utilizzare la procedura semplificata i sostituti d’imposta che, al 31 dicembre dell’anno precedente, hanno fino a 5 dipendenti e che erogano esclusivamente redditi di lavoro dipendente, autonomo o assimilati, con obbligo di effettuare ritenute alla fonte. Devono inoltre trasmettere il Modello F24 esclusivamente per via telematica tramite i servizi dell’Agenzia delle Entrate.

La procedura semplificata sostituisce completamente il Modello 770?

Sì, per i soggetti ammessi, la comunicazione semplificata inviata contestualmente al Modello F24 è equiparata per legge alla dichiarazione annuale dei sostituti d’imposta (Modello 770). Non è quindi necessario presentare anche il 770 tradizionale, a condizione che vengano rispettate tutte le specifiche tecniche e normative previste.

Quali sono i termini per l’invio dei dati fiscali tramite la nuova procedura?

La comunicazione semplificata deve essere trasmessa entro il 30 settembre 2025, anche in caso di versamenti omessi o parziali. Per i soli mesi di gennaio e febbraio 2025, i dati possono essere trasmessi entro il 30 aprile, mentre i versamenti restano da effettuare secondo le scadenze mensili ordinarie.

A partire dal 2024, l’ordinamento tributario italiano ha introdotto un nuovo strumento volto a semplificare la determinazione dei redditi per i contribuenti di minori dimensioni: il Concordato Preventivo Biennale (CPB). Introdotto con il D.Lgs. n. 13/2024 e successivamente modificato dal D.Lgs. n. 81/2025, tale istituto consente di definire in via preventiva il reddito d’impresa o di lavoro autonomo, nonché il valore della produzione netta ai fini dell’IRAP. L’adesione al CPB per il biennio 2025-2026 deve avvenire entro il 30 settembre 2025, termine fissato anche per comunicare il diniego. Per i contribuenti il cui periodo d’imposta non coincide con l’anno solare, la scadenza è prorogata all’ultimo giorno del nono mese successivo alla chiusura del periodo stesso.

Il nuovo quadro normativo, oltre a ridefinire i termini di adesione, ha visto l’intervento dell’Agenzia delle Entrate, la quale ha predisposto strumenti operativi come il modello CPB e le relative specifiche tecniche per la trasmissione telematica, approvate rispettivamente con i provvedimenti del 9 aprile 2025 e del 24 aprile 2025.

Per accedere al CPB, è necessario che il contribuente soddisfi precisi requisiti normativi e non presenti alcuna causa di esclusione come delineato dagli articoli 10 e 11 del D.Lgs. n. 13/2024. In particolare, il requisito fondamentale è l’effettiva applicazione degli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA). L’esistenza di cause di esclusione dagli ISA nel periodo d’imposta precedente comporta automaticamente anche l’esclusione dal concordato, anche nei casi in cui sussista l’obbligo di compilazione del modello ISA. Tra le cause di esclusione dagli ISA è incluso l’inizio attività nel periodo d’imposta precedente, inteso come apertura della partita IVA.

Un altro requisito fondamentale per l’accesso al CPB è l’assenza di debiti tributari di importo pari o superiore a € 5.000, comprensivi di interessi e sanzioni, relativi a tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate e contributi previdenziali. Tali debiti devono essere definitivamente accertati con sentenza irrevocabile o con atti impositivi non più soggetti a impugnazione. Sono invece esclusi dalla valutazione i debiti oggetto di rateazione o sospensione, a condizione che non sia intervenuta la decadenza dai relativi benefici.

Ai fini dell’adesione al CPB 2025-2026, si considerano unicamente i debiti derivanti da atti notificati e divenuti definitivi entro il 31 dicembre 2024, nonché quelli non più impugnabili o definiti con sentenza passata in giudicato. Non rilevano quindi i debiti per i quali alla medesima data siano ancora pendenti i termini di pagamento, impugnazione o vi sia un contenzioso in corso.

Anche qualora i debiti tributari o contributivi eccedano la soglia di € 5.000, è possibile accedere al CPB se gli stessi vengono estinti entro il termine di accettazione della proposta, purché l’importo residuo non superi il limite previsto.

L’esclusione dal concordato può derivare, inoltre, dalla presenza di determinate condizioni che mettono in discussione l’affidabilità fiscale del contribuente. L’articolo 11 del D.Lgs. n. 13/2024 individua una serie di fattispecie ostative, tra cui:

la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi per almeno uno dei tre periodi d’imposta precedenti, da considerarsi omessa se trasmessa oltre 90 giorni dal termine;

la condanna con sentenza irrevocabile nei tre anni precedenti per reati fiscali, quali evasione di imposte sui redditi e IVA, false comunicazioni sociali, riciclaggio e autoriciclaggio;

il conseguimento, nel periodo d’imposta antecedente, di redditi esenti o esclusi superiori al 40% del reddito d’impresa o di lavoro autonomo. Tra i soggetti rientranti in questa casistica si annoverano, ad esempio, le imprese di pesca costiera e i docenti o ricercatori che beneficiano di regimi di esenzione;

l’adesione al regime forfetario nel primo anno d’imposta oggetto del concordato;

il verificarsi, nel primo anno della proposta, di operazioni straordinarie quali fusioni, scissioni, conferimenti, o modifiche della compagine sociale che comportano un aumento del numero dei soci o associati, con esclusione dei casi di subentro ereditario in società di persone o associazioni.

Non costituiscono invece cause di esclusione le trasformazioni societarie all’interno delle stesse categorie (società di capitali o società di persone) e le modifiche nella compagine delle imprese familiari, che hanno natura individuale e non collettiva. Anche per le società di capitali trasparenti, tali modifiche non comportano esclusione.

L’adesione alla proposta di concordato deve essere formalizzata entro il 30 settembre 2025, o entro l’ultimo giorno del nono mese successivo alla chiusura del periodo d’imposta per i contribuenti con anno non solare. Esistono due modalità operative per esprimere l’adesione:

la prima è congiunta alla trasmissione del Modello ISA, in occasione della presentazione della dichiarazione dei redditi 2025 relativa al periodo d’imposta 2024. In questo caso, la dichiarazione deve essere anticipata rispetto alla scadenza ordinaria del 31 ottobre;

la seconda modalità consiste in una comunicazione autonoma, tramite il frontespizio del Modello REDDITI 2025, nel quale è stata introdotta una specifica casella “Comunicazione CPB”, da compilare con il codice 1 “Adesione”.

In quest’ultimo caso, l’invio del solo frontespizio non assume natura dichiarativa, ma costituisce esclusivamente comunicazione formale di adesione alla proposta di concordato per il biennio 2025-2026.

Queste disposizioni rappresentano un passaggio normativo e operativo di rilievo nell’ambito della fiscalità semplificata, destinato a coinvolgere una platea significativa di contribuenti minori in cerca di stabilità fiscale e prevedibilità degli obblighi tributari.

Lo Studio rimane a disposizione per ogni chiarimento ed assistenza operativa.

Tabella riepilogativa

Termine di adesione 30 settembre 2025 (oppure ultimo giorno del 9° mese successivo alla chiusura del periodo d’imposta)
Normativa di riferimento D.Lgs. n. 13/2024, modificato dal D.Lgs. n. 81/2025
Ambito soggettivo Contribuenti di minori dimensioni soggetti a ISA
Requisiti di accesso Applicazione ISA, assenza debiti ≥ € 5.000 (tributi e contributi definitivi)
Debiti rilevanti Accertati con sentenza irrevocabile o atti non impugnabili, notificati entro il 31/12/2024
Casi di esclusione Dichiarazioni omesse, condanne fiscali, redditi esenti >40%, adesione a forfettario, operazioni straordinarie
Modalità di adesione – Con Mod. ISA in dichiarazione redditi 2025
– Con comunicazione autonoma nel frontespizio del Mod. REDDITI 2025
Modello da usare Modello CPB 2025/2026
Valore concordato Reddito d’impresa/lavoro autonomo e valore produzione netta IRAP

FAQ


Chi non può aderire al CPB anche se ha applicato gli ISA nel periodo d’imposta precedente?

Non può aderire chi presenta debiti tributari o contributivi pari o superiori a € 5.000 (non rateizzati o sospesi), chi ha omesso dichiarazioni nei tre anni precedenti o ha subìto condanne per reati fiscali, oltre ai soggetti coinvolti in operazioni straordinarie o che presentano redditi esenti superiori al 40% del reddito d’impresa o autonomo.

Come si effettua l’adesione al CPB 2025-2026?

L’adesione può avvenire congiuntamente al Modello ISA in fase di trasmissione della dichiarazione dei redditi 2025 (entro il 30 settembre), oppure autonomamente compilando la casella “Comunicazione CPB” nel frontespizio del Mod. REDDITI 2025.

Sono considerati rilevanti i debiti sorti nel 2025?

No. Ai fini dell’accesso al CPB 2025-2026, rilevano solo i debiti risultanti da atti definitivi notificati entro il 31 dicembre 2024. I debiti ancora contestabili o oggetto di contenzioso alla stessa data non sono ostativi.

Il Decreto Legislativo 1° agosto 2025, n. 123, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 186 del 12 agosto 2025, rappresenta il nuovo Testo Unico in materia di imposta di registro e di altri tributi indiretti, approvato in attuazione della Legge Delega 9 agosto 2023, n. 111, finalizzata al riordino del sistema tributario. Le disposizioni contenute nel Testo Unico entreranno in vigore il 1° gennaio 2026, e si pongono come riferimento normativo unificato per diverse imposte indirette, escluse quelle sull’IVA.

L’intervento si inserisce nell’ambito della più ampia riforma fiscale avviata con la citata Legge n. 111/2023, che ha affidato al Governo la delega per l’adozione di testi unici legislativi. In particolare, l’articolo 21 della Legge definisce i principi e criteri direttivi da seguire nel processo di codificazione normativa, stabilendo la necessità di garantire coerenza giuridica e sistematica, semplificazione delle norme, e abrogazione espressa di disposizioni superate o incompatibili.

Il Testo Unico prende atto anche delle modifiche già introdotte con il D.Lgs. 18 settembre 2024, n. 139, il quale ha inciso in modo significativo sull’imposta di registro, l’imposta sulle successioni e donazioni, e sull’imposta di bollo, introducendo novità quali l’autoliquidazione di imposte e la semplificazione di numerosi adempimenti.

Secondo la nuova struttura normativa, il Testo Unico è articolato in sei Parti e comprende 205 articoli. Le sei sezioni trattano rispettivamente: l’imposta di registro; le imposte ipotecaria e catastale; l’imposta sulle successioni e donazioni; l’imposta di bollo e l’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero); i regimi sostitutivi e le agevolazioni; e, infine, le disposizioni varie, transitorie e finali. Ad esso si aggiungono quattro allegati che forniscono tabelle dettagliate sulle tariffe, gli atti soggetti a imposta, ed i coefficienti applicabili.

La Parte I del Testo Unico è dedicata alla disciplina dell’imposta di registro. Qui vengono riprese e sistematizzate le norme precedenti, con l’aggiunta di aggiornamenti in tema di tariffe e di agevolazioni, come il credito d’imposta per l’acquisto della prima casa. Le tabelle allegate (Allegato 1) specificano quali atti sono soggetti a registrazione in termine fisso, in caso d’uso, o esenti.

La Parte II regola le imposte ipotecaria e catastale, offrendo chiarezza sugli atti assoggettati a queste imposte e aggiornando le tariffe secondo i criteri di semplificazione previsti dalla riforma. Anche in questo caso, le informazioni dettagliate sono contenute nell’Allegato 2.

Nella Parte III si tratta l’imposta sulle successioni e donazioni, oggetto di importanti interventi. Tra le principali novità vi è l’introduzione del principio di autoliquidazione da parte dei soggetti obbligati alla dichiarazione di successione. È stato inoltre ridefinito il regime impositivo del trust, con l’individuazione del presupposto impositivo nel momento del trasferimento effettivo ai beneficiari. Sono stati previsti esoneri per i trasferimenti familiari di aziende e partecipazioni, e modifiche per quanto riguarda la tassazione delle liberalità indirette. È stato abrogato il coacervo successorio, e sono state introdotte norme di coordinamento con le imposte ipotecarie e catastali.

La Parte IV si concentra sull’imposta di bollo e sull’IVAFE. L’approccio normativo ha privilegiato la semplificazione delle procedure e la valorizzazione della dematerializzazione dei documenti. L’Allegato 3 include le tariffe con riferimento agli atti soggetti all’imposta fin dall’origine, in caso d’uso, e quelli esenti.

La Parte V raccoglie le disposizioni relative a regimi sostitutivi e agevolazioni, che sono già oggetto di leggi speciali, ma qui sono sistematizzate esclusivamente per le imposte trattate nel Testo Unico. Questo non include, invece, agevolazioni trasversali a più imposte.

La Parte VI, infine, comprende le disposizioni varie, transitorie e finali, e si chiude con un elenco delle norme abrogate. Tra queste figurano alcuni testi fondamentali precedenti, tra cui il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 (imposta di bollo), il D.P.R. 31 ottobre 1986, n. 131 (imposta di registro), e i D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 e 347 (imposte di successione e donazione, ipotecaria e catastale).

È utile precisare che, pur essendo entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione, il Testo Unico troverà applicazione a partire dal 1° gennaio 2026, come stabilito dall’articolo 205. Inoltre, l’articolo 204 dispone l’abrogazione espressa delle norme precedenti a partire dalla stessa data.

Nel suo impianto generale, il Testo Unico ha una natura prevalentemente compilativa, finalizzata alla sistematizzazione delle disposizioni vigenti. Le modifiche sostanziali sono limitate ai casi in cui le norme risultavano obsolete o necessitavano di coordinamento sistematico. Alcuni esempi includono l’integrazione nella tariffa dell’imposta di registro del meccanismo di credito d’imposta per la “prima casa”, già previsto dalla normativa previgente.

La Relazione Illustrativa allegata al Decreto chiarisce che il riordino è stato effettuato nel rispetto della delega conferita dalla Legge n. 111/2023, con riferimento ai criteri direttivi elencati all’articolo 21 e alle semplificazioni di cui all’articolo 10. La procedura adottata non ha previsto il parere preventivo del Consiglio di Stato, data la specialità della materia e la necessità di aggiornamenti rapidi, secondo quanto stabilito dalla stessa legge delega.

In aggiunta alla struttura normativa, l’intervento legislativo si è anche avvalso delle indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate, in particolare con la Circolare n. 2 del 14 marzo 2025, che ha fornito chiarimenti in tema di imposte di registro, ipotecaria, catastale, di bollo e altri tributi indiretti.

FAQ

Quando entrerà in vigore il nuovo Testo Unico sull’imposta di registro e sugli altri tributi indiretti?
Il nuovo Testo Unico, approvato con il D.Lgs. 1° agosto 2025, n. 123, entrerà in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione, ma le sue disposizioni si applicheranno a partire dal 1° gennaio 2026, come stabilito dall’articolo 205.

Quali imposte sono disciplinate dal Testo Unico?
Il Testo Unico disciplina l’imposta di registro, l’imposta sulle successioni e donazioni, l’imposta di bollo, le imposte ipotecaria e catastale, nonché i regimi sostitutivi e le agevolazioni riferite esclusivamente a queste imposte.

Il Testo Unico introduce nuove modalità di pagamento per le imposte?
Sì, uno degli obiettivi principali è la semplificazione degli adempimenti, anche tramite l’autoliquidazione dell’imposta di registro e di successione, nonché l’uso di sistemi di pagamento elettronici per rendere più efficiente la riscossione.

Sono stati abrogati testi normativi precedenti?
Sì. Il Testo Unico ha abrogato espressamente diverse normative previgenti, tra cui il D.P.R. n. 131/1986 (imposta di registro), il D.Lgs. n. 346/1990 (successioni e donazioni), e il D.P.R. n. 642/1972 (imposta di bollo), i cui contenuti sono stati trasfusi e aggiornati nel nuovo corpus normativo.

Il Testo Unico comporta modifiche sostanziali alle imposte esistenti?
Il Testo ha carattere prevalentemente compilativo. Le modifiche sostanziali sono limitate a casi specifici come l’introduzione dell’autoliquidazione, il riordino della tassazione del trust, l’abrogazione del coacervo successorio, e l’integrazione del credito d’imposta per la prima casa.

L’entrata in vigore della patente a crediti nei cantieri, introdotta dal D.M. n. 132/2024, ha sancito un nuovo sistema di qualificazione per imprese e lavoratori autonomi. Tale strumento attribuisce un punteggio iniziale di 30 crediti, prevedendo però la possibilità di un incremento fino a un massimo di 100 crediti, a condizione che vengano soddisfatti alcuni requisiti aggiuntivi.

Per chiarire le modalità applicative del sistema e le condizioni per ottenere tali crediti, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha emanato la Nota n. 288 del 15 luglio 2025, contenente dettagliate indicazioni operative rivolte a imprese e lavoratori autonomi .

Secondo il D.M. 132/2024, la patente è dotata di un punteggio iniziale di 30 crediti, ma è previsto l’incremento fino alla soglia massima di 100 crediti, in virtù del possesso di particolari requisiti indicati nella tabella allegata al decreto .

La Nota INL n. 288/2025 offre un’analisi puntuale dei criteri per beneficiare dei crediti aggiuntivi, in accordo con l’articolo 5, comma 7 del D.M. 132/2024, introducendo chiare linee operative sulle modalità di riconoscimento.

Per quanto riguarda l’anzianità di iscrizione alla CCIAA, si stabilisce che l’anzianità dà diritto a un riconoscimento massimo di 10 crediti. I crediti sono incrementali e non cumulabili: appartenere a una fascia di anzianità più elevata attribuisce il credito corrispondente alla fascia superiore. A titolo esemplificativo, un’impresa iscritta da 10 anni ottiene 3 crediti, che passano a 5 crediti al compimento dell’undicesimo anno.

Il sistema operativo prevede che, per le imprese (incluse le imprese individuali) e i lavoratori autonomi iscritti alla CCIAA, il dato sia acquisito automaticamente dalle banche dati. Per i soggetti esteri o non iscritti, è prevista una autodichiarazione a cura del legale rappresentante secondo quanto precisato dalla Nota.

Riferendosi ai requisiti legati al tema della salute e sicurezza sul lavoro, la Nota distingue due ambiti distinti. In primo luogo, il possesso di un Sistema di Gestione della Salute e Sicurezza (SGSL) conforme alla norma UNI EN ISO 45001, vale 5 crediti, a condizione che la certificazione sia rilasciata da un organismo accreditato presso ACCREDIA e che il legale rappresentante o suo delegato alleggi la certificazione con data di inizio e fine validità (tipicamente triennale), aggiornandola sul portale anche un mese prima della scadenza.

In secondo luogo, la Nota prevede 4 crediti in caso di adozione di un Modello di Organizzazione e Gestione (MOG) ex articolo 30 del D.Lgs. 81/2008, asseverato da un organismo paritetico iscritto al repertorio nazionale. Anche in questo caso, il rappresentante legale o suo delegato deve allegare l’asseverazione comprensiva di date di validità e potrà aggiornarla un mese prima della scadenza.

L’INL chiarisce anche le modalità operative previste per i casi non inclusi nelle fasce precedenti. In particolare, il possesso di una certificazione SOA di classifica I attribuisce 1 credito, mentre una certificazione di classifica II attribuisce 2 crediti. Il rappresentante legale o delegato deve allegare l’attestazione indipendentemente dalla categoria, indicando la validità e potendo aggiornare il dato in prossimità della scadenza.

È previsto anche il riconoscimento di 2 crediti per attività di consulenza e monitoraggio svolte da organismi paritetici, con rilascio di un’attestazione positiva. In tal caso, come per gli altri requisiti, l’attestazione va allegata con date di validità e potrà essere aggiornata un mese prima della scadenza.

La Nota INL dedica attenzione anche agli aspetti gestionali dei crediti aggiuntivi. In caso di sospensione o perdita di validità di un requisito (come SGSL certificato, MOG asseverato o SOA), tocca all’impresa, tramite il legale rappresentante o delegato, contattare tempestivamente un Ufficio territoriale dell’INL per comunicare la perdita di validità e allegare i documenti giustificativi, al fine di procedere alla sottrazione del punteggio corrispondente.

La Nota chiarisce altresì che, in sede di ispezione, qualora emerga l’assenza reale di uno dei requisiti, l’ispettore può proporre l’invalidazione tramite l’applicativo “Verifica Patente a Crediti”, la quale sarà successivamente convalidata da un dirigente dell’Ufficio competente e comunicata formalmente al rappresentante legale.

Per quanto concerne le rettifiche dei dati inseriti erroneamente, queste possono essere effettuate autonomamente dal legale rappresentante o suo delegato prima dell’aggiornamento del punteggio, che avviene normalmente tra le ore 00:00 e 03:00. Se l’errore viene rilevato dopo questo momento, la rettifica deve essere richiesta all’Ufficio territoriale dell’INL, anche tramite PEC, allegando motivazione e codice fiscale dell’impresa.

La Nota INL dedica poi un ampio spazio alle indicazioni rivolte ai soggetti non italiani o privi di identità digitale. In questi casi, ossia cittadini comunitari privi di identità eIDAS o extracomunitari, occorre contattare un Ufficio territoriale dell’INL per essere identificati di persona, via PEC o tramite servizi MS Teams. Anche i professionisti che operano nei cantieri e non sono iscritti alla Camera di Commercio (come ad esempio archeologi) devono attivarsi presso l’Ufficio territoriale per ottenere l’attestazione d’ufficio, necessaria per il riconoscimento dell’anzianità o del possesso della patente stessa.

Infine, la Nota è strettamente collegata al funzionamento del Portale dei Servizi dell’INL, reso disponibile a partire dal 10 luglio, che include funzionalità dedicate alla gestione della patente a crediti e alla richiesta dei relativi crediti aggiuntivi.

Ecco una tabella riassuntiva dei criteri per l’attribuzione dei crediti aggiuntivi previsti dalla patente a crediti, come chiarito dalla Nota INL n. 288/2025:

Requisito Crediti assegnati Modalità di verifica Validità / Aggiornamento
Anzianità iscrizione CCIAA Fino a 10 crediti (incrementali e non cumulabili) Autodichiarazione o verifica da banche dati Valido secondo anzianità (es. 10 anni = 3 crediti)
Certificazione SGSL UNI EN ISO 45001 5 crediti Certificato accreditato ACCREDIA allegato dal legale rappresentante 3 anni, aggiornabile un mese prima della scadenza
Modello Organizzativo ex art. 30 D.Lgs. 81/2008 asseverato 4 crediti Asseverazione allegata da organismo paritetico Validità secondo attestazione, aggiornabile
Certificazione SOA Classifica I = 1 credito
Classifica II = 2 crediti
Attestazione allegata con periodo di validità Rinnovabile alla scadenza, aggiornabile
Consulenza periodica da organismo paritetico 2 crediti Attestazione positiva dell’organismo Validità annuale, allegare e aggiornare attestazione
Perdita di requisiti Sottrazione dei crediti corrispondenti Comunicazione all’INL con documentazione Obbligo di segnalazione entro breve termine
Rettifiche dati errati Prima dell’aggiornamento notturno (00:00–03:00) via portale o PEC Specificare motivazione e codice fiscale
Soggetti esteri o non iscritti CCIAA Variabile Richiesta manuale presso INL (in persona, PEC o Teams) Necessaria per accesso al sistema

Per ulteriori dettagli e chiarimenti il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

 

Il tema del licenziamento individuale nel diritto del lavoro italiano ha attraversato nel tempo una significativa trasformazione, evolvendo da una disciplina priva di vincoli stringenti a un sistema articolato di tutele che riflette la necessità di bilanciare l’interesse economico delle imprese con quello della protezione del lavoratore.

Uno dei momenti più significativi di questo percorso normativo è rappresentato dall’introduzione del Jobs Act, con il decreto legislativo 23/2015, che ha previsto un nuovo regime sanzionatorio per i licenziamenti dei lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015. Tuttavia, recenti pronunce della Corte Costituzionale, come le sentenze n. 111 e n. 118 del 2025, hanno evidenziato profili di illegittimità costituzionale di alcune di queste disposizioni, confermando una tendenza ormai consolidata della giurisprudenza costituzionale ad intervenire nel settore.

Il Jobs Act ha segnato un punto di svolta, introducendo il contratto a tutele crescenti e stabilendo un regime sanzionatorio basato sull’anzianità di servizio, applicabile solo ai nuovi assunti. Questo meccanismo, ritenuto più favorevole per le aziende, ha sollevato critiche fin dall’inizio per la sua rigidità e per l’impatto limitato delle tutele previste in caso di licenziamento illegittimo.

Proprio su questo aspetto si sono concentrate le recenti censure della Corte Costituzionale, che ha dichiarato incostituzionali alcune previsioni del d.lgs. 23/2015, in particolare per la mancata discrezionalità riconosciuta al giudice nella determinazione dell’indennità.

Il successivo Decreto Dignità ha cercato di riequilibrare la disciplina aumentando i limiti minimi e massimi delle indennità risarcitorie. Tuttavia, il sistema resta oggi estremamente articolato e dipendente da tre fattori: i vizi del licenziamento, le dimensioni aziendali e la data di assunzione del lavoratore.

I vizi del licenziamento includono, tra gli altri, l’assenza di giusta causa o giustificato motivo, la violazione delle procedure previste dalla legge (come quella disciplinare ex articolo 7 dello Statuto dei lavoratori), la mancata motivazione nella lettera di licenziamento e le ipotesi più gravi come i licenziamenti discriminatori o ritorsivi. Particolare attenzione è rivolta alla tutela della maternità e della paternità, per cui vige un esplicito divieto di licenziamento in specifici periodi temporali.

Quanto alle dimensioni aziendali, queste incidono direttamente sul tipo di sanzione applicabile. Le imprese con più di 15 dipendenti (o 5 in ambito agricolo) sono soggette a regole più stringenti, mentre le piccole aziende continuano ad usufruire di una disciplina più flessibile. Il calcolo del numero di dipendenti, ai fini dell’applicazione delle tutele, deve considerare l’occupazione media degli ultimi sei mesi, includendo i lavoratori a tempo indeterminato, part-time, a termine e intermittenti, ma escludendo gli apprendisti, i somministrati e i sostituti.

Un ulteriore criterio determinante è rappresentato dalla data di assunzione: i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 godono della tutela reale piena prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori o, nelle piccole aziende, della disciplina prevista dall’articolo 8 della legge 604/1966. Per i lavoratori assunti successivamente, trovano invece applicazione le norme del d.lgs. 23/2015, modificate dal Decreto Dignità. Ciò comporta una distinzione normativa che la giurisprudenza ha spesso ritenuto in contrasto con il principio di eguaglianza.

Le pronunce della Corte Costituzionale hanno avuto un impatto determinante su questo assetto. Le sentenze n. 111 e 118 del 2025 si inseriscono in un filone giurisprudenziale avviato già nel 2018, che mette in discussione l’efficacia del sistema sanzionatorio del Jobs Act. I giudici hanno evidenziato come l’automatismo nella determinazione dell’indennità sulla base della sola anzianità di servizio sia lesivo del principio di proporzionalità, oltre che inadatto a garantire una tutela effettiva al lavoratore. Questa posizione conferma l’indirizzo della Corte volto a garantire una maggiore discrezionalità al giudice e un sistema di tutele coerente con i principi costituzionali.

Anche sul piano procedurale si riscontrano profonde differenze tra le varie tipologie di licenziamento. Il giustificato motivo soggettivo si riferisce a condotte imputabili al lavoratore e, pur non raggiungendo la soglia della giusta causa, rendono necessario il recesso. Il giustificato motivo oggettivo invece riguarda l’organizzazione aziendale e impone il rispetto di procedure specifiche, come l’obbligo di repechage e, per i lavoratori assunti prima del Jobs Act, il ricorso alla procedura presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

Infine, il regime sanzionatorio prevede diverse tipologie di tutela reale o indennitaria, a seconda del tipo di vizio riscontrato. Le aziende sopra i 15 dipendenti possono essere soggette alla reintegrazione del lavoratore, con pagamento delle retribuzioni arretrate e contributi previdenziali, oppure al pagamento di un’indennità compresa tra 6 e 24 mensilità, a seconda della gravità della violazione. Per le piccole aziende, invece, la sanzione consiste spesso in un’indennità ridotta, tra 2,5 e 6 mensilità.

Per maggiori chiarimenti su questo tema e per una consulenza personalizzata il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

Tabella riassuntiva del regime sanzionatorio per licenziamenti illegittimi

Azienda Data di assunzione Fattispecie di licenziamento illegittimo Sanzione applicata
Fino a 15 dipendenti Prima del 07/03/2015 Licenziamento nullo o orale Tutela reale piena (reintegra + risarcimento minimo 5 mensilità)
Fino a 15 dipendenti Prima del 07/03/2015 Difetto di giusta causa o giustificato motivo, vizi procedurali Tutela obbligatoria (riassunzione o indennità 2,5-6 mensilità)
Oltre 15 dipendenti Prima del 07/03/2015 Licenziamento nullo o orale Tutela reale piena (reintegra + risarcimento minimo 5 mensilità + contributi)
Oltre 15 dipendenti Prima del 07/03/2015 Insussistenza del fatto o vizio grave Tutela reale attenuata (reintegra + risarcimento max 12 mensilità)
Oltre 15 dipendenti Prima del 07/03/2015 Altri vizi non gravi Tutela obbligatoria forte (indennità tra 12 e 24 mensilità)
Oltre 15 dipendenti Prima del 07/03/2015 Vizi formali/procedurali Tutela obbligatoria debole (indennità tra 6 e 12 mensilità)
Fino a 15 dipendenti Dopo il 07/03/2015 Qualsiasi vizio di legittimità Tutele crescenti (indennità tra 6 e 36 mensilità, secondo anzianità)
Oltre 15 dipendenti Dopo il 07/03/2015 Idem come sopra Tutele crescenti (con limiti di indennità raddoppiati dal Decreto Dignità)

 

Il Decreto-Legge n. 95 del 2025, noto anche come “Decreto Economia” o “Decreto Sviluppo 2025”, è stato emanato dal Governo con l’obiettivo di rafforzare la crescita economica, promuovere lo sviluppo territoriale, sostenere le infrastrutture strategiche e incentivare la coesione sociale attraverso un insieme coordinato di misure. L’iter normativo si è completato con l’approvazione definitiva del disegno di legge A.C. 2551 da parte della Camera dei deputati il 6 agosto 2025, sancendo la conversione in legge del decreto-legge originario del 30 giugno 2025.

Il provvedimento assume la forma di un decreto omnibus, in quanto racchiude interventi in ambiti diversi, tutti riconducibili alla strategia di rilancio del sistema economico-produttivo nazionale.

L’intervento è rivolto a imprese, enti locali, organizzazioni del terzo settore, comunità territoriali e soggetti pubblici e privati, con l’obiettivo di favorire investimenti, innovazione, sostenibilità e inclusione, mediante strumenti finanziari, semplificazioni normative e programmazione multilivello.

Elemento cardine della nuova normativa è l’istituzione del Fondo nazionale per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, con una dotazione iniziale pari a 10 miliardi di euro. Tale fondo è gestito dall’Agenzia per la Coesione Territoriale e destinato a finanziare progetti a forte impatto occupazionale, sociale e ambientale.

Le risorse potranno essere impiegate per sostenere interventi di rigenerazione urbana, potenziamento dei servizi pubblici locali, infrastrutture strategiche, sviluppo industriale e inclusione sociale. Il fondo rappresenta il perno finanziario attraverso cui si attueranno le principali misure previste dalla legge.

Per agevolare l’accesso ai fondi, il decreto introduce anche un sistema di semplificazione amministrativa, con la previsione di sportelli digitali unificati, riduzione dei tempi di istruttoria e maggiore trasparenza nei criteri di selezione dei progetti. L’intento è rendere più efficiente il processo di attuazione e coinvolgere in modo attivo sia le amministrazioni pubbliche sia il sistema imprenditoriale e associativo.

Un’altra misura strutturale contenuta nella legge è la definizione dei contratti di sviluppo territoriali, strumenti negoziali pensati per realizzare interventi integrati nei territori mediante il coordinamento tra amministrazioni centrali, enti locali e soggetti privati. Questi contratti saranno promossi dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in collaborazione con l’Agenzia per l’Attrazione degli Investimenti, e potranno finanziare iniziative nei settori della manifattura avanzata, logistica, turismo sostenibile, tecnologie digitali e energie rinnovabili. I contratti saranno attivabili anche su iniziativa dei comuni o delle comunità locali, e potranno prevedere il coinvolgimento di finanza pubblica e privata.

Il decreto prevede inoltre l’elaborazione di un Piano Nazionale per la Competitività Industriale, che sarà coordinato dal Comitato interministeriale per la politica industriale. Questo piano ha la funzione di individuare le filiere produttive strategiche da sostenere con risorse dedicate. Tra i settori prioritari sono indicati l’energia, l’automotive, la microelettronica, la farmaceutica e l’intelligenza artificiale. L’obiettivo è consolidare il posizionamento dell’Italia nei comparti ad alta tecnologia e favorire la transizione verso un’economia fondata sull’innovazione e la competitività internazionale.

Particolare attenzione è riservata alla transizione ecologica e digitale. La legge introduce misure che incentivano l’adozione di tecnologie digitali, la decarbonizzazione dei processi produttivi, l’efficienza energetica e lo sviluppo di pratiche industriali sostenibili. Le imprese potranno accedere a voucher per la digitalizzazione, strumenti di finanziamento per la riconversione ecologica e meccanismi di sostegno alla ricerca e sviluppo applicata.

Nel campo del terzo settore, il provvedimento prevede azioni di sostegno specifico a favore di imprese sociali, cooperative e organizzazioni di volontariato, attraverso contributi diretti, finanziamenti agevolati e facilitazioni nell’accesso ai fondi nazionali. Tali misure sono rivolte a progetti che promuovano l’inclusione sociale, il miglioramento della qualità della vita nelle comunità e la creazione di servizi di prossimità. Le risorse dedicate saranno assegnate tramite bandi pubblici, disciplinati dai decreti attuativi in corso di elaborazione.

Per quanto riguarda le infrastrutture, la legge stabilisce finanziamenti per opere pubbliche strategiche, con riferimento particolare ai corridoi TEN-T europei, alla modernizzazione della rete ferroviaria regionale, allo sviluppo portuale, alla logistica e alla connettività digitale. Gli enti beneficiari potranno accedere a programmi di finanziamento pluriennali, con possibilità di anticipazione delle risorse a fronte della presentazione di progetti esecutivi già validati. Gli interventi sono orientati a migliorare l’accessibilità, la mobilità sostenibile e la competitività logistica dei territori.

Il DL convertito in legge interviene anche sulle aree interne e marginali, attraverso il Programma nazionale per la resilienza delle comunità locali, gestito in coordinamento con la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Questo programma sostiene interventi destinati ai piccoli comuni, alle zone montane e alle comunità in difficoltà demografica, con azioni rivolte alla valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale, al rafforzamento dei servizi essenziali e al rilancio dell’imprenditoria locale.

L’intera attuazione delle misure è sottoposta al coordinamento di una cabina di regia interministeriale, incaricata di monitorare l’avanzamento dei progetti e assicurare la coerenza tra le diverse linee di intervento. Sono previste relazioni periodiche che illustreranno lo stato di utilizzo delle risorse, l’impatto delle misure sui territori e i risultati raggiunti.

Le risorse complessive previste dalla legge ammontano a circa 15 miliardi di euro, suddivise tra il Fondo nazionale per lo sviluppo economico, sociale e territoriale e altri programmi specifici per settori e territori. L’accesso ai fondi sarà disciplinato dai decreti attuativi e dai bandi pubblici che stabiliranno i criteri di ammissibilità, le modalità di candidatura e le priorità di finanziamento.

Per chiarimenti e per consulenza personalizzata il nostro tema di esperti è a vostra disposizione.

 

Conversione in legge Approvata dalla Camera dei deputati il 6 agosto 2025 (Disegno di legge A.C. 2551)
Tipologia normativa Decreto-legge omnibus (multi-settore)
Obiettivo generale Sviluppo economico, coesione sociale, investimenti pubblici e privati, rafforzamento delle infrastrutture
Soggetti destinatari Imprese, enti locali, organizzazioni del terzo settore, comunità territoriali, soggetti pubblici e privati
Fondo principale istituito Fondo nazionale per lo sviluppo economico, sociale e territoriale
Gestione del Fondo Agenzia per la Coesione Territoriale
Dotazione iniziale del Fondo 10 miliardi di euro
Altre risorse complessive previste Totale: circa 15 miliardi di euro (inclusi fondi per settori e programmi specifici)
Strumenti introdotti Contratti di sviluppo territoriali – Piano Nazionale per la Competitività Industriale – Programma per la resilienza delle comunità locali
Settori prioritari Energia, automotive, microelettronica, farmaceutica, intelligenza artificiale
Incentivi previsti Voucher digitalizzazione – Finanziamenti per efficienza energetica – Sostegno alla transizione ecologica
Semplificazioni amministrative Sportelli digitali, procedure unificate, riduzione dei tempi istruttori
Ambiti territoriali strategici Aree interne, piccoli comuni, zone a rischio spopolamento
Cabina di regia Interministeriale – Coordinamento attuativo e monitoraggio nazionale
Bandi pubblici In fase di definizione tramite decreti attuativi – accesso aperto a soggetti pubblici e privati
Obiettivi trasversali Crescita sostenibile, inclusione sociale, innovazione, rilancio industriale, rafforzamento dei servizi essenziali

 

La maxi deduzione costo del lavoro rappresenta una misura di grande rilievo prevista a partire dal 2025, inserita nel quadro della riforma fiscale delineata dalla Legge n. 111/2023. Il principio guida di questa nuova disciplina consiste nel rafforzare il ruolo dei costi per lavoro dipendente ai fini della determinazione del reddito d’impresa e del reddito di lavoro autonomo.

La disposizione mira a incentivare l’occupazione, in particolare quella stabile e giovanile, attraverso una deduzione potenziata rispetto al trattamento attualmente in vigore.

L’obiettivo della nuova deduzione è quello di favorire l’incremento occupazionale mediante una leva fiscale specifica e differenziata. La misura consente di dedurre dal reddito una quota maggiorata del costo del lavoro, in base alla tipologia di lavoratore assunto e alla forma contrattuale.

La logica di fondo è quella di rendere più competitivo il costo del lavoro stabile, premiando soprattutto l’assunzione di giovani under 30 e la contrattualizzazione a tempo indeterminato.

La decorrenza della maxi deduzione è fissata a partire dal 2025, con effetti applicabili già nel 2026 in sede di dichiarazione dei redditi relativa all’anno precedente. Tuttavia, la misura assume carattere strutturale, in quanto prevista come modifica permanente all’impianto normativo esistente.

La nuova disciplina prevede diverse forme di deduzione, differenziate in base alla tipologia di lavoratori e alla natura del contratto. È prevista una deduzione base applicabile a tutto il costo del lavoro dipendente, e deduzioni incrementali per le assunzioni a tempo indeterminato e per i lavoratori sotto i trent’anni di età.

I soggetti beneficiari della maxi deduzione costo del lavoro sono tutti i titolari di reddito d’impresa e di lavoro autonomo che impiegano lavoratori dipendenti. La misura riguarda quindi tanto le imprese individuali quanto le società, senza esclusione di forma giuridica. È inclusa anche la platea dei professionisti, purché si avvalgano di personale dipendente nella propria attività.

Una delle principali novità normative consiste nell’estensione della maxi deduzione anche ai soggetti che aderiscono al concordato preventivo biennale.

In pratica, l’ammontare dedotto in base alla nuova disciplina viene considerato rilevante ai fini del calcolo del reddito concordato, contribuendo a una maggiore aderenza alla capacità contributiva reale del contribuente.

Nel contesto del concordato preventivo biennale, il reddito stimato tiene conto anche delle deduzioni legate al costo del lavoro secondo il nuovo meccanismo. Questo significa che il beneficio fiscale derivante dall’assunzione di lavoratori rientra pienamente nel sistema di determinazione automatica del reddito.

I valori rilevanti per il calcolo della maxi deduzione includono l’intero ammontare del costo del lavoro sostenuto, al netto di eventuali contributi o agevolazioni già ottenute. L’importo deducibile è poi modulato secondo le percentuali stabilite in base alla categoria di lavoratore e alla durata del contratto. Questi valori sono automaticamente incorporati nella base dati dell’Agenzia delle Entrate, garantendo trasparenza e coerenza nell’attribuzione del beneficio.

Dal punto di vista contabile, la maxi deduzione costo del lavoro comporta una differenziazione tra reddito effettivo e reddito concordato. Nei modelli dichiarativi, dovranno essere evidenziate separatamente le componenti reddituali assoggettate alla deduzione potenziata, al fine di rendere tracciabile l’operazione ai fini del controllo fiscale.

I modelli dichiarativi verranno adeguati per recepire le nuove regole in materia di deducibilità del costo del lavoro. Saranno introdotti specifici quadri o sezioni per l’indicazione dell’importo dedotto e delle relative motivazioni. In questo modo sarà possibile monitorare l’utilizzo effettivo della misura, anche ai fini delle analisi statistiche dell’amministrazione finanziaria.

La normativa precedente prevedeva una deduzione standardizzata dei costi per lavoro dipendente, senza una specifica premialità in base alla natura dell’assunzione. Con la nuova maxi deduzione costo del lavoro, si introduce un principio di selettività che premia l’occupazione stabile e giovanile, superando l’uniformità del passato.

La misura si colloca in una cornice più ampia di politiche per il lavoro e di incentivi fiscali. Essa può essere integrata con altri strumenti già previsti, come esoneri contributivi, crediti d’imposta per assunzioni e agevolazioni per zone svantaggiate. L’integrazione tra strumenti diversi deve però essere gestita con attenzione, evitando il rischio di cumulo non compatibile.

Per accedere alla maxi deduzione, le imprese devono rispettare specifici obblighi documentali, tra cui la conservazione delle copie dei contratti, delle buste paga e della documentazione attestante la tipologia di lavoratore. Questi documenti saranno soggetti a eventuali verifiche da parte dell’Agenzia delle Entrate, in un’ottica di contrasto all’evasione fiscale e di verifica dell’effettività dell’assunzione.

L’attuazione della maxi deduzione costo del lavoro sarà supportata da strumenti digitali messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate. Le procedure saranno automatizzate, con calcolo precompilato e accesso alle informazioni attraverso i canali telematici.

In base alle previsioni normative, l’introduzione della maxi deduzione costo del lavoro dovrebbe generare un effetto positivo sulla creazione di posti di lavoro, soprattutto tra i giovani e nelle aree ad alto tasso di disoccupazione. Il meccanismo fiscale è progettato per ridurre il costo netto del lavoro per il datore, rendendo più sostenibile l’assunzione a lungo termine.

Il legislatore ha previsto strumenti di monitoraggio dell’impatto della nuova misura, mediante l’analisi dei dati dichiarativi e l’evoluzione dell’occupazione. Tali attività saranno coordinate dall’Agenzia delle Entrate in collaborazione con il Ministero del Lavoro, con l’obiettivo di verificare l’efficacia della leva fiscale utilizzata.

Per maggiori chiarimenti e per consulenze personalizzate il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

FAQ

Che cos’è la maxi deduzione costo del lavoro?
È una misura fiscale che consente di dedurre in misura maggiorata il costo del lavoro dipendente, a partire dal 2025.

Chi può beneficiare della maxi deduzione?
Tutti i titolari di reddito d’impresa e di lavoro autonomo che impiegano lavoratori dipendenti.

È applicabile anche nel regime di concordato preventivo biennale?
Sì, la deduzione rileva anche ai fini della determinazione del reddito concordato.

Quali lavoratori danno diritto alla deduzione potenziata?
Lavoratori assunti a tempo indeterminato e lavoratori con meno di 30 anni di età.

Come viene calcolata la deduzione?
In base al costo effettivo del lavoro sostenuto, modulato per tipologia contrattuale e anagrafica.

Sono previsti obblighi documentali?
Sì, è necessario conservare contratti, documentazione retributiva e attestazioni relative ai lavoratori.

Dal 1° luglio 2025 le società quotate FTSE MIB non applicano più lo split payment: cosa cambia per Iva e fatturazione.

Questa novità, in vigore dal mese corrente, nasce dall’attuazione di una direttiva europea che modifica radicalmente le modalità di applicazione dell’imposta, e trova attuazione nell’articolo 10 del D.L. n. 84/2025, che ha soppresso la lettera d) dell’articolo 17-ter, comma 1-bis, del Dpr n. 633/1972.

Il nuovo quadro normativo segue le indicazioni della Decisione di esecuzione 2023/1552 del Consiglio dell’Unione europea, che aveva autorizzato la proroga dello split payment per tutti i soggetti interessati fino al 30 giugno 2026, ma aveva previsto specificamente l’esclusione delle società quotate FTSE MIB dal meccanismo a partire dal 1° luglio 2025.

Nel dettaglio, il sistema dello split payment ha previsto che, nelle operazioni con le Pubbliche Amministrazioni, con società controllate e con determinati altri enti, sia il committente o cessionario – invece del fornitore – a versare direttamente l’imposta all’Erario.

Fino al 30 giugno 2025, anche le società quotate nel FTSE MIB rientravano tra i destinatari di questo regime speciale, ma dal 1° luglio, per effetto dell’abrogazione della lettera d) sopra citata, tali società sono definitivamente escluse dal perimetro dello split payment.

Per tutte le fatture emesse a partire dal 1° luglio 2025 nei confronti di società quotate FTSE MIB, il versamento dell’Iva torna a essere di competenza del fornitore, secondo il regime ordinario di rivalsa. Le società fornitrici e i professionisti dovranno quindi emettere fattura ordinaria, incassare l’Iva e successivamente versarla secondo le normali scadenze previste dalla legge.

L’Agenzia delle Entrate, attraverso le proprie FAQ pubblicate a fine giugno, ha precisato che la data di emissione della fattura elettronica rappresenta l’elemento determinante per individuare il regime applicabile: tutte le fatture con data di emissione fino al 30 giugno 2025 restano soggette allo split payment, mentre per quelle con data successiva al 1° luglio 2025 si applicherà il regime ordinario. In altre parole, il meccanismo di scissione dei pagamenti si considera superato solo per le operazioni fatturate dal 1° luglio in avanti.

Un’ulteriore attenzione riguarda le diverse tipologie di fatturazione. Nel caso delle fatture immediate, che possono essere emesse entro dodici giorni dall’effettuazione dell’operazione, fa fede la data riportata in fattura: se la data è anteriore o pari al 30 giugno, si applica ancora lo split payment, indipendentemente dal giorno di trasmissione al Sistema di Interscambio. Per le fatture differite, che possono essere emesse entro il quindicesimo giorno del mese successivo rispetto a quello in cui l’operazione è stata effettuata, la data di riferimento è sempre quella riportata nel documento elettronico.

Dal punto di vista strettamente normativo, a partire dal 1° luglio 2025 la lettera d) dell’articolo 17-ter, comma 1-bis, del Dpr n. 633/1972 risulta abrogata. Pertanto, l’obbligo di scissione dei pagamenti resta valido solo per gli altri soggetti individuati dalla norma, come enti pubblici, fondazioni e società controllate, ai quali continua ad applicarsi lo split payment secondo le regole in vigore.

Per maggiori chiarimenti e per assistenza personalizzata il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

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