Dal 10 ottobre 2025 entra in vigore una delle più significative riforme italiane sul fronte tecnologico e lavorativo: la legge n. 132/2025, intitolata Disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale. Questo nuovo provvedimento rappresenta il primo intervento organico volto a regolamentare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale (IA) nel mondo del lavoro, nelle professioni e nella pubblica amministrazione, fissando principi, diritti e obblighi destinati a ridefinire il rapporto tra uomo e tecnologia.

L’obiettivo è quello di garantire un impiego dell’IA trasparente, responsabile e rispettoso dei diritti fondamentali della persona. Il legislatore sottolinea come la tecnologia debba essere al servizio dell’uomo e non sostituirlo, con un approccio antropocentrico che salvaguardi la dignità, la libertà e l’autonomia del lavoratore e del cittadino. All’interno di questo quadro, la legge promuove uno sviluppo dell’IA che sia anche etico, valorizzando l’innovazione ma all’interno di confini ben definiti.

Un punto centrale della legge riguarda l’ambito lavorativo. Viene infatti stabilito che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per organizzare, monitorare o gestire il rapporto di lavoro deve sempre essere comunicato in modo chiaro e accessibile ai lavoratori.

Il datore di lavoro, pubblico o privato, ha l’obbligo di informare i propri dipendenti e le rappresentanze sindacali sull’utilizzo di sistemi di IA nel processo decisionale aziendale, soprattutto se tali sistemi incidono su ambiti delicati come l’assunzione, la valutazione delle performance, l’assegnazione di incarichi, la cessazione del contratto o la gestione della produttività.

L’informazione fornita ai lavoratori deve essere strutturata, leggibile tramite strumenti digitali e comprensibile anche da soggetti non esperti in tecnologie. Non è più sufficiente una formula generica: occorre dichiarare quale IA viene utilizzata, per quali scopi, e quali sono i criteri che guidano l’elaborazione e l’interpretazione dei dati da parte dei sistemi automatizzati.

Un altro elemento innovativo della legge è il suo impatto sulle professioni intellettuali. I professionisti — avvocati, commercialisti, architetti, consulenti, ingegneri, medici, formatori — che decidono di avvalersi dell’IA per svolgere parte del proprio lavoro, devono informare i clienti sull’uso degli strumenti automatizzati. L’intelligenza artificiale, in questo contesto, può essere adottata solo come supporto e non può in alcun modo sostituire l’apporto intellettuale del professionista. La legge vieta infatti l’utilizzo prevalente dell’IA nelle attività professionali che richiedono analisi critica, interpretazione, creatività o giudizio soggettivo.

Per preservare la fiducia tra cliente e professionista, viene introdotto l’obbligo di comunicazione trasparente: il cliente deve sapere quando e come l’IA viene impiegata, quali processi sono automatizzati e quale parte dell’attività è frutto dell’analisi umana. In questo modo si evita il rischio che l’assistenza fornita perda valore o venga percepita come standardizzata, e si tutelano la qualità, l’unicità e la responsabilità della prestazione professionale.

Sul piano operativo, questa nuova disciplina impone alle imprese e ai professionisti una serie di adempimenti pratici. Anzitutto, devono mappare i processi in cui viene utilizzata o potrebbe essere introdotta l’IA, valutando attentamente l’impatto su lavoratori, clienti e partner.

Successivamente, devono predisporre documentazione specifica che descriva i sistemi adottati, le loro finalità e le modalità di funzionamento. Infine, è necessario definire ruoli e responsabilità all’interno dell’organizzazione per garantire il monitoraggio continuo dell’utilizzo delle tecnologie.

Un’altra importante novità della legge riguarda l’istituzione, presso il Ministero del Lavoro, di un Osservatorio nazionale sull’intelligenza artificiale applicata al lavoro. L’organo avrà il compito di monitorare l’impatto delle tecnologie sul mercato del lavoro, supportare l’elaborazione di una strategia nazionale in materia di IA, formulare proposte normative e promuovere attività formative rivolte ai lavoratori, ai datori di lavoro e ai professionisti. La finalità è quella di rafforzare le competenze digitali, evitare effetti distorsivi sul mercato e garantire un uso equo e inclusivo della tecnologia.

Dal punto di vista giuridico, la legge n. 132/2025 si integra con il nuovo regolamento europeo sull’intelligenza artificiale, condividendone l’approccio basato sulla valutazione del rischio. I sistemi IA vengono classificati in base alla loro pericolosità per i diritti fondamentali: da quelli a rischio inaccettabile, vietati, a quelli ad alto rischio, che richiedono valutazioni e controlli approfonditi. In questo quadro, anche le aziende italiane dovranno adeguarsi a standard comuni europei, adottando misure di conformità e sistemi di audit interno per evitare sanzioni e contenziosi.

La legge, inoltre, interviene sul fronte penale, introducendo aggravanti per chi utilizza l’IA in modo illecito. In particolare, si prevedono sanzioni più severe per reati commessi sfruttando sistemi automatizzati, come la manipolazione di dati, la diffusione di contenuti generati artificialmente a fini di truffa o la discriminazione algoritmica. Questo rafforza la consapevolezza che l’intelligenza artificiale non è uno strumento neutro, ma un mezzo potenzialmente molto potente, che richiede controlli stringenti e un forte senso di responsabilità da parte di chi la impiega.

 

Il ravvedimento operoso rappresenta uno strumento molto importante nel sistema sanzionatorio tributario italiano, in quanto permette al contribuente di regolarizzare spontaneamente omissioni o errori nei versamenti dei tributi, beneficiando di significative riduzioni delle sanzioni.

Con l’introduzione del “ravvedimento sprint”, la normativa si è evoluta ulteriormente, prevedendo una riduzione particolarmente favorevole per chi effettua il pagamento dovuto entro un brevissimo lasso di tempo.

Per le violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024, la sanzione per omesso o tardivo versamento di tributi si articola secondo precisi scaglioni temporali. Se il versamento dell’imposta avviene entro il 14° giorno successivo alla scadenza, la sanzione è pari allo 0,83% per ogni giorno di ritardo sull’importo non versato. A partire dal 15° giorno, la sanzione sale al 12,5% fisso, per arrivare infine al 25% dal 90° giorno successivo alla scadenza.

Un aspetto interessante e vantaggioso per il contribuente è che la riduzione per i ritardi inferiori ai 15 giorni si applica indipendentemente dal ricorso al ravvedimento, estendendosi anche a violazioni non regolarizzate. Le stesse percentuali sanzionatorie sono utilizzabili nei casi di liquidazione d’imposta maggiore derivante da controlli automatizzati e formali, come previsti dagli articoli 36-bis e 36-ter del DPR 600/73 e dall’articolo 54-bis del DPR 633/72.

Le principali percentuali di riduzione previste dalla normativa sono: 1/10 della sanzione minima se la regolarizzazione avviene entro 30 giorni; 1/9 se entro 90 giorni; 1/8 se entro la presentazione della dichiarazione successiva. Tali percentuali si applicano direttamente alla sanzione minima prevista, che come accennato varia in base al ritardo.

Per calcolare correttamente l’importo della sanzione ridotta, è fondamentale verificare due elementi: la data della violazione e la data del ravvedimento. In presenza di un versamento eseguito entro 15 giorni dalla scadenza, ma regolarizzato successivamente, la sanzione “base” resta lo 0,83% giornaliero, anche se il beneficio della riduzione viene poi modulato in base al tempo trascorso fino alla regolarizzazione.

È possibile configurare vari scenari operativi. Nel primo caso, se il contribuente effettua entro 15 giorni dalla scadenza il versamento completo dell’imposta, della sanzione ridotta e degli interessi, la sanzione applicabile è quella dello 0,0833% per ogni giorno di ritardo. Nel secondo caso, se entro i 15 giorni viene versata solo l’imposta, mentre sanzione e interessi vengono saldati in un momento successivo, si applica la sanzione “piena” giornaliera dello 0,83% fino alla data del versamento dell’imposta. Alla base di calcolo così determinata si applica poi la riduzione, a seconda del momento del ravvedimento (1/10, 1/9, 1/8 ecc.).

Questa impostazione è stata chiarita anche dall’Agenzia delle Entrate, secondo cui la sanzione base si calcola sul numero di giorni di ritardo nel versamento, mentre il coefficiente di riduzione dipende dal momento in cui viene perfezionato il ravvedimento. È importante, nella pratica, calcolare dapprima la sanzione piena, applicare successivamente la riduzione prevista e infine arrotondare il risultato al centesimo di euro per evitare errori.

Un ulteriore dettaglio tecnico riguarda l’utilizzo dei codici tributo per l’effettuazione dei versamenti. Gli importi dovuti a titolo di sanzione ridotta sono da versare con il codice 8904, mentre per gli interessi moratori va utilizzato il codice 1991. Per il versamento dell’imposta vera e propria si utilizza invece il codice specifico riferito al tipo di tributo, ad esempio il 6009 per l’IVA.

Tutti questi accorgimenti operativi permettono ai contribuenti di regolarizzare tempestivamente le proprie posizioni evitando le sanzioni più pesanti previste per omissioni prolungate. L’adozione del ravvedimento sprint, soprattutto in contesti di lievi ritardi, risulta uno strumento particolarmente efficace, grazie alla sua flessibilità e alla riduzione sensibile delle sanzioni.

Le indicazioni pratiche per l’applicazione del ravvedimento richiedono attenzione non solo alle scadenze, ma anche alla corretta determinazione delle percentuali e all’utilizzo appropriato dei codici tributo. La corretta gestione di questi aspetti contribuisce a evitare errori e garantire il rispetto delle norme vigenti.

Infine, è fondamentale ricordare che le percentuali utilizzate nei calcoli delle sanzioni ridotte sono state arrotondate alla quarta cifra decimale per semplicità espositiva, ma nella pratica è opportuno seguire un processo di calcolo accurato e strutturato, come descritto, al fine di ottenere risultati corretti.

 

Giorni di ritardo Sanzione base Ravvedimento operoso Riduzione applicabile Percentuale finale (giornaliera o fissa)
1–14 giorni 0,83% per ogni giorno 1/10 (entro 30 giorni) 0,0833% per giorno
15–90 giorni 12,5% fisso 1/10 (entro 30 giorni) 1,25%
1/9 (entro 90 giorni) 1,39%
1/8 (entro dichiarazione annuale) 1,56%
Oltre 90 giorni 25% fisso 1/8 (entro dichiarazione annuale) 3,13%
Versamento entro 15 gg 0,83% per giorno anche se non regolarizzato Non necessario per sanzione ridotta Non applicabile 0,83% per giorno
Solo imposta entro 15 gg, ravvedimento dopo 0,83% per giorno fino al pagamento Riduzioni 1/10, 1/9, 1/8 a seconda del momento Variabile (es. 0,0833%, 0,0922%, 0,10375%)
  • Gli interessi sono sempre dovuti e calcolati al tasso legale annuo.
  • La base di calcolo è l’importo non versato; la sanzione ridotta si applica dopo il calcolo della sanzione piena.
  • Codici tributo: 8904 per la sanzione, 1991 per gli interessi, codice tributo ordinario per l’imposta.

Per assistenza operativa il nostro studio è a vostra disposizione.

A partire dal 1° gennaio del secondo anno successivo alla presentazione della dichiarazione annuale IVA, l’omesso versamento dell’IVA per un importo superiore a 250.000 euro assume rilevanza penale.

La riforma fiscale ha introdotto un significativo prolungamento del termine per la configurazione del reato, consentendo così ai contribuenti maggiori possibilità di regolarizzazione. La nuova disposizione, infatti, stabilisce che è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chi, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, non versa l’imposta sul valore aggiunto risultante dalla stessa, superando la soglia sopra indicata, sempre che il debito non sia oggetto di rateazione ai sensi dell’art. 3-bis del D.Lgs. n. 462/1997.

Una delle novità fondamentali riguarda l’irrilevanza penale nei casi in cui il contribuente avvii il pagamento rateale derivante da avviso bonario. Il legislatore ha, infatti, riconosciuto che l’avvio della rateazione entro il termine del 31 dicembre successivo alla dichiarazione, anche mediante il versamento della sola prima rata, evita il configurarsi del reato, a prescindere dall’importo residuo ancora da versare.

Le condizioni essenziali per la configurazione del reato sono due. La prima è che l’omesso versamento si protragga oltre il 31 dicembre dell’anno successivo alla presentazione della dichiarazione IVA. La seconda è che l’IVA dovuta, non versata entro tale termine, superi i 250.000 euro per ciascun periodo d’imposta. Tuttavia, se il contribuente effettua versamenti parziali che riducono il saldo non versato sotto tale soglia, la sanzione penale può essere evitata.

Accanto alla responsabilità penale, permane comunque la sanzione amministrativa, pari al 25% dell’imposta non versata (ridotta dal 30% vigente fino al saldo IVA 2023), qualora il ritardo superi i 90 giorni.

Con riferimento agli avvisi bonari, la riforma ha stabilito che l’Agenzia delle Entrate debba emettere tali comunicazioni entro il 30 settembre dell’anno successivo alla dichiarazione. Questo consente al contribuente di iniziare il pagamento rateale entro il 31 dicembre, rispettando così il nuovo termine utile a evitare conseguenze penali. Anche in assenza di avviso bonario, è possibile procedere al pagamento spontaneo rateale dell’imposta dovuta, versando almeno un ventesimo per trimestre solare. In tal caso, l’importo da rateizzare deve riferirsi alla sola imposta, escludendo sanzioni e interessi, che saranno eventualmente aggiunti una volta ricevuto l’avviso.

Se però il contribuente decade dalla rateazione, la rilevanza penale riemerge solo se il debito residuo supera i 75.000 euro.

Un esempio pratico chiarisce la dinamica: un contribuente che non ha versato l’IVA 2023, pari a 300.000 euro, e riceve un avviso bonario il 30 settembre 2025 con richiesta di 340.000 euro (inclusi sanzioni e interessi), può evitare il reato pagando la prima rata da 17.000 euro entro il 31 dicembre 2025. La rateazione in corso esclude, in questo caso, la configurazione del reato, anche se l’importo residuo resta superiore a 250.000 euro.

Per determinare se si supera la soglia di punibilità penale, occorre fare riferimento alla sezione II del quadro VL, rigo VL38 del modello IVA, denominato “Totale IVA dovuta”, considerando anche l’importo indicato a rigo VL30, colonna 3, relativo all’IVA periodica versata. È importante che tali dati riflettano la reale situazione contabile, poiché, in passato, la Corte di Cassazione ha espresso posizioni differenti in merito. In una sentenza del 2014 (n. 31178), il reato fu ritenuto sussistente anche se la soglia era apparentemente sotto i 250.000 euro, perché l’IVA dovuta deve basarsi sulla realtà fiscale e non su dati erroneamente riportati nella dichiarazione. In un caso del 2021 (n. 31367), invece, la Corte ha escluso il reato proprio perché il rigo VL38 indicava correttamente un importo inferiore alla soglia.

Le modifiche introdotte dalla riforma fiscale sono entrate in vigore il 29 giugno 2024, e, trattandosi di norme penali, si applica il principio del favor rei. Questo significa che le disposizioni più favorevoli si estendono anche alle violazioni antecedenti, a meno che non sia già intervenuta una sentenza definitiva di condanna.

Infine, la norma prevede che la regolarizzazione degli importi dovuti, comprensivi di debito, sanzioni e interessi, attraverso ravvedimento operoso, adesione all’accertamento o procedure conciliative, purché intervenute prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, costituisca causa di non punibilità.

Il nostro team di esperti è a vostra disposizione per domande e assistenza operativa.

Reato Omesso versamento IVA
Riferimento normativo Art. 10-ter, D.Lgs. n. 74/2000
Soglia penale IVA non versata > € 250.000 per anno d’imposta
Termine per versamento 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione
Sanzione penale Reclusione da 6 mesi a 2 anni
Sanzione amministrativa 25% dell’IVA non versata (oltre 90 giorni di ritardo)
Avviso bonario Deve essere inviato entro il 30 settembre dell’anno successivo
Evitabilità del reato Con pagamento della prima rata dell’avviso bonario entro il 31 dicembre
Importo prima rata Minimo 1/20 dell’importo dovuto
Decadenza da rateazione Reato riemerge solo se il debito residuo > € 75.000
Applicazione retroattiva (favor rei) Sì, se più favorevole e senza condanna definitiva
Esclusione punibilità Ravvedimento, adesione o conciliazione prima del dibattimento di primo grado

 

 

A partire dal 1° luglio 2025, è entrato ufficialmente in vigore un nuovo regime fiscale per la determinazione del fringe benefit relativo alle auto aziendali concesse in uso promiscuo ai dipendenti. Questa riforma, sancita dalla Legge di Bilancio 2025 (L. 207/2024) e dal successivo “Decreto Bollette” (D.L. 19/2025, convertito nella L. 60/2025), segna una svolta importante nel trattamento fiscale dei veicoli aziendali, con un orientamento deciso verso la mobilità sostenibile.

Fino al 30 giugno 2025 è stata attiva una clausola di salvaguardia che ha consentito di mantenere il precedente sistema di tassazione per i veicoli ordinati entro il 31 dicembre 2024 e concessi in uso promiscuo tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2025.

Durante questo periodo, la quantificazione del fringe benefit ha continuato a seguire la logica delle emissioni di CO₂. Il costo chilometrico, calcolato sulla base dei 15.000 km convenzionali annui secondo le tabelle ACI, era assoggettato a un’aliquota variabile in funzione del livello emissivo del veicolo.

Nel dettaglio, i veicoli con emissioni fino a 60 g/km venivano tassati al 25%, mentre quelli con emissioni comprese tra 61 e 160 g/km subivano un prelievo del 30%. I veicoli con emissioni più elevate, tra 161 e 190 g/km, erano soggetti a una tassazione del 50%, che saliva al 60% per quelli con emissioni superiori ai 190 g/km. Questo sistema, pur avendo introdotto un certo grado di progressività legata all’impatto ambientale, non rispecchiava pienamente le politiche europee di incentivazione alla mobilità a basse emissioni.

Con la fine del periodo transitorio, il nuovo regime fiscale previsto per il fringe benefit punta a semplificare il meccanismo di calcolo e a premiare in modo più incisivo l’utilizzo di veicoli a basso impatto ambientale, introducendo un sistema che differenzia la tassazione esclusivamente in base alla tipologia di alimentazione del veicolo.

Dal 1° luglio 2025, dunque, le nuove percentuali da applicare al costo chilometrico ACI sono state drasticamente rimodulate. Le auto elettriche saranno soggette a un’aliquota del 10%, riconoscendo così il loro contributo fondamentale alla riduzione delle emissioni di CO₂. Le ibride plug-in, veicoli che combinano un motore termico con un motore elettrico ricaricabile tramite presa esterna, saranno tassate al 20%, posizionandosi in una fascia intermedia tra l’elettrico puro e i mezzi convenzionali.

Di contro, i veicoli alimentati in modo tradizionale, ossia quelli a benzina, diesel o con altri carburanti fossili, continueranno a essere assoggettati a una tassazione del 50%.

Per maggiori chiarimenti e per assistenza operativa il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

TABELLA RIASSUNTIVA – GESTIONE FRINGE BENEFIT AUTO AZIENDALI

Decorrenza Condizione Criterio di Calcolo Percentuale ACI / Tassazione
Sino al 30/06/2020 Veicoli assegnati e immatricolati Percentuale 30% sul valore ACI (15.000 km)
Dal 01/07/2020 Assegnati dal 01/07/2020 ma immatricolati entro 30/06/2020 Valore normale Art. 9 TUIR, al netto della quota aziendale (Ris. AdE 46/2020)
01/07/2020 – 31/12/2024 Veicoli assegnati e immatricolati Emissioni CO₂ ≤60 g/km = 25% / 61–160 = 30% / 161–190 = 50% / >190 = 60%
01/01/2025 – 30/06/2025 Ordine entro 31/12/2024 e assegnazione entro 30/06/2025 Emissioni CO₂ Stesse percentuali CO₂: 25%, 30%, 50%, 60%
Dal 01/01/2025 Immatricolati entro 30/06/2020 e concessi dal 01/01/2025 Valore normale Art. 9 TUIR, al netto della quota aziendale (Ris. AdE 46/2020)
Dal 01/01/2025 Immatricolati 01/07/2020–31/12/2024, assegnati 01/01/2025–30/06/2025 Emissioni CO₂ Stesse percentuali CO₂: 25%, 30%, 50%, 60%
Dal 01/01/2025 Ordinati/immatricolati/concessi dal 01/01/2025 oppure ordinati entro 2024 ma immatricolati nel 2025 e assegnati dopo il 01/07/2025 Tipo di alimentazione Elettrico = 10% / Ibrido plug-in = 20% / Termico & ibrido non plug-in = 50%
Dal 01/01/2025 Immatricolati 01/07/2020–31/12/2024, assegnati dopo il 01/07/2025 Valore normale Art. 9 TUIR, al netto della quota aziendale (Ris. AdE 46/2020)
Dal 01/01/2025 Veicoli concessi in uso al 31/12/2024 e prorogati nel 2025 Regime precedente Si applica il criterio in essere al momento della concessione
Dal 01/01/2025 Riassegnazione a nuovi dipendenti fino al 30/06/2025 (da flotta già esistente) Emissioni CO₂ Stesse percentuali CO₂: 25%, 30%, 50%, 60%
Dal 01/01/2025 Riassegnazione a nuovi dipendenti dopo il 30/06/2025 (da flotta già esistente) Valore normale Art. 9 TUIR, al netto della quota aziendale (Ris. AdE 46/2020)

 

 

Nel mese di ottobre 2025 sono numerosi gli adempimenti fiscali e contributivi da rispettare. Di seguito una sintesi delle principali scadenze da segnare in agenda, suddivise per data e tipologia, utile a professionisti, aziende e consulenti per una corretta pianificazione delle attività contabili e tributarie.

10 ottobre

  • Pagamento contributi lavoratori domestici

16 ottobre

  • Versamento IVA mensile (liquidazione periodica)

  • Versamento ritenute alla fonte

  • Versamento imposte derivanti dal Modello Redditi 2025

  • Versamento contributi INPS per i dipendenti

  • Versamento contributi INPS Gestione Separata

27 ottobre (scadenza prorogata dal 25 ottobre, che cade di sabato)

  • Invio elenchi Intrastat (mensili e trimestrali)

  • Denuncia e versamento contributi ENPAIA

31 ottobre

  • Presentazione telematica Modello Redditi 2025

  • Presentazione telematica Modello 770/2025

  • Invio telematico UNI-EMENS

  • Richiesta rimborso IVA infrannuale (3° trimestre)

  • Versamento imposta di registro per rinnovo contratti di locazione

  • Dichiarazione e liquidazione OSS (3° trimestre)

  • Presentazione Modello IVA TR (3° trimestre)

Il 4 settembre 2025 il Consiglio dei ministri ha approvato un pacchetto di riforme che riguarda il mondo delle libere professioni. Si tratta di un intervento di ampio respiro che coinvolge 14 categorie professionali, con un’attenzione particolare ad avvocati e professionisti sanitari. Rimane invece sospeso, almeno per ora, il riordino delle regole che interessano i commercialisti, rinviato dopo una lunga discussione in sede pre-consiliare.

Il pacchetto rappresenta il primo intervento organico dopo oltre un decennio, visto che l’ultima legge quadro di riferimento risale al Dpr 137/2012.

Sono 1,6 milioni i professionisti coinvolti dal provvedimento, un comparto rilevante non solo dal punto di vista occupazionale ma anche per la funzione sociale svolta. Le nuove regole toccano in particolare architetti, consulenti del lavoro, geometri, periti, attuari e ingegneri, con un’attenzione specifica alle varie specializzazioni tecniche che contraddistinguono queste professioni. Restano invece escluse, almeno in questa fase, figure come notai, chimici, fisici e biologi, oltre a medici e avvocati che sono oggetto di interventi dedicati.

Il disegno di legge delega non introduce nuove competenze o riserve professionali, ma punta a perimetrare le attività già previste dalle norme vigenti, chiarendo le aree di sovrapposizione che si sono sviluppate nel tempo tra diverse categorie. L’intento è dunque quello di dare maggiore ordine al sistema, evitando conflitti interpretativi e incertezze nell’esercizio della professione.

Il testo approvato contiene oltre venti principi fondamentali. Tra i più rilevanti vi è la promozione della parità di genere nella governance degli Ordini e dei Consigli nazionali, anche attraverso l’introduzione di elezioni online. Altri punti centrali riguardano l’equo compenso, la riforma della formazione continua e la revisione delle modalità di svolgimento dell’esame di Stato.

In particolare, il principio dell’equo compenso viene esteso a tutti i rapporti con i clienti, non solo a quelli con soggetti considerati “forti” come banche e assicurazioni. Per rendere effettiva la norma, il decreto prevede la definizione di parametri di riferimento anche per quelle professioni che ne sono ancora prive.

La formazione continua viene rafforzata con l’obbligo di destinare una parte dei crediti annuali allo studio delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale, un segnale della volontà di aggiornare le competenze dei professionisti in linea con le trasformazioni del mercato. Inoltre, viene previsto il riconoscimento ufficiale delle specializzazioni interne e delle certificazioni di competenze, con particolare riferimento a professioni come quella degli ingegneri che già prevedono percorsi volontari di certificazione.

Un ulteriore punto di rilievo riguarda la possibilità di estendere a tutti i professionisti le tutele legate al rinvio delle scadenze tributarie e contributive in caso di gravi malattie, infortuni o maternità, riconoscendo così la necessità di maggiore protezione sociale anche in un settore tradizionalmente caratterizzato da elevata autonomia.

Parallelamente alla riforma generale, sono state approvate norme specifiche per avvocati e professioni sanitarie. Per i medici, in particolare, è stato reso definitivo lo scudo penale nei casi di colpa grave, un provvedimento che da tempo era oggetto di dibattito all’interno della categoria e che mira a offrire maggiori certezze nell’esercizio della professione sanitaria.

Per quanto riguarda gli avvocati, la riforma punta a rivedere diversi aspetti dell’organizzazione e dell’accesso alla professione, in linea con la necessità di aggiornare regole ferme ormai da molti anni.

Tutti i provvedimenti approvati si presentano come disegni di legge delega, che delineano cornici generali e principi guida, rimandando poi a successivi decreti delegati la definizione operativa. Dopo il passaggio parlamentare, il Governo avrà 24 mesi di tempo per esercitare la delega.

Il tema dell’insubordinazione del lavoratore rappresenta uno degli aspetti più delicati nella gestione dei rapporti di lavoro, soprattutto quando si tratta di definire se la condotta possa giustificare una sanzione conservativa o un licenziamento per giusta causa.

La questione, nel corso degli anni, è stata oggetto di numerosi interventi della giurisprudenza di legittimità, che ha contribuito a delineare confini interpretativi sempre più precisi.

Un recente intervento della Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 21103 del 24 luglio 2025, ha ribadito che un’offesa grave rivolta al superiore gerarchico può integrare giusta causa di licenziamento anche se si tratta di un episodio isolato. Tale pronuncia si inserisce all’interno della consolidata nozione di giusta causa prevista dall’articolo 2119 del Codice civile, richiamato dall’articolo 5 della legge 604/1966, secondo cui il datore di lavoro deve dimostrare una “grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro”, in particolare del vincolo fiduciario.

L’attenzione si concentra dunque sul concetto di insubordinazione, distinta in lieve e grave, come disciplinato nei vari Ccnl di categoria, e sulla rilevanza della recidiva nel valutare la legittimità di un licenziamento.

La disciplina di base trova fondamento nell’articolo 2104 del Codice civile, che impone al lavoratore di rispettare le disposizioni dell’imprenditore, e nell’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970), che stabilisce le regole generali per l’applicazione delle sanzioni disciplinari, a partire dalla necessaria contestazione preventiva dell’addebito.

All’interno dei contratti collettivi, solitamente, l’insubordinazione viene classificata in tre livelli. L’insubordinazione lieve è punita con sanzioni conservative come l’ammenda o una breve sospensione. L’insubordinazione “semplice”, che non raggiunge i livelli di gravità estrema, può comportare il licenziamento con preavviso. Infine, l’insubordinazione grave giustifica il licenziamento immediato senza preavviso, configurando una vera e propria giusta causa.

Tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che questa classificazione non è vincolante in senso assoluto, ma rappresenta un parametro utile nella valutazione della proporzionalità della sanzione. La Cassazione ha più volte affermato che la tipizzazione contrattuale è “esemplificativa” e non esaustiva rispetto alla nozione legale di giusta causa (sentenza n. 28492/2018).

Differenza tra insubordinazione lieve e grave

La distinzione fondamentale risiede nella modalità con cui si manifesta la condotta. L’insubordinazione lieve si concretizza in un semplice rifiuto di eseguire un ordine legittimo, senza però accompagnarsi a espressioni offensive o modalità denigratorie. Al contrario, l’insubordinazione grave non si limita al rifiuto, ma assume forme tali da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, ad esempio attraverso insulti, minacce o una contestazione pubblica dell’autorità datoriale.

Un esempio significativo è dato dall’ordinanza n. 6398/2025 della Cassazione, che ha chiarito come il comportamento diventi grave quando si associa a modalità idonee a ledere irreparabilmente il rapporto di fiducia tra datore e lavoratore.

Un altro elemento di rilievo è la recidiva nelle mancanze. Spesso i contratti collettivi individuano la recidiva come causa autonoma di licenziamento, soprattutto se riferita a comportamenti specifici. Tuttavia, la Cassazione ha più volte chiarito che anche in presenza di recidiva spetta al giudice valutare la reale gravità della condotta e la proporzionalità del provvedimento espulsivo.

In particolare, le sentenze n. 28417/2017 e n. 15566/2019 hanno sottolineato che la recidiva non elimina il dovere del giudice di procedere a una valutazione concreta degli addebiti. Essa può costituire un “indice accentuativo” della gravità, come ribadito anche dalla sentenza n. 26770/2024, ma non produce automaticamente la legittimità del licenziamento senza preavviso. È necessario che la reiterazione abbia aggravato in maniera significativa il pregiudizio al vincolo fiduciario.

L’ordinanza n. 21103/2025 ha introdotto un approccio strutturato per l’analisi dei casi di insubordinazione, attraverso un test in due fasi.

La prima fase, definita di sussunzione, richiede di verificare se la condotta del lavoratore rientri nella tipologia di insubordinazione lieve o grave prevista dal contratto collettivo. Un rifiuto espresso in termini formali e senza ulteriori eccessi può collocarsi nell’ambito dell’insubordinazione lieve, mentre un rifiuto accompagnato da insulti o da una contestazione pubblica del potere direttivo rientra nell’insubordinazione grave.

La seconda fase è quella della valutazione di gravità e proporzionalità. Qui il giudice è chiamato a stabilire se l’episodio, pur rientrando nella categoria contrattuale, possieda i requisiti di gravità tali da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro. Questa valutazione prende in considerazione diversi fattori, come la natura del rapporto, il grado di fiducia richiesto, l’intensità dell’intento soggettivo e le circostanze specifiche in cui la condotta è avvenuta.

Tale approccio, già riconosciuto in precedenti pronunce come la sentenza n. 12789/2022, garantisce un esame concreto e non meramente formale delle condotte contestate.

L’impostazione adottata dalla Corte ha lo scopo di bilanciare due esigenze: da un lato il rispetto delle previsioni della disciplina collettiva, dall’altro la necessità di applicare correttamente la clausola generale di giusta causa di cui all’articolo 2119 del Codice civile.

La discrezionalità del giudice di merito rimane dunque centrale. Egli è chiamato a valutare, caso per caso, se la condotta contestata al lavoratore sia tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario. La recidiva, pur avendo valore rafforzativo, non sostituisce questo giudizio, ma lo integra, fungendo da parametro utile per misurare la gravità dell’insieme dei comportamenti.

In questo modo, il sistema riesce a contemperare le esigenze di certezza del diritto, garantite dalle previsioni contrattuali, con quelle di giustizia sostanziale, affidate al vaglio del giudice.

Il nostro team di esperti è a vostra disposizione per fornire chiarimenti e assistenza personalizzata.

FAQ

Qual è la differenza principale tra insubordinazione lieve e grave?
L’insubordinazione lieve consiste in un semplice rifiuto di eseguire un ordine legittimo senza modalità offensive, mentre l’insubordinazione grave implica comportamenti denigratori o minacciosi che compromettono il vincolo fiduciario e possono giustificare il licenziamento immediato.

La recidiva comporta sempre il licenziamento?
No. La recidiva non determina automaticamente la risoluzione del rapporto. Può rafforzare la gravità della condotta, ma spetta al giudice verificare se la reiterazione abbia effettivamente leso la fiducia necessaria al rapporto di lavoro.

Come si valuta la proporzionalità della sanzione?
La proporzionalità viene valutata attraverso un test in due fasi: prima si stabilisce se la condotta rientra nella tipologia di insubordinazione lieve o grave; successivamente si esamina se le circostanze concrete rendano la condotta così grave da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro.

 

 

Il Modello 770/2025 introduce una novità significativa per le piccole imprese: la possibilità di ricorrere a una procedura semplificata per la trasmissione dei dati fiscali. Tale modalità alternativa, prevista dall’articolo 16 del decreto legislativo 1/2024, rientra nell’ambito della Riforma Fiscale e si applica a partire dalle ritenute operate nel 2025. Il cambiamento riguarda i sostituti d’imposta con una struttura lavorativa contenuta, e ha l’obiettivo di ridurre il carico burocratico, mantenendo comunque il rispetto degli obblighi dichiarativi nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.

Il sistema si basa su una dichiarazione integrata che unisce il versamento tramite Modello F24 all’invio contestuale dei dati fiscali richiesti. L’adempimento, in virtù di quanto stabilito nel provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 31 gennaio 2025, viene giuridicamente equiparato alla trasmissione del Modello 770 tradizionale, garantendo quindi la piena validità dell’operazione anche ai fini fiscali.

Le imprese che possono accedere a questa procedura devono soddisfare specifici criteri. Al 31 dicembre dell’anno precedente, devono aver impiegato non più di cinque dipendenti. Inoltre, devono erogare esclusivamente compensi che costituiscono redditi di lavoro dipendente, autonomo o assimilati, e risultare obbligate ad applicare le ritenute alla fonte. È richiesto che i versamenti delle ritenute e trattenute siano effettuati esclusivamente tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, utilizzando il Modello F24.

La trasmissione semplificata dei dati richiede l’inclusione di diverse informazioni fondamentali. Innanzitutto, devono essere indicati l’importo delle ritenute e trattenute operate, il codice tributo e il periodo di riferimento. Se le trattenute riguardano le addizionali IRPEF regionali e comunali, è necessario specificare la regione o il comune di riferimento. Devono essere riportate anche le note codificate secondo quanto previsto dall’allegato 2 del provvedimento, e l’eventuale presenza di interessi versati in caso di ravvedimento operoso.

È altresì richiesto l’inserimento dei crediti maturati in qualità di sostituto d’imposta, utilizzati in compensazione, indicando sempre il codice tributo e il periodo. Questi crediti, se previsto dalla normativa vigente, possono anche essere impiegati in un separato Modello F24 ordinario per la compensazione di debiti diversi da quelli relativi alle ritenute. L’adempimento richiede inoltre la comunicazione di ulteriori importi a debito o a credito, comprese eventuali sanzioni, secondo quanto stabilito dalla normativa.

Un altro elemento essenziale è la comunicazione del codice IBAN del conto del contribuente, necessario per autorizzare l’addebito automatico del saldo positivo risultante dal Modello F24.

Il nuovo servizio telematico dell’Agenzia delle Entrate per la trasmissione semplificata dei dati è operativo dal 6 febbraio 2025. I sostituti d’imposta in possesso dei requisiti possono trasmettere le comunicazioni direttamente oppure tramite intermediari abilitati, utilizzando le specifiche tecniche allegate al provvedimento.

Il termine per l’invio è fissato al 30 settembre 2025, coincidente con la scadenza ordinaria per la presentazione del Modello 770. È importante notare che tale scadenza resta valida anche in assenza totale o parziale dei versamenti delle ritenute e trattenute.

Per quanto riguarda il periodo transitorio, ossia i mesi di gennaio e febbraio 2025, i sostituti che optano per la procedura semplificata possono comunque eseguire i versamenti con F24 entro le scadenze ordinarie mensili, ma hanno tempo fino al 30 aprile 2025 per effettuare la trasmissione dei dati relativi.

Lo Studio Pallino è a vostra a disposizione per consulenza e assistenza personalizzata.

Modello 770/2025 Semplificato per le Piccole Imprese

 

Normativa di riferimento Art. 16 del D.lgs. 1/2024 – Riforma Fiscale
Provvedimento attuativo Agenzia delle Entrate – 31 gennaio 2025
Validità della procedura Equiparata alla trasmissione del Modello 770 ordinario
Soggetti ammessi Sostituti d’imposta con massimo 5 dipendenti al 31 dicembre dell’anno precedente
Tipologia di redditi Solo compensi che costituiscono redditi di lavoro dipendente, autonomo o assimilati
Obblighi per l’accesso Versamento ritenute e trattenute tramite F24 esclusivamente con i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate
Dati da comunicare Importi, codici tributo, periodo di riferimento, addizionali IRPEF regionali e comunali, interessi, crediti/debiti, IBAN, note tecniche allegato 2
Note obbligatorie Presenti nell’allegato 2 del provvedimento
Modalità di invio Servizio telematico AdE attivo dal 6 febbraio 2025
Chi può trasmettere Il sostituto d’imposta o un intermediario abilitato
Scadenza ordinaria 30 settembre 2025
Eccezioni (gennaio/febbraio) Versamenti entro scadenze ordinarie; invio dati entro 30 aprile 2025
Documenti di supporto Codici tributo, prospetto ritenute, specifiche tecniche, note F24/770 disponibili sul sito dell’Agenzia delle Entrate

FAQ

Chi può utilizzare la procedura semplificata per il Modello 770/2025?

Possono utilizzare la procedura semplificata i sostituti d’imposta che, al 31 dicembre dell’anno precedente, hanno fino a 5 dipendenti e che erogano esclusivamente redditi di lavoro dipendente, autonomo o assimilati, con obbligo di effettuare ritenute alla fonte. Devono inoltre trasmettere il Modello F24 esclusivamente per via telematica tramite i servizi dell’Agenzia delle Entrate.

La procedura semplificata sostituisce completamente il Modello 770?

Sì, per i soggetti ammessi, la comunicazione semplificata inviata contestualmente al Modello F24 è equiparata per legge alla dichiarazione annuale dei sostituti d’imposta (Modello 770). Non è quindi necessario presentare anche il 770 tradizionale, a condizione che vengano rispettate tutte le specifiche tecniche e normative previste.

Quali sono i termini per l’invio dei dati fiscali tramite la nuova procedura?

La comunicazione semplificata deve essere trasmessa entro il 30 settembre 2025, anche in caso di versamenti omessi o parziali. Per i soli mesi di gennaio e febbraio 2025, i dati possono essere trasmessi entro il 30 aprile, mentre i versamenti restano da effettuare secondo le scadenze mensili ordinarie.

A partire dal 2024, l’ordinamento tributario italiano ha introdotto un nuovo strumento volto a semplificare la determinazione dei redditi per i contribuenti di minori dimensioni: il Concordato Preventivo Biennale (CPB). Introdotto con il D.Lgs. n. 13/2024 e successivamente modificato dal D.Lgs. n. 81/2025, tale istituto consente di definire in via preventiva il reddito d’impresa o di lavoro autonomo, nonché il valore della produzione netta ai fini dell’IRAP. L’adesione al CPB per il biennio 2025-2026 deve avvenire entro il 30 settembre 2025, termine fissato anche per comunicare il diniego. Per i contribuenti il cui periodo d’imposta non coincide con l’anno solare, la scadenza è prorogata all’ultimo giorno del nono mese successivo alla chiusura del periodo stesso.

Il nuovo quadro normativo, oltre a ridefinire i termini di adesione, ha visto l’intervento dell’Agenzia delle Entrate, la quale ha predisposto strumenti operativi come il modello CPB e le relative specifiche tecniche per la trasmissione telematica, approvate rispettivamente con i provvedimenti del 9 aprile 2025 e del 24 aprile 2025.

Per accedere al CPB, è necessario che il contribuente soddisfi precisi requisiti normativi e non presenti alcuna causa di esclusione come delineato dagli articoli 10 e 11 del D.Lgs. n. 13/2024. In particolare, il requisito fondamentale è l’effettiva applicazione degli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA). L’esistenza di cause di esclusione dagli ISA nel periodo d’imposta precedente comporta automaticamente anche l’esclusione dal concordato, anche nei casi in cui sussista l’obbligo di compilazione del modello ISA. Tra le cause di esclusione dagli ISA è incluso l’inizio attività nel periodo d’imposta precedente, inteso come apertura della partita IVA.

Un altro requisito fondamentale per l’accesso al CPB è l’assenza di debiti tributari di importo pari o superiore a € 5.000, comprensivi di interessi e sanzioni, relativi a tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate e contributi previdenziali. Tali debiti devono essere definitivamente accertati con sentenza irrevocabile o con atti impositivi non più soggetti a impugnazione. Sono invece esclusi dalla valutazione i debiti oggetto di rateazione o sospensione, a condizione che non sia intervenuta la decadenza dai relativi benefici.

Ai fini dell’adesione al CPB 2025-2026, si considerano unicamente i debiti derivanti da atti notificati e divenuti definitivi entro il 31 dicembre 2024, nonché quelli non più impugnabili o definiti con sentenza passata in giudicato. Non rilevano quindi i debiti per i quali alla medesima data siano ancora pendenti i termini di pagamento, impugnazione o vi sia un contenzioso in corso.

Anche qualora i debiti tributari o contributivi eccedano la soglia di € 5.000, è possibile accedere al CPB se gli stessi vengono estinti entro il termine di accettazione della proposta, purché l’importo residuo non superi il limite previsto.

L’esclusione dal concordato può derivare, inoltre, dalla presenza di determinate condizioni che mettono in discussione l’affidabilità fiscale del contribuente. L’articolo 11 del D.Lgs. n. 13/2024 individua una serie di fattispecie ostative, tra cui:

la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi per almeno uno dei tre periodi d’imposta precedenti, da considerarsi omessa se trasmessa oltre 90 giorni dal termine;

la condanna con sentenza irrevocabile nei tre anni precedenti per reati fiscali, quali evasione di imposte sui redditi e IVA, false comunicazioni sociali, riciclaggio e autoriciclaggio;

il conseguimento, nel periodo d’imposta antecedente, di redditi esenti o esclusi superiori al 40% del reddito d’impresa o di lavoro autonomo. Tra i soggetti rientranti in questa casistica si annoverano, ad esempio, le imprese di pesca costiera e i docenti o ricercatori che beneficiano di regimi di esenzione;

l’adesione al regime forfetario nel primo anno d’imposta oggetto del concordato;

il verificarsi, nel primo anno della proposta, di operazioni straordinarie quali fusioni, scissioni, conferimenti, o modifiche della compagine sociale che comportano un aumento del numero dei soci o associati, con esclusione dei casi di subentro ereditario in società di persone o associazioni.

Non costituiscono invece cause di esclusione le trasformazioni societarie all’interno delle stesse categorie (società di capitali o società di persone) e le modifiche nella compagine delle imprese familiari, che hanno natura individuale e non collettiva. Anche per le società di capitali trasparenti, tali modifiche non comportano esclusione.

L’adesione alla proposta di concordato deve essere formalizzata entro il 30 settembre 2025, o entro l’ultimo giorno del nono mese successivo alla chiusura del periodo d’imposta per i contribuenti con anno non solare. Esistono due modalità operative per esprimere l’adesione:

la prima è congiunta alla trasmissione del Modello ISA, in occasione della presentazione della dichiarazione dei redditi 2025 relativa al periodo d’imposta 2024. In questo caso, la dichiarazione deve essere anticipata rispetto alla scadenza ordinaria del 31 ottobre;

la seconda modalità consiste in una comunicazione autonoma, tramite il frontespizio del Modello REDDITI 2025, nel quale è stata introdotta una specifica casella “Comunicazione CPB”, da compilare con il codice 1 “Adesione”.

In quest’ultimo caso, l’invio del solo frontespizio non assume natura dichiarativa, ma costituisce esclusivamente comunicazione formale di adesione alla proposta di concordato per il biennio 2025-2026.

Queste disposizioni rappresentano un passaggio normativo e operativo di rilievo nell’ambito della fiscalità semplificata, destinato a coinvolgere una platea significativa di contribuenti minori in cerca di stabilità fiscale e prevedibilità degli obblighi tributari.

Lo Studio rimane a disposizione per ogni chiarimento ed assistenza operativa.

Tabella riepilogativa

Termine di adesione 30 settembre 2025 (oppure ultimo giorno del 9° mese successivo alla chiusura del periodo d’imposta)
Normativa di riferimento D.Lgs. n. 13/2024, modificato dal D.Lgs. n. 81/2025
Ambito soggettivo Contribuenti di minori dimensioni soggetti a ISA
Requisiti di accesso Applicazione ISA, assenza debiti ≥ € 5.000 (tributi e contributi definitivi)
Debiti rilevanti Accertati con sentenza irrevocabile o atti non impugnabili, notificati entro il 31/12/2024
Casi di esclusione Dichiarazioni omesse, condanne fiscali, redditi esenti >40%, adesione a forfettario, operazioni straordinarie
Modalità di adesione – Con Mod. ISA in dichiarazione redditi 2025
– Con comunicazione autonoma nel frontespizio del Mod. REDDITI 2025
Modello da usare Modello CPB 2025/2026
Valore concordato Reddito d’impresa/lavoro autonomo e valore produzione netta IRAP

FAQ


Chi non può aderire al CPB anche se ha applicato gli ISA nel periodo d’imposta precedente?

Non può aderire chi presenta debiti tributari o contributivi pari o superiori a € 5.000 (non rateizzati o sospesi), chi ha omesso dichiarazioni nei tre anni precedenti o ha subìto condanne per reati fiscali, oltre ai soggetti coinvolti in operazioni straordinarie o che presentano redditi esenti superiori al 40% del reddito d’impresa o autonomo.

Come si effettua l’adesione al CPB 2025-2026?

L’adesione può avvenire congiuntamente al Modello ISA in fase di trasmissione della dichiarazione dei redditi 2025 (entro il 30 settembre), oppure autonomamente compilando la casella “Comunicazione CPB” nel frontespizio del Mod. REDDITI 2025.

Sono considerati rilevanti i debiti sorti nel 2025?

No. Ai fini dell’accesso al CPB 2025-2026, rilevano solo i debiti risultanti da atti definitivi notificati entro il 31 dicembre 2024. I debiti ancora contestabili o oggetto di contenzioso alla stessa data non sono ostativi.

Il Decreto Legislativo 1° agosto 2025, n. 123, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 186 del 12 agosto 2025, rappresenta il nuovo Testo Unico in materia di imposta di registro e di altri tributi indiretti, approvato in attuazione della Legge Delega 9 agosto 2023, n. 111, finalizzata al riordino del sistema tributario. Le disposizioni contenute nel Testo Unico entreranno in vigore il 1° gennaio 2026, e si pongono come riferimento normativo unificato per diverse imposte indirette, escluse quelle sull’IVA.

L’intervento si inserisce nell’ambito della più ampia riforma fiscale avviata con la citata Legge n. 111/2023, che ha affidato al Governo la delega per l’adozione di testi unici legislativi. In particolare, l’articolo 21 della Legge definisce i principi e criteri direttivi da seguire nel processo di codificazione normativa, stabilendo la necessità di garantire coerenza giuridica e sistematica, semplificazione delle norme, e abrogazione espressa di disposizioni superate o incompatibili.

Il Testo Unico prende atto anche delle modifiche già introdotte con il D.Lgs. 18 settembre 2024, n. 139, il quale ha inciso in modo significativo sull’imposta di registro, l’imposta sulle successioni e donazioni, e sull’imposta di bollo, introducendo novità quali l’autoliquidazione di imposte e la semplificazione di numerosi adempimenti.

Secondo la nuova struttura normativa, il Testo Unico è articolato in sei Parti e comprende 205 articoli. Le sei sezioni trattano rispettivamente: l’imposta di registro; le imposte ipotecaria e catastale; l’imposta sulle successioni e donazioni; l’imposta di bollo e l’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero); i regimi sostitutivi e le agevolazioni; e, infine, le disposizioni varie, transitorie e finali. Ad esso si aggiungono quattro allegati che forniscono tabelle dettagliate sulle tariffe, gli atti soggetti a imposta, ed i coefficienti applicabili.

La Parte I del Testo Unico è dedicata alla disciplina dell’imposta di registro. Qui vengono riprese e sistematizzate le norme precedenti, con l’aggiunta di aggiornamenti in tema di tariffe e di agevolazioni, come il credito d’imposta per l’acquisto della prima casa. Le tabelle allegate (Allegato 1) specificano quali atti sono soggetti a registrazione in termine fisso, in caso d’uso, o esenti.

La Parte II regola le imposte ipotecaria e catastale, offrendo chiarezza sugli atti assoggettati a queste imposte e aggiornando le tariffe secondo i criteri di semplificazione previsti dalla riforma. Anche in questo caso, le informazioni dettagliate sono contenute nell’Allegato 2.

Nella Parte III si tratta l’imposta sulle successioni e donazioni, oggetto di importanti interventi. Tra le principali novità vi è l’introduzione del principio di autoliquidazione da parte dei soggetti obbligati alla dichiarazione di successione. È stato inoltre ridefinito il regime impositivo del trust, con l’individuazione del presupposto impositivo nel momento del trasferimento effettivo ai beneficiari. Sono stati previsti esoneri per i trasferimenti familiari di aziende e partecipazioni, e modifiche per quanto riguarda la tassazione delle liberalità indirette. È stato abrogato il coacervo successorio, e sono state introdotte norme di coordinamento con le imposte ipotecarie e catastali.

La Parte IV si concentra sull’imposta di bollo e sull’IVAFE. L’approccio normativo ha privilegiato la semplificazione delle procedure e la valorizzazione della dematerializzazione dei documenti. L’Allegato 3 include le tariffe con riferimento agli atti soggetti all’imposta fin dall’origine, in caso d’uso, e quelli esenti.

La Parte V raccoglie le disposizioni relative a regimi sostitutivi e agevolazioni, che sono già oggetto di leggi speciali, ma qui sono sistematizzate esclusivamente per le imposte trattate nel Testo Unico. Questo non include, invece, agevolazioni trasversali a più imposte.

La Parte VI, infine, comprende le disposizioni varie, transitorie e finali, e si chiude con un elenco delle norme abrogate. Tra queste figurano alcuni testi fondamentali precedenti, tra cui il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 (imposta di bollo), il D.P.R. 31 ottobre 1986, n. 131 (imposta di registro), e i D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 e 347 (imposte di successione e donazione, ipotecaria e catastale).

È utile precisare che, pur essendo entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione, il Testo Unico troverà applicazione a partire dal 1° gennaio 2026, come stabilito dall’articolo 205. Inoltre, l’articolo 204 dispone l’abrogazione espressa delle norme precedenti a partire dalla stessa data.

Nel suo impianto generale, il Testo Unico ha una natura prevalentemente compilativa, finalizzata alla sistematizzazione delle disposizioni vigenti. Le modifiche sostanziali sono limitate ai casi in cui le norme risultavano obsolete o necessitavano di coordinamento sistematico. Alcuni esempi includono l’integrazione nella tariffa dell’imposta di registro del meccanismo di credito d’imposta per la “prima casa”, già previsto dalla normativa previgente.

La Relazione Illustrativa allegata al Decreto chiarisce che il riordino è stato effettuato nel rispetto della delega conferita dalla Legge n. 111/2023, con riferimento ai criteri direttivi elencati all’articolo 21 e alle semplificazioni di cui all’articolo 10. La procedura adottata non ha previsto il parere preventivo del Consiglio di Stato, data la specialità della materia e la necessità di aggiornamenti rapidi, secondo quanto stabilito dalla stessa legge delega.

In aggiunta alla struttura normativa, l’intervento legislativo si è anche avvalso delle indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate, in particolare con la Circolare n. 2 del 14 marzo 2025, che ha fornito chiarimenti in tema di imposte di registro, ipotecaria, catastale, di bollo e altri tributi indiretti.

FAQ

Quando entrerà in vigore il nuovo Testo Unico sull’imposta di registro e sugli altri tributi indiretti?
Il nuovo Testo Unico, approvato con il D.Lgs. 1° agosto 2025, n. 123, entrerà in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione, ma le sue disposizioni si applicheranno a partire dal 1° gennaio 2026, come stabilito dall’articolo 205.

Quali imposte sono disciplinate dal Testo Unico?
Il Testo Unico disciplina l’imposta di registro, l’imposta sulle successioni e donazioni, l’imposta di bollo, le imposte ipotecaria e catastale, nonché i regimi sostitutivi e le agevolazioni riferite esclusivamente a queste imposte.

Il Testo Unico introduce nuove modalità di pagamento per le imposte?
Sì, uno degli obiettivi principali è la semplificazione degli adempimenti, anche tramite l’autoliquidazione dell’imposta di registro e di successione, nonché l’uso di sistemi di pagamento elettronici per rendere più efficiente la riscossione.

Sono stati abrogati testi normativi precedenti?
Sì. Il Testo Unico ha abrogato espressamente diverse normative previgenti, tra cui il D.P.R. n. 131/1986 (imposta di registro), il D.Lgs. n. 346/1990 (successioni e donazioni), e il D.P.R. n. 642/1972 (imposta di bollo), i cui contenuti sono stati trasfusi e aggiornati nel nuovo corpus normativo.

Il Testo Unico comporta modifiche sostanziali alle imposte esistenti?
Il Testo ha carattere prevalentemente compilativo. Le modifiche sostanziali sono limitate a casi specifici come l’introduzione dell’autoliquidazione, il riordino della tassazione del trust, l’abrogazione del coacervo successorio, e l’integrazione del credito d’imposta per la prima casa.

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