L’entrata in vigore della patente a crediti nei cantieri, introdotta dal D.M. n. 132/2024, ha sancito un nuovo sistema di qualificazione per imprese e lavoratori autonomi. Tale strumento attribuisce un punteggio iniziale di 30 crediti, prevedendo però la possibilità di un incremento fino a un massimo di 100 crediti, a condizione che vengano soddisfatti alcuni requisiti aggiuntivi.

Per chiarire le modalità applicative del sistema e le condizioni per ottenere tali crediti, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha emanato la Nota n. 288 del 15 luglio 2025, contenente dettagliate indicazioni operative rivolte a imprese e lavoratori autonomi .

Secondo il D.M. 132/2024, la patente è dotata di un punteggio iniziale di 30 crediti, ma è previsto l’incremento fino alla soglia massima di 100 crediti, in virtù del possesso di particolari requisiti indicati nella tabella allegata al decreto .

La Nota INL n. 288/2025 offre un’analisi puntuale dei criteri per beneficiare dei crediti aggiuntivi, in accordo con l’articolo 5, comma 7 del D.M. 132/2024, introducendo chiare linee operative sulle modalità di riconoscimento.

Per quanto riguarda l’anzianità di iscrizione alla CCIAA, si stabilisce che l’anzianità dà diritto a un riconoscimento massimo di 10 crediti. I crediti sono incrementali e non cumulabili: appartenere a una fascia di anzianità più elevata attribuisce il credito corrispondente alla fascia superiore. A titolo esemplificativo, un’impresa iscritta da 10 anni ottiene 3 crediti, che passano a 5 crediti al compimento dell’undicesimo anno.

Il sistema operativo prevede che, per le imprese (incluse le imprese individuali) e i lavoratori autonomi iscritti alla CCIAA, il dato sia acquisito automaticamente dalle banche dati. Per i soggetti esteri o non iscritti, è prevista una autodichiarazione a cura del legale rappresentante secondo quanto precisato dalla Nota.

Riferendosi ai requisiti legati al tema della salute e sicurezza sul lavoro, la Nota distingue due ambiti distinti. In primo luogo, il possesso di un Sistema di Gestione della Salute e Sicurezza (SGSL) conforme alla norma UNI EN ISO 45001, vale 5 crediti, a condizione che la certificazione sia rilasciata da un organismo accreditato presso ACCREDIA e che il legale rappresentante o suo delegato alleggi la certificazione con data di inizio e fine validità (tipicamente triennale), aggiornandola sul portale anche un mese prima della scadenza.

In secondo luogo, la Nota prevede 4 crediti in caso di adozione di un Modello di Organizzazione e Gestione (MOG) ex articolo 30 del D.Lgs. 81/2008, asseverato da un organismo paritetico iscritto al repertorio nazionale. Anche in questo caso, il rappresentante legale o suo delegato deve allegare l’asseverazione comprensiva di date di validità e potrà aggiornarla un mese prima della scadenza.

L’INL chiarisce anche le modalità operative previste per i casi non inclusi nelle fasce precedenti. In particolare, il possesso di una certificazione SOA di classifica I attribuisce 1 credito, mentre una certificazione di classifica II attribuisce 2 crediti. Il rappresentante legale o delegato deve allegare l’attestazione indipendentemente dalla categoria, indicando la validità e potendo aggiornare il dato in prossimità della scadenza.

È previsto anche il riconoscimento di 2 crediti per attività di consulenza e monitoraggio svolte da organismi paritetici, con rilascio di un’attestazione positiva. In tal caso, come per gli altri requisiti, l’attestazione va allegata con date di validità e potrà essere aggiornata un mese prima della scadenza.

La Nota INL dedica attenzione anche agli aspetti gestionali dei crediti aggiuntivi. In caso di sospensione o perdita di validità di un requisito (come SGSL certificato, MOG asseverato o SOA), tocca all’impresa, tramite il legale rappresentante o delegato, contattare tempestivamente un Ufficio territoriale dell’INL per comunicare la perdita di validità e allegare i documenti giustificativi, al fine di procedere alla sottrazione del punteggio corrispondente.

La Nota chiarisce altresì che, in sede di ispezione, qualora emerga l’assenza reale di uno dei requisiti, l’ispettore può proporre l’invalidazione tramite l’applicativo “Verifica Patente a Crediti”, la quale sarà successivamente convalidata da un dirigente dell’Ufficio competente e comunicata formalmente al rappresentante legale.

Per quanto concerne le rettifiche dei dati inseriti erroneamente, queste possono essere effettuate autonomamente dal legale rappresentante o suo delegato prima dell’aggiornamento del punteggio, che avviene normalmente tra le ore 00:00 e 03:00. Se l’errore viene rilevato dopo questo momento, la rettifica deve essere richiesta all’Ufficio territoriale dell’INL, anche tramite PEC, allegando motivazione e codice fiscale dell’impresa.

La Nota INL dedica poi un ampio spazio alle indicazioni rivolte ai soggetti non italiani o privi di identità digitale. In questi casi, ossia cittadini comunitari privi di identità eIDAS o extracomunitari, occorre contattare un Ufficio territoriale dell’INL per essere identificati di persona, via PEC o tramite servizi MS Teams. Anche i professionisti che operano nei cantieri e non sono iscritti alla Camera di Commercio (come ad esempio archeologi) devono attivarsi presso l’Ufficio territoriale per ottenere l’attestazione d’ufficio, necessaria per il riconoscimento dell’anzianità o del possesso della patente stessa.

Infine, la Nota è strettamente collegata al funzionamento del Portale dei Servizi dell’INL, reso disponibile a partire dal 10 luglio, che include funzionalità dedicate alla gestione della patente a crediti e alla richiesta dei relativi crediti aggiuntivi.

Ecco una tabella riassuntiva dei criteri per l’attribuzione dei crediti aggiuntivi previsti dalla patente a crediti, come chiarito dalla Nota INL n. 288/2025:

Requisito Crediti assegnati Modalità di verifica Validità / Aggiornamento
Anzianità iscrizione CCIAA Fino a 10 crediti (incrementali e non cumulabili) Autodichiarazione o verifica da banche dati Valido secondo anzianità (es. 10 anni = 3 crediti)
Certificazione SGSL UNI EN ISO 45001 5 crediti Certificato accreditato ACCREDIA allegato dal legale rappresentante 3 anni, aggiornabile un mese prima della scadenza
Modello Organizzativo ex art. 30 D.Lgs. 81/2008 asseverato 4 crediti Asseverazione allegata da organismo paritetico Validità secondo attestazione, aggiornabile
Certificazione SOA Classifica I = 1 credito
Classifica II = 2 crediti
Attestazione allegata con periodo di validità Rinnovabile alla scadenza, aggiornabile
Consulenza periodica da organismo paritetico 2 crediti Attestazione positiva dell’organismo Validità annuale, allegare e aggiornare attestazione
Perdita di requisiti Sottrazione dei crediti corrispondenti Comunicazione all’INL con documentazione Obbligo di segnalazione entro breve termine
Rettifiche dati errati Prima dell’aggiornamento notturno (00:00–03:00) via portale o PEC Specificare motivazione e codice fiscale
Soggetti esteri o non iscritti CCIAA Variabile Richiesta manuale presso INL (in persona, PEC o Teams) Necessaria per accesso al sistema

Per ulteriori dettagli e chiarimenti il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

 

Il tema del licenziamento individuale nel diritto del lavoro italiano ha attraversato nel tempo una significativa trasformazione, evolvendo da una disciplina priva di vincoli stringenti a un sistema articolato di tutele che riflette la necessità di bilanciare l’interesse economico delle imprese con quello della protezione del lavoratore.

Uno dei momenti più significativi di questo percorso normativo è rappresentato dall’introduzione del Jobs Act, con il decreto legislativo 23/2015, che ha previsto un nuovo regime sanzionatorio per i licenziamenti dei lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015. Tuttavia, recenti pronunce della Corte Costituzionale, come le sentenze n. 111 e n. 118 del 2025, hanno evidenziato profili di illegittimità costituzionale di alcune di queste disposizioni, confermando una tendenza ormai consolidata della giurisprudenza costituzionale ad intervenire nel settore.

Il Jobs Act ha segnato un punto di svolta, introducendo il contratto a tutele crescenti e stabilendo un regime sanzionatorio basato sull’anzianità di servizio, applicabile solo ai nuovi assunti. Questo meccanismo, ritenuto più favorevole per le aziende, ha sollevato critiche fin dall’inizio per la sua rigidità e per l’impatto limitato delle tutele previste in caso di licenziamento illegittimo.

Proprio su questo aspetto si sono concentrate le recenti censure della Corte Costituzionale, che ha dichiarato incostituzionali alcune previsioni del d.lgs. 23/2015, in particolare per la mancata discrezionalità riconosciuta al giudice nella determinazione dell’indennità.

Il successivo Decreto Dignità ha cercato di riequilibrare la disciplina aumentando i limiti minimi e massimi delle indennità risarcitorie. Tuttavia, il sistema resta oggi estremamente articolato e dipendente da tre fattori: i vizi del licenziamento, le dimensioni aziendali e la data di assunzione del lavoratore.

I vizi del licenziamento includono, tra gli altri, l’assenza di giusta causa o giustificato motivo, la violazione delle procedure previste dalla legge (come quella disciplinare ex articolo 7 dello Statuto dei lavoratori), la mancata motivazione nella lettera di licenziamento e le ipotesi più gravi come i licenziamenti discriminatori o ritorsivi. Particolare attenzione è rivolta alla tutela della maternità e della paternità, per cui vige un esplicito divieto di licenziamento in specifici periodi temporali.

Quanto alle dimensioni aziendali, queste incidono direttamente sul tipo di sanzione applicabile. Le imprese con più di 15 dipendenti (o 5 in ambito agricolo) sono soggette a regole più stringenti, mentre le piccole aziende continuano ad usufruire di una disciplina più flessibile. Il calcolo del numero di dipendenti, ai fini dell’applicazione delle tutele, deve considerare l’occupazione media degli ultimi sei mesi, includendo i lavoratori a tempo indeterminato, part-time, a termine e intermittenti, ma escludendo gli apprendisti, i somministrati e i sostituti.

Un ulteriore criterio determinante è rappresentato dalla data di assunzione: i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 godono della tutela reale piena prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori o, nelle piccole aziende, della disciplina prevista dall’articolo 8 della legge 604/1966. Per i lavoratori assunti successivamente, trovano invece applicazione le norme del d.lgs. 23/2015, modificate dal Decreto Dignità. Ciò comporta una distinzione normativa che la giurisprudenza ha spesso ritenuto in contrasto con il principio di eguaglianza.

Le pronunce della Corte Costituzionale hanno avuto un impatto determinante su questo assetto. Le sentenze n. 111 e 118 del 2025 si inseriscono in un filone giurisprudenziale avviato già nel 2018, che mette in discussione l’efficacia del sistema sanzionatorio del Jobs Act. I giudici hanno evidenziato come l’automatismo nella determinazione dell’indennità sulla base della sola anzianità di servizio sia lesivo del principio di proporzionalità, oltre che inadatto a garantire una tutela effettiva al lavoratore. Questa posizione conferma l’indirizzo della Corte volto a garantire una maggiore discrezionalità al giudice e un sistema di tutele coerente con i principi costituzionali.

Anche sul piano procedurale si riscontrano profonde differenze tra le varie tipologie di licenziamento. Il giustificato motivo soggettivo si riferisce a condotte imputabili al lavoratore e, pur non raggiungendo la soglia della giusta causa, rendono necessario il recesso. Il giustificato motivo oggettivo invece riguarda l’organizzazione aziendale e impone il rispetto di procedure specifiche, come l’obbligo di repechage e, per i lavoratori assunti prima del Jobs Act, il ricorso alla procedura presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

Infine, il regime sanzionatorio prevede diverse tipologie di tutela reale o indennitaria, a seconda del tipo di vizio riscontrato. Le aziende sopra i 15 dipendenti possono essere soggette alla reintegrazione del lavoratore, con pagamento delle retribuzioni arretrate e contributi previdenziali, oppure al pagamento di un’indennità compresa tra 6 e 24 mensilità, a seconda della gravità della violazione. Per le piccole aziende, invece, la sanzione consiste spesso in un’indennità ridotta, tra 2,5 e 6 mensilità.

Per maggiori chiarimenti su questo tema e per una consulenza personalizzata il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

Tabella riassuntiva del regime sanzionatorio per licenziamenti illegittimi

Azienda Data di assunzione Fattispecie di licenziamento illegittimo Sanzione applicata
Fino a 15 dipendenti Prima del 07/03/2015 Licenziamento nullo o orale Tutela reale piena (reintegra + risarcimento minimo 5 mensilità)
Fino a 15 dipendenti Prima del 07/03/2015 Difetto di giusta causa o giustificato motivo, vizi procedurali Tutela obbligatoria (riassunzione o indennità 2,5-6 mensilità)
Oltre 15 dipendenti Prima del 07/03/2015 Licenziamento nullo o orale Tutela reale piena (reintegra + risarcimento minimo 5 mensilità + contributi)
Oltre 15 dipendenti Prima del 07/03/2015 Insussistenza del fatto o vizio grave Tutela reale attenuata (reintegra + risarcimento max 12 mensilità)
Oltre 15 dipendenti Prima del 07/03/2015 Altri vizi non gravi Tutela obbligatoria forte (indennità tra 12 e 24 mensilità)
Oltre 15 dipendenti Prima del 07/03/2015 Vizi formali/procedurali Tutela obbligatoria debole (indennità tra 6 e 12 mensilità)
Fino a 15 dipendenti Dopo il 07/03/2015 Qualsiasi vizio di legittimità Tutele crescenti (indennità tra 6 e 36 mensilità, secondo anzianità)
Oltre 15 dipendenti Dopo il 07/03/2015 Idem come sopra Tutele crescenti (con limiti di indennità raddoppiati dal Decreto Dignità)

 

Il Decreto-Legge n. 95 del 2025, noto anche come “Decreto Economia” o “Decreto Sviluppo 2025”, è stato emanato dal Governo con l’obiettivo di rafforzare la crescita economica, promuovere lo sviluppo territoriale, sostenere le infrastrutture strategiche e incentivare la coesione sociale attraverso un insieme coordinato di misure. L’iter normativo si è completato con l’approvazione definitiva del disegno di legge A.C. 2551 da parte della Camera dei deputati il 6 agosto 2025, sancendo la conversione in legge del decreto-legge originario del 30 giugno 2025.

Il provvedimento assume la forma di un decreto omnibus, in quanto racchiude interventi in ambiti diversi, tutti riconducibili alla strategia di rilancio del sistema economico-produttivo nazionale.

L’intervento è rivolto a imprese, enti locali, organizzazioni del terzo settore, comunità territoriali e soggetti pubblici e privati, con l’obiettivo di favorire investimenti, innovazione, sostenibilità e inclusione, mediante strumenti finanziari, semplificazioni normative e programmazione multilivello.

Elemento cardine della nuova normativa è l’istituzione del Fondo nazionale per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, con una dotazione iniziale pari a 10 miliardi di euro. Tale fondo è gestito dall’Agenzia per la Coesione Territoriale e destinato a finanziare progetti a forte impatto occupazionale, sociale e ambientale.

Le risorse potranno essere impiegate per sostenere interventi di rigenerazione urbana, potenziamento dei servizi pubblici locali, infrastrutture strategiche, sviluppo industriale e inclusione sociale. Il fondo rappresenta il perno finanziario attraverso cui si attueranno le principali misure previste dalla legge.

Per agevolare l’accesso ai fondi, il decreto introduce anche un sistema di semplificazione amministrativa, con la previsione di sportelli digitali unificati, riduzione dei tempi di istruttoria e maggiore trasparenza nei criteri di selezione dei progetti. L’intento è rendere più efficiente il processo di attuazione e coinvolgere in modo attivo sia le amministrazioni pubbliche sia il sistema imprenditoriale e associativo.

Un’altra misura strutturale contenuta nella legge è la definizione dei contratti di sviluppo territoriali, strumenti negoziali pensati per realizzare interventi integrati nei territori mediante il coordinamento tra amministrazioni centrali, enti locali e soggetti privati. Questi contratti saranno promossi dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in collaborazione con l’Agenzia per l’Attrazione degli Investimenti, e potranno finanziare iniziative nei settori della manifattura avanzata, logistica, turismo sostenibile, tecnologie digitali e energie rinnovabili. I contratti saranno attivabili anche su iniziativa dei comuni o delle comunità locali, e potranno prevedere il coinvolgimento di finanza pubblica e privata.

Il decreto prevede inoltre l’elaborazione di un Piano Nazionale per la Competitività Industriale, che sarà coordinato dal Comitato interministeriale per la politica industriale. Questo piano ha la funzione di individuare le filiere produttive strategiche da sostenere con risorse dedicate. Tra i settori prioritari sono indicati l’energia, l’automotive, la microelettronica, la farmaceutica e l’intelligenza artificiale. L’obiettivo è consolidare il posizionamento dell’Italia nei comparti ad alta tecnologia e favorire la transizione verso un’economia fondata sull’innovazione e la competitività internazionale.

Particolare attenzione è riservata alla transizione ecologica e digitale. La legge introduce misure che incentivano l’adozione di tecnologie digitali, la decarbonizzazione dei processi produttivi, l’efficienza energetica e lo sviluppo di pratiche industriali sostenibili. Le imprese potranno accedere a voucher per la digitalizzazione, strumenti di finanziamento per la riconversione ecologica e meccanismi di sostegno alla ricerca e sviluppo applicata.

Nel campo del terzo settore, il provvedimento prevede azioni di sostegno specifico a favore di imprese sociali, cooperative e organizzazioni di volontariato, attraverso contributi diretti, finanziamenti agevolati e facilitazioni nell’accesso ai fondi nazionali. Tali misure sono rivolte a progetti che promuovano l’inclusione sociale, il miglioramento della qualità della vita nelle comunità e la creazione di servizi di prossimità. Le risorse dedicate saranno assegnate tramite bandi pubblici, disciplinati dai decreti attuativi in corso di elaborazione.

Per quanto riguarda le infrastrutture, la legge stabilisce finanziamenti per opere pubbliche strategiche, con riferimento particolare ai corridoi TEN-T europei, alla modernizzazione della rete ferroviaria regionale, allo sviluppo portuale, alla logistica e alla connettività digitale. Gli enti beneficiari potranno accedere a programmi di finanziamento pluriennali, con possibilità di anticipazione delle risorse a fronte della presentazione di progetti esecutivi già validati. Gli interventi sono orientati a migliorare l’accessibilità, la mobilità sostenibile e la competitività logistica dei territori.

Il DL convertito in legge interviene anche sulle aree interne e marginali, attraverso il Programma nazionale per la resilienza delle comunità locali, gestito in coordinamento con la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Questo programma sostiene interventi destinati ai piccoli comuni, alle zone montane e alle comunità in difficoltà demografica, con azioni rivolte alla valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale, al rafforzamento dei servizi essenziali e al rilancio dell’imprenditoria locale.

L’intera attuazione delle misure è sottoposta al coordinamento di una cabina di regia interministeriale, incaricata di monitorare l’avanzamento dei progetti e assicurare la coerenza tra le diverse linee di intervento. Sono previste relazioni periodiche che illustreranno lo stato di utilizzo delle risorse, l’impatto delle misure sui territori e i risultati raggiunti.

Le risorse complessive previste dalla legge ammontano a circa 15 miliardi di euro, suddivise tra il Fondo nazionale per lo sviluppo economico, sociale e territoriale e altri programmi specifici per settori e territori. L’accesso ai fondi sarà disciplinato dai decreti attuativi e dai bandi pubblici che stabiliranno i criteri di ammissibilità, le modalità di candidatura e le priorità di finanziamento.

Per chiarimenti e per consulenza personalizzata il nostro tema di esperti è a vostra disposizione.

 

Conversione in legge Approvata dalla Camera dei deputati il 6 agosto 2025 (Disegno di legge A.C. 2551)
Tipologia normativa Decreto-legge omnibus (multi-settore)
Obiettivo generale Sviluppo economico, coesione sociale, investimenti pubblici e privati, rafforzamento delle infrastrutture
Soggetti destinatari Imprese, enti locali, organizzazioni del terzo settore, comunità territoriali, soggetti pubblici e privati
Fondo principale istituito Fondo nazionale per lo sviluppo economico, sociale e territoriale
Gestione del Fondo Agenzia per la Coesione Territoriale
Dotazione iniziale del Fondo 10 miliardi di euro
Altre risorse complessive previste Totale: circa 15 miliardi di euro (inclusi fondi per settori e programmi specifici)
Strumenti introdotti Contratti di sviluppo territoriali – Piano Nazionale per la Competitività Industriale – Programma per la resilienza delle comunità locali
Settori prioritari Energia, automotive, microelettronica, farmaceutica, intelligenza artificiale
Incentivi previsti Voucher digitalizzazione – Finanziamenti per efficienza energetica – Sostegno alla transizione ecologica
Semplificazioni amministrative Sportelli digitali, procedure unificate, riduzione dei tempi istruttori
Ambiti territoriali strategici Aree interne, piccoli comuni, zone a rischio spopolamento
Cabina di regia Interministeriale – Coordinamento attuativo e monitoraggio nazionale
Bandi pubblici In fase di definizione tramite decreti attuativi – accesso aperto a soggetti pubblici e privati
Obiettivi trasversali Crescita sostenibile, inclusione sociale, innovazione, rilancio industriale, rafforzamento dei servizi essenziali

 

La maxi deduzione costo del lavoro rappresenta una misura di grande rilievo prevista a partire dal 2025, inserita nel quadro della riforma fiscale delineata dalla Legge n. 111/2023. Il principio guida di questa nuova disciplina consiste nel rafforzare il ruolo dei costi per lavoro dipendente ai fini della determinazione del reddito d’impresa e del reddito di lavoro autonomo.

La disposizione mira a incentivare l’occupazione, in particolare quella stabile e giovanile, attraverso una deduzione potenziata rispetto al trattamento attualmente in vigore.

L’obiettivo della nuova deduzione è quello di favorire l’incremento occupazionale mediante una leva fiscale specifica e differenziata. La misura consente di dedurre dal reddito una quota maggiorata del costo del lavoro, in base alla tipologia di lavoratore assunto e alla forma contrattuale.

La logica di fondo è quella di rendere più competitivo il costo del lavoro stabile, premiando soprattutto l’assunzione di giovani under 30 e la contrattualizzazione a tempo indeterminato.

La decorrenza della maxi deduzione è fissata a partire dal 2025, con effetti applicabili già nel 2026 in sede di dichiarazione dei redditi relativa all’anno precedente. Tuttavia, la misura assume carattere strutturale, in quanto prevista come modifica permanente all’impianto normativo esistente.

La nuova disciplina prevede diverse forme di deduzione, differenziate in base alla tipologia di lavoratori e alla natura del contratto. È prevista una deduzione base applicabile a tutto il costo del lavoro dipendente, e deduzioni incrementali per le assunzioni a tempo indeterminato e per i lavoratori sotto i trent’anni di età.

I soggetti beneficiari della maxi deduzione costo del lavoro sono tutti i titolari di reddito d’impresa e di lavoro autonomo che impiegano lavoratori dipendenti. La misura riguarda quindi tanto le imprese individuali quanto le società, senza esclusione di forma giuridica. È inclusa anche la platea dei professionisti, purché si avvalgano di personale dipendente nella propria attività.

Una delle principali novità normative consiste nell’estensione della maxi deduzione anche ai soggetti che aderiscono al concordato preventivo biennale.

In pratica, l’ammontare dedotto in base alla nuova disciplina viene considerato rilevante ai fini del calcolo del reddito concordato, contribuendo a una maggiore aderenza alla capacità contributiva reale del contribuente.

Nel contesto del concordato preventivo biennale, il reddito stimato tiene conto anche delle deduzioni legate al costo del lavoro secondo il nuovo meccanismo. Questo significa che il beneficio fiscale derivante dall’assunzione di lavoratori rientra pienamente nel sistema di determinazione automatica del reddito.

I valori rilevanti per il calcolo della maxi deduzione includono l’intero ammontare del costo del lavoro sostenuto, al netto di eventuali contributi o agevolazioni già ottenute. L’importo deducibile è poi modulato secondo le percentuali stabilite in base alla categoria di lavoratore e alla durata del contratto. Questi valori sono automaticamente incorporati nella base dati dell’Agenzia delle Entrate, garantendo trasparenza e coerenza nell’attribuzione del beneficio.

Dal punto di vista contabile, la maxi deduzione costo del lavoro comporta una differenziazione tra reddito effettivo e reddito concordato. Nei modelli dichiarativi, dovranno essere evidenziate separatamente le componenti reddituali assoggettate alla deduzione potenziata, al fine di rendere tracciabile l’operazione ai fini del controllo fiscale.

I modelli dichiarativi verranno adeguati per recepire le nuove regole in materia di deducibilità del costo del lavoro. Saranno introdotti specifici quadri o sezioni per l’indicazione dell’importo dedotto e delle relative motivazioni. In questo modo sarà possibile monitorare l’utilizzo effettivo della misura, anche ai fini delle analisi statistiche dell’amministrazione finanziaria.

La normativa precedente prevedeva una deduzione standardizzata dei costi per lavoro dipendente, senza una specifica premialità in base alla natura dell’assunzione. Con la nuova maxi deduzione costo del lavoro, si introduce un principio di selettività che premia l’occupazione stabile e giovanile, superando l’uniformità del passato.

La misura si colloca in una cornice più ampia di politiche per il lavoro e di incentivi fiscali. Essa può essere integrata con altri strumenti già previsti, come esoneri contributivi, crediti d’imposta per assunzioni e agevolazioni per zone svantaggiate. L’integrazione tra strumenti diversi deve però essere gestita con attenzione, evitando il rischio di cumulo non compatibile.

Per accedere alla maxi deduzione, le imprese devono rispettare specifici obblighi documentali, tra cui la conservazione delle copie dei contratti, delle buste paga e della documentazione attestante la tipologia di lavoratore. Questi documenti saranno soggetti a eventuali verifiche da parte dell’Agenzia delle Entrate, in un’ottica di contrasto all’evasione fiscale e di verifica dell’effettività dell’assunzione.

L’attuazione della maxi deduzione costo del lavoro sarà supportata da strumenti digitali messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate. Le procedure saranno automatizzate, con calcolo precompilato e accesso alle informazioni attraverso i canali telematici.

In base alle previsioni normative, l’introduzione della maxi deduzione costo del lavoro dovrebbe generare un effetto positivo sulla creazione di posti di lavoro, soprattutto tra i giovani e nelle aree ad alto tasso di disoccupazione. Il meccanismo fiscale è progettato per ridurre il costo netto del lavoro per il datore, rendendo più sostenibile l’assunzione a lungo termine.

Il legislatore ha previsto strumenti di monitoraggio dell’impatto della nuova misura, mediante l’analisi dei dati dichiarativi e l’evoluzione dell’occupazione. Tali attività saranno coordinate dall’Agenzia delle Entrate in collaborazione con il Ministero del Lavoro, con l’obiettivo di verificare l’efficacia della leva fiscale utilizzata.

Per maggiori chiarimenti e per consulenze personalizzate il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

FAQ

Che cos’è la maxi deduzione costo del lavoro?
È una misura fiscale che consente di dedurre in misura maggiorata il costo del lavoro dipendente, a partire dal 2025.

Chi può beneficiare della maxi deduzione?
Tutti i titolari di reddito d’impresa e di lavoro autonomo che impiegano lavoratori dipendenti.

È applicabile anche nel regime di concordato preventivo biennale?
Sì, la deduzione rileva anche ai fini della determinazione del reddito concordato.

Quali lavoratori danno diritto alla deduzione potenziata?
Lavoratori assunti a tempo indeterminato e lavoratori con meno di 30 anni di età.

Come viene calcolata la deduzione?
In base al costo effettivo del lavoro sostenuto, modulato per tipologia contrattuale e anagrafica.

Sono previsti obblighi documentali?
Sì, è necessario conservare contratti, documentazione retributiva e attestazioni relative ai lavoratori.

Dal 1° luglio 2025 le società quotate FTSE MIB non applicano più lo split payment: cosa cambia per Iva e fatturazione.

Questa novità, in vigore dal mese corrente, nasce dall’attuazione di una direttiva europea che modifica radicalmente le modalità di applicazione dell’imposta, e trova attuazione nell’articolo 10 del D.L. n. 84/2025, che ha soppresso la lettera d) dell’articolo 17-ter, comma 1-bis, del Dpr n. 633/1972.

Il nuovo quadro normativo segue le indicazioni della Decisione di esecuzione 2023/1552 del Consiglio dell’Unione europea, che aveva autorizzato la proroga dello split payment per tutti i soggetti interessati fino al 30 giugno 2026, ma aveva previsto specificamente l’esclusione delle società quotate FTSE MIB dal meccanismo a partire dal 1° luglio 2025.

Nel dettaglio, il sistema dello split payment ha previsto che, nelle operazioni con le Pubbliche Amministrazioni, con società controllate e con determinati altri enti, sia il committente o cessionario – invece del fornitore – a versare direttamente l’imposta all’Erario.

Fino al 30 giugno 2025, anche le società quotate nel FTSE MIB rientravano tra i destinatari di questo regime speciale, ma dal 1° luglio, per effetto dell’abrogazione della lettera d) sopra citata, tali società sono definitivamente escluse dal perimetro dello split payment.

Per tutte le fatture emesse a partire dal 1° luglio 2025 nei confronti di società quotate FTSE MIB, il versamento dell’Iva torna a essere di competenza del fornitore, secondo il regime ordinario di rivalsa. Le società fornitrici e i professionisti dovranno quindi emettere fattura ordinaria, incassare l’Iva e successivamente versarla secondo le normali scadenze previste dalla legge.

L’Agenzia delle Entrate, attraverso le proprie FAQ pubblicate a fine giugno, ha precisato che la data di emissione della fattura elettronica rappresenta l’elemento determinante per individuare il regime applicabile: tutte le fatture con data di emissione fino al 30 giugno 2025 restano soggette allo split payment, mentre per quelle con data successiva al 1° luglio 2025 si applicherà il regime ordinario. In altre parole, il meccanismo di scissione dei pagamenti si considera superato solo per le operazioni fatturate dal 1° luglio in avanti.

Un’ulteriore attenzione riguarda le diverse tipologie di fatturazione. Nel caso delle fatture immediate, che possono essere emesse entro dodici giorni dall’effettuazione dell’operazione, fa fede la data riportata in fattura: se la data è anteriore o pari al 30 giugno, si applica ancora lo split payment, indipendentemente dal giorno di trasmissione al Sistema di Interscambio. Per le fatture differite, che possono essere emesse entro il quindicesimo giorno del mese successivo rispetto a quello in cui l’operazione è stata effettuata, la data di riferimento è sempre quella riportata nel documento elettronico.

Dal punto di vista strettamente normativo, a partire dal 1° luglio 2025 la lettera d) dell’articolo 17-ter, comma 1-bis, del Dpr n. 633/1972 risulta abrogata. Pertanto, l’obbligo di scissione dei pagamenti resta valido solo per gli altri soggetti individuati dalla norma, come enti pubblici, fondazioni e società controllate, ai quali continua ad applicarsi lo split payment secondo le regole in vigore.

Per maggiori chiarimenti e per assistenza personalizzata il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

Con l’entrata in vigore del recente DL Fiscale, sono state apportate alcune importanti modifiche alle modalità applicative del cosiddetto meccanismo di Reverse Charge (inversione contabile), con particolare attenzione ai settori della logistica e degli appalti.

Il Reverse Charge è un particolare metodo di liquidazione dell’IVA che prevede il trasferimento dell’obbligo tributario dal cedente al cessionario del bene o servizio. Normalmente, infatti, l’imposta sul valore aggiunto viene assolta dal soggetto che emette la fattura, mentre con il Reverse Charge tale onere si trasferisce all’acquirente, che dovrà integrarla e registrarla nelle proprie scritture contabili.

L’introduzione del Reverse Charge è avvenuta inizialmente per contrastare fenomeni di evasione fiscale. Questa tecnica consente all’amministrazione fiscale di ridurre potenziali frodi o evasioni IVA dovute all’emissione di fatture per operazioni inesistenti o comunque irregolari.

Il recente DL Fiscale ha apportato significative modifiche riguardo all’applicazione del Reverse Charge, soprattutto in relazione ai contratti di subappalto caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera e ai servizi resi nel settore della logistica.

In particolare, il provvedimento chiarisce le situazioni specifiche nelle quali si applica il meccanismo dell’inversione contabile, indicando in modo dettagliato le tipologie contrattuali e i settori coinvolti.

Il decreto fiscale interviene in maniera specifica sul settore degli APPALTI, stabilendo con precisione che il Reverse Charge debba essere applicato a tutte le prestazioni di servizi rese da imprese subappaltatrici che impiegano prevalentemente manodopera presso i locali del committente. Quindi, l’appaltatore che riceve la fattura dal subappaltatore non vedrà applicata l’IVA, ma dovrà integrarla e liquidarla autonomamente.

L’obiettivo dichiarato dal legislatore è quello di contrastare fenomeni illeciti che spesso avvengono proprio nel delicato settore degli appalti, caratterizzato da frequenti situazioni di subappalto e impiego massiccio di lavoratori.

Un settore interessato dalle novità introdotte dal DL Fiscale è quello della LOGISTICA, specialmente riguardo ai servizi di movimentazione delle merci, di carico e scarico, gestione dei magazzini e operazioni analoghe.

La normativa recentemente introdotta ha chiarito, infatti, che l’applicazione del Reverse Charge si estende esplicitamente ai servizi di logistica caratterizzati da una prevalente componente lavorativa, forniti presso le strutture operative del committente. Tale precisazione normativa è importante perché definisce chiaramente il perimetro applicativo del Reverse Charge in un ambito dove spesso potevano nascere dubbi interpretativi.

Secondo quanto previsto dal DL Fiscale, l’impresa appaltatrice o committente che riceve la fattura senza IVA, perché soggetta al Reverse Charge, ha il compito di integrare tale documento contabile con l’indicazione dell’imposta dovuta, registrando l’operazione sia nel registro acquisti che in quello delle vendite. In questo modo, l’IVA viene assolta dal soggetto che riceve il servizio e non da quello che lo fornisce.

L’impresa che invece emette la fattura (il subappaltatore o prestatore del servizio) dovrà obbligatoriamente riportare in fattura l’annotazione “operazione soggetta al Reverse Charge ex articolo 17 DPR 633/72”, specificando quindi chiaramente la natura dell’operazione.

Si tratta di adempimenti tecnici specifici che richiedono molta attenzione da parte delle imprese coinvolte, per non incorrere in errori o omissioni che potrebbero comportare conseguenze fiscali negative.

La decorrenza delle novità introdotte dal DL Fiscale è stabilita chiaramente nella normativa stessa. Le disposizioni entrano immediatamente in vigore e si applicano ai nuovi contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della normativa.

Per quanto riguarda invece i contratti già in corso al momento della pubblicazione della normativa, il decreto specifica dettagliatamente se e quando tali disposizioni si applicano, fornendo così criteri chiari di riferimento per imprese e professionisti.

Le aziende coinvolte sono tenute ad adeguare le proprie procedure amministrative e contabili tempestivamente, assicurando così la piena conformità alle nuove disposizioni normative.

Il legislatore prevede specifiche sanzioni per coloro che non applicano correttamente le nuove regole sul Reverse Charge, al fine di incentivare una corretta applicazione della normativa e prevenire possibili fenomeni evasivi.

Per ulteriori dettagli, chiarimenti e per assistenza personalizzata il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

FAQ

1. Cos’è precisamente il Reverse Charge?
Il Reverse Charge è un meccanismo di inversione contabile attraverso cui l’obbligo di versamento dell’IVA passa dal cedente/prestatore del servizio al cessionario/committente. In altre parole, l’IVA non è addebitata nella fattura emessa dal fornitore, ma deve essere integrata e versata direttamente dall’acquirente.

  1. Quali settori sono coinvolti dalle novità introdotte dal DL Fiscale sul Reverse Charge?
    Le novità introdotte dal recente DL Fiscale riguardano principalmente il settore della logistica e degli appalti, con particolare riferimento ai servizi caratterizzati da un prevalente utilizzo di manodopera eseguiti presso i locali del committente.
  2. Come deve essere compilata correttamente una fattura soggetta al Reverse Charge?
    Nella fattura emessa da un soggetto che applica il Reverse Charge, non deve essere indicata l’IVA, ma è necessario inserire una dicitura esplicita come: “Operazione soggetta al Reverse Charge ex articolo 17 DPR 633/72”.
  3. Quali sono gli adempimenti a carico del committente o acquirente che riceve una fattura soggetta a Reverse Charge?
    L’impresa che riceve una fattura soggetta a Reverse Charge ha l’obbligo di integrarla con l’indicazione dell’IVA dovuta, registrandola contemporaneamente sia nel registro delle fatture di acquisto sia nel registro vendite.
  4. Ci sono sanzioni specifiche per chi non applica correttamente il Reverse Charge?
    Sì, sono previste specifiche sanzioni amministrative per chi viola le disposizioni relative al Reverse Charge. Queste sanzioni sono dettagliate chiaramente nella normativa fiscale e possono essere rilevanti economicamente.
  5. Il Reverse Charge si applica sempre ai contratti di subappalto nel settore della logistica?
    Il Reverse Charge si applica specificamente ai servizi di subappalto che prevedano prevalentemente l’impiego di manodopera, purché eseguiti presso le strutture operative del committente. È importante valutare attentamente caso per caso.

Il Decreto Legge Fiscale recentemente emanato ha introdotto alcune importanti novità relativamente alla cessione delle quote delle Società tra Professionisti (STP), con specifiche disposizioni che coinvolgono direttamente i professionisti.

Le Società tra Professionisti (STP) sono società costituite ai sensi della Legge 183/2011, disciplinate dalla normativa specifica, che consente a diversi professionisti di esercitare in forma societaria attività regolamentate e protette, iscritti agli Ordini professionali di appartenenza.

Questo tipo di società consente dunque ai professionisti di operare sotto forma societaria, garantendo loro la possibilità di cedere o trasferire quote societarie secondo le regole previste dalla legge e dai regolamenti collegati.

Il recente DL Fiscale, nel quadro di interventi normativi mirati a definire con maggiore precisione alcune procedure fiscali e tributarie, ha introdotto novità importanti in relazione alla cessione delle quote delle STP. Le modifiche riguardano principalmente i criteri e le modalità attraverso cui può essere operata la cessione delle quote da parte dei soci, con particolare attenzione agli aspetti procedurali e agli obblighi dichiarativi.

In particolare, il decreto chiarisce che l’operazione di cessione delle quote di STP deve essere comunicata tempestivamente al competente Ordine Professionale, specificando in modo chiaro l’identità dei soggetti coinvolti nell’operazione, il numero di quote cedute, nonché le eventuali modifiche nella composizione societaria che risultano dall’operazione stessa.

Tale obbligo è stato introdotto per garantire trasparenza e consentire ai singoli Ordini di avere una chiara rappresentazione della struttura societaria e delle relative modifiche intervenute nel tempo.

I soci, siano essi professionisti singoli o società di capitali, che procedono con la cessione delle quote delle Società tra Professionisti devono attenersi a precisi obblighi dichiarativi, come previsto dal decreto stesso. In particolare, è previsto l’obbligo di dichiarare in modo dettagliato la transazione e il valore delle quote cedute ai fini fiscali, rispettando così gli obblighi di natura tributaria.

Le disposizioni introdotte dal DL Fiscale si applicano indistintamente a tutte le STP già costituite, indipendentemente dal tipo di attività professionale svolta e dalle dimensioni della società stessa.

La normativa descritta risulta dunque applicabile in modo generalizzato e uniforme su tutto il territorio nazionale, a partire dall’entrata in vigore del decreto, rendendo pertanto obbligatoria l’applicazione delle nuove regole a tutte le operazioni di cessione quote successive alla data di decorrenza dello stesso.

Le novità introdotte nel quadro normativo delle STP hanno come conseguenza diretta una maggiore attenzione ai profili amministrativi e fiscali relativi alle operazioni societarie, con il risultato di aumentare la trasparenza verso gli organismi di vigilanza professionale e fiscale. I soci, quindi, devono prestare particolare attenzione alla tempestività e precisione delle comunicazioni obbligatorie e delle dichiarazioni fiscali relative alla cessione delle quote societarie.

La nuova normativa vuole rendere più chiara e uniforme la procedura da seguire per la cessione delle quote, sottolineando l’importanza della corretta gestione dei passaggi societari attraverso un puntuale rispetto delle regole dettate dal decreto.

Tali disposizioni assumono pertanto rilevanza significativa nella gestione quotidiana delle STP, determinando un preciso iter amministrativo e fiscale che deve essere seguito ogni volta che i soci intendano trasferire o acquisire quote societarie.

Il Decreto Legge Fiscale indica chiaramente anche quali siano le conseguenze in caso di mancato rispetto delle nuove disposizioni previste per la cessione delle quote.

Nello specifico, eventuali omissioni o ritardi nelle comunicazioni obbligatorie agli Ordini di appartenenza o nelle dichiarazioni fiscali inerenti le operazioni societarie potrebbero determinare responsabilità per i soci coinvolti.

Per maggiori chiarimenti e per assistenza personalizzata il nostro studio è a vostra disposizione.

Tabella riepilogativa

Ambito di applicazione Tutte le STP indipendentemente dalla dimensione e dal tipo di attività professionale esercitata
Comunicazione obbligatoria agli Ordini professionali Obbligo di comunicare tempestivamente all’Ordine di appartenenza ogni operazione di cessione quote con dettagli precisi (identità dei soci, numero e valore quote cedute)
Obblighi dichiarativi fiscali Obbligo per i soci cedenti di dichiarare il valore e i dettagli della transazione ai fini tributari
Tempistiche di applicazione Immediate: tutte le cessioni successive alla data di entrata in vigore del decreto
Conseguenze in caso di inadempimento Responsabilità specifiche per soci che omettono o ritardano comunicazioni e dichiarazioni previste dal DL

FAQ

Quali sono gli obblighi introdotti dal DL Fiscale per i soci STP?

Il decreto obbliga a comunicare tempestivamente ogni cessione di quote al competente Ordine professionale e a fornire puntualmente le dichiarazioni fiscali relative alla transazione effettuata.

Le regole sono applicabili a tutte le STP?

Sì, la normativa si applica indistintamente a tutte le STP costituite e operative, indipendentemente dall’attività esercitata o dalle dimensioni della società.

Quali sono le conseguenze del mancato rispetto delle nuove disposizioni?

Eventuali inadempimenti agli obblighi di comunicazione e dichiarativi previsti dal decreto comportano specifiche responsabilità per i soci coinvolti.

Di fronte a un clima sempre più instabile, con temperature che superano frequentemente i 40 gradi, le istituzioni regionali hanno adottato una serie di ordinanze a tutela della sicurezza sul lavoro, specialmente nei settori più esposti al rischio di stress termico e colpi di calore.

Il contesto climatico, influenzato dai cambiamenti climatici, ha accelerato l’adozione di misure preventive rigorose per limitare le attività durante le ore più calde della giornata. Diverse Regioni, tra cui Lazio, Toscana, Emilia-Romagna, Lombardia, Abruzzo e Basilicata, hanno formalmente introdotto il divieto di lavoro all’aperto dalle ore 12:30 alle 16:00, nei giorni in cui il sistema Worklimate dell’INAIL segnala un livello di rischio “alto”.

Nel Lazio, ad esempio, l’ordinanza firmata dal presidente della Regione prevede il blocco delle attività esterne tra le 12:30 e le 16:00 fino al 31 agosto 2025, qualora venga confermato il rischio termico elevato. Misura simile è stata adottata anche in Toscana, dove il presidente Eugenio Giani ha sottolineato la gravità del fenomeno e la necessità di tutelare i lavoratori nei settori agricolo, florovivaistico e dell’edilizia.

La sicurezza sul lavoro è diventata così una priorità assoluta, e l’attivazione delle ordinanze si estende anche ad altri comparti come la logistica e le cave, laddove le attività si svolgano sotto il sole cocente. L’Emilia-Romagna ha incluso nel provvedimento anche i piazzali della logistica, riconoscendo l’intensità fisica e l’esposizione al caldo come elementi di rischio significativi.

Oltre alle sospensioni obbligatorie, le regioni come il Veneto hanno scelto una linea più soft, raccomandando piuttosto che imponendo, soluzioni come la rotazione del personale, la riduzione dei tempi di esposizione e l’adozione di misure organizzative flessibili. Questo approccio mira comunque a garantire il diritto alla salute anche nei casi in cui l’interruzione totale dell’attività non sia possibile.

Le misure straordinarie sono state attivate anche nel Sud Italia: la Calabria, la Campania, la Puglia e la Sicilia hanno approvato ordinanze simili che impongono lo stop ai lavori all’aperto durante le ore centrali della giornata. Un elemento comune a tutte le normative è il riferimento alla mappa termica pubblicata dal portale Worklimate, sviluppato dall’INAIL in collaborazione con il CNR. Questo strumento consente di monitorare in tempo reale il rischio di esposizione occupazionale al caldo, diventando un punto di riferimento per datori di lavoro e istituzioni.

Le ordinanze, seppur differenti nei dettagli operativi, convergono su un principio comune: la prevenzione. Il caldo viene considerato un fattore di rischio professionale con effetti anche gravi sulla salute, come evidenziato dai casi di malore registrati negli ultimi anni tra operai agricoli e manovali.

A livello normativo, le imprese interessate possono fare ricorso a strumenti come la cassa integrazione con causale EONE (eventi meteo non evitabili) o la CISOA per il settore agricolo, nei giorni in cui è attiva la sospensione. Questo consente di tutelare sia i lavoratori che il tessuto produttivo, limitando l’impatto economico delle interruzioni.

Le ordinanze anti-caldo adottate nel 2025 si inseriscono in un quadro normativo sempre più attento alla gestione dei rischi climatici nel mondo del lavoro. Le misure variano da regione a regione ma seguono linee guida condivise e coordinate, con l’obiettivo di ridurre l’esposizione al calore e garantire condizioni di lavoro sicure anche durante i picchi di calore estivo.

Ordinanze Regionali Anti-Caldo 2025

Regione Periodo Validità Orario di Sospensione Settori Coinvolti Condizioni di Attivazione Eccezioni / Note
Lombardia 2 luglio – 15 settembre 2025 12:30 – 16:00 Edilizia, cave, agricoltura, florovivaismo Solo nei giorni con livello di rischio “alto” secondo Worklimate Escluse attività urgenti, pubblica utilità, protezione civile
Lazio Fino al 31 agosto 2025 12:30 – 16:00 Tutte le attività all’aperto Rischio “Alto” su Worklimate Valida su tutto il territorio regionale
Emilia-Romagna Fino al 15 settembre 2025 12:30 – 16:00 Cantieri edili, agricoltura, florovivaismo, logistica In caso di caldo estremo o anomalo Ordinanza regionale specifica
Abruzzo Fino al 31 agosto 2025 12:30 – 16:00 Agricoltura, florovivaismo, edilizia e affini Lavori con esposizione prolungata al sole Escluse attività di pubblica utilità
Veneto Raccomandazione in vigore Sconsigliato nelle ore calde Tutti i lavori all’aperto Suggerimento generale per i datori di lavoro Raccomandazioni su turni, pause, rotazioni
Basilicata Fino al 31 agosto 2025 12:30 – 16:00 Lavoro agricolo Rischio “Alto” su Worklimate Ordinanza valida nei giorni con rischio elevato
Toscana Fino al 31 agosto 2025 12:30 – 16:00 Attività fisica intensa con esposizione prolungata al sole Livello di rischio alto su Worklimate Ordinanza firmata da Eugenio Giani
Calabria Dal 10 giugno 2025 Non specificato Tutte le attività all’aperto Ordinanza già attiva su tutto il territorio Tra le prime ad attivarsi
Umbria Da metà giugno 2025 Non specificato Tutti i lavori esposti Ordinanza anticipata rispetto agli anni precedenti Prima volta con attivazione così tempestiva

 

 

Con il messaggio n. 1961 del 20 giugno 2025, l’INPS ha ulteriormente definito i dettagli tecnici da rispettare: è ora obbligatoria la valorizzazione di specifici elementi all’interno dell’elemento e sono state posticipate a ottobre 2025 alcune valorizzazioni originariamente previste per luglio. Questo aggiornamento si applica a tutte le aziende del settore privato, compresi i datori di lavoro agricoli e le pubbliche amministrazioni.

Possono accedere al rimborso delle retribuzioni tutti i lavoratori dipendenti del settore privato, inclusi colf, badanti, operai agricoli e lavoratori domestici. Per avere diritto alla giornata retribuita, la donazione deve essere gratuita, effettuata presso un centro autorizzato, e deve consistere in almeno 250 grammi di sangue. Nei casi di inidoneità alla donazione, il motivo deve essere riconducibile a quelli previsti dal decreto del 2015 e indicato in un certificato medico con giorno, ora e motivazione.

L’assenza giustificata dà inoltre diritto all’accredito della contribuzione figurativa, che è importante ai fini previdenziali e per il calcolo della pensione. Qualora il datore non presenti richiesta di rimborso, la retribuzione versata rientrerà nella normale contribuzione ordinaria.

Il calcolo della retribuzione per l’assenza da donazione deve essere effettuato considerando la retribuzione ordinaria che il dipendente avrebbe percepito se avesse lavorato. Devono essere escluse le componenti non ricorrenti, e vanno considerate solo le voci fisse e continuative. Per i lavoratori mensilizzati, la retribuzione teorica mensile va divisa per 26; per chi ha una retribuzione oraria, si applica anche un divisore orario.

In particolare, per gli operai agricoli, il flusso Uniemens-PosAgri richiede l’applicazione di un divisore di 6,5 ore giornaliere.

Esistono due modalità per il rimborso: tramite conguaglio nel flusso Uniemens, o con domanda diretta telematica. Il conguaglio è possibile per i datori che operano secondo il D.L. 663/1979, i quali possono recuperare quanto anticipato direttamente nel flusso Uniemens usando i codici evento “DON” per la donazione e “IDS” per l’inidoneità. È obbligatorio anche indicare il codice fiscale del centro trasfusionale. I codici conguaglio sono S127 per indennità da donazione, S129 per inidoneità, e S211 per eventuali differenze.

La domanda diretta telematica è necessaria per quei datori che non possono effettuare il conguaglio, come ad esempio i datori di lavoro domestico o gli agricoli a tempo determinato. La domanda va presentata tramite i servizi INPS, usando SPID, CIE, CNS o PIN dispositivo, e deve essere inviata entro la fine del mese successivo alla data della donazione o dell’inidoneità.

Per ottenere il rimborso, è necessario allegare un certificato medico contenente il codice fiscale della struttura, la quantità donata, il giorno e l’ora, e l’attestazione della gratuità della donazione. Il lavoratore deve inoltre rilasciare una dichiarazione sulla fruizione della giornata. Nei casi di inidoneità, il certificato deve riportare anche l’orario di entrata e uscita.

Dal 1° luglio 2025, sono previste nuove istruzioni tecniche per la compilazione del flusso Uniemens. Sarà obbligatoria la valorizzazione di campi specifici come l’elemento , il codice fiscale della struttura sanitaria, il tipo di evento, il numero di ore (in caso di inidoneità) e il tipo di copertura. Tutto ciò al fine di migliorare l’accuratezza dei dati e garantire un corretto accredito contributivo.

È importante evidenziare che l’obbligo di valorizzazione degli elementi è stato posticipato al periodo di competenza ottobre 2025, dando così più tempo ai datori per adeguarsi. Questo slittamento riduce il rischio di errori nelle prime applicazioni della nuova disciplina.

Per i datori di lavoro agricoli, la circolare INPS n. 96/2025 fornisce specifiche istruzioni: devono utilizzare il flusso Uniemens/PosAgri e indicare la retribuzione anticipata con il codice “S”. È necessario valorizzare correttamente il campo <Retribuzione Persa (RP)>, utile per il calcolo della contribuzione figurativa. La somma oggetto di anticipazione va riportata nel campo .

Sono stati anche illustrati esempi pratici per facilitare la compilazione: ad esempio, nel caso di donazione con giornata interamente retribuita, va utilizzato il codice evento DON con copertura totale; per le situazioni di inidoneità con assenza parziale, si utilizza IDS con il numero effettivo di ore indicate.

La documentazione da presentare è fondamentale. Il certificato medico deve contenere tutti i dati richiesti dalla normativa. Anche la dichiarazione del lavoratore è indispensabile per confermare la gratuità dell’atto e la fruizione dell’assenza.

Per la trasmissione delle domande INPS, sono accettati diversi strumenti di identificazione digitale: SPID, Carta d’Identità Elettronica (CIE), Carta Nazionale dei Servizi (CNS) o il vecchio PIN dispositivo. L’uso di questi strumenti garantisce la sicurezza della comunicazione e l’accesso ai servizi digitali.

Dal punto di vista previdenziale, le giornate di assenza giustificate per donazione danno diritto all’accredito figurativo e sono pienamente riconosciute ai fini del diritto alla pensione. Tuttavia, è fondamentale una corretta compilazione dei flussi per non perdere tali benefici.

Una compilazione errata può portare a sanzioni, soprattutto in caso di incongruenze nei dati trasmessi. L’INPS effettua verifiche sulle comunicazioni inviate e può bloccare i rimborsi in presenza di errori.

Per maggiori chiarimenti e per assistenza personalizzata il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

FAQ

Chi ha diritto al rimborso per donazione di sangue?
Tutti i lavoratori dipendenti del settore privato, inclusi domestici e agricoli, a condizione che la donazione sia gratuita e avvenga in un centro autorizzato.

Cosa succede se il lavoratore è giudicato inidoneo?
Ha comunque diritto alla retribuzione per il tempo necessario alla visita e al ritorno, se l’inidoneità è certificata.

Entro quanto tempo va fatta la richiesta di rimborso all’INPS?
Entro la fine del mese successivo alla data dell’assenza per donazione o inidoneità.

Quali sono i canali per inviare la domanda all’INPS?
SPID, CIE, CNS e PIN dispositivo.

Il giorno di assenza incide sulla pensione?
No, viene riconosciuto contributivamente grazie all’accredito figurativo previsto per legge.

Domicilio digitale degli amministratori: Unioncamere chiarisce, nessuna scadenza fissata dalla legge

Secondo quanto affermato da diverse Camere di commercio italiane, tra cui quelle di Milano, Torino, Bergamo, Lecce e Padova, non è previsto alcun termine sanzionabile entro il 30 giugno 2025 per il deposito del domicilio digitale (PEC) da parte degli amministratori delle società iscritte al 1° gennaio 2025. Le Camere di commercio hanno reso nota questa posizione per chiarire le interpretazioni diffuse da organi di stampa e alcune campagne pubblicitarie che indicavano tale data come una scadenza ufficiale.

L’obbligo di comunicazione della PEC degli amministratori è stato introdotto con la Legge di Bilancio 2025 (legge n. 207/2024), articolo 1, comma 860. Tuttavia, nella formulazione della norma non viene indicato alcun termine specifico entro cui adempiere all’obbligo. Inoltre, nessuna sanzione viene espressamente prevista dalla legge nel caso di mancata comunicazione della PEC entro una certa data.

Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha fornito una prima lettura della disposizione, che lasciava intendere la presenza di un termine, ma tale indicazione non ha fondamento normativo. A questa prima lettura ha fatto seguito una nota ufficiale di Unioncamere del 2 aprile 2025, in cui si richiede un chiarimento da parte del Ministero stesso. La risposta del Ministero è ancora attesa.

Secondo quanto riferito, le Camere di commercio hanno assunto una posizione comune secondo cui non sussistono né il termine del 30 giugno né l’applicabilità di sanzioni, basandosi sulla formulazione letterale della norma e sulla normativa vigente in materia di sanzioni amministrative.

L’articolo 2630 del Codice civile prevede infatti che le sanzioni amministrative siano applicabili solo quando un soggetto, obbligato per legge, omette un adempimento nei termini prescritti. In assenza di un termine definito per legge, la sanzione non può essere applicata. Inoltre, l’articolo 1 della legge 689/1981 stabilisce che «nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge» che definisca in modo esplicito tempi e modalità della violazione.

Le Camere di commercio sottolineano anche che, ai fini delle notifiche da parte della Pubblica amministrazione o di soggetti privati, l’unico indirizzo PEC valido resta quello della società pubblicato nel Registro delle imprese, come previsto dal 2008. Le PEC degli amministratori, che potranno essere inserite dal 1° gennaio 2025, non sono rilevanti per tali notifiche ufficiali.

La disposizione della Legge di Bilancio introduce dunque un obbligo formale, ma senza l’indicazione di una scadenza né la previsione di una sanzione, come previsto dai criteri normativi per la validità delle sanzioni amministrative. In questo contesto, Unioncamere ha richiesto un chiarimento definitivo da parte degli uffici del Ministero competente, in merito alla corretta applicazione della norma.

Aggiornamento del 25 giugno 2025 – Differimento del termine per il domicilio digitale

Con avviso del 25 giugno 2025, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha disposto il differimento al 31 dicembre 2025 del termine per la comunicazione del domicilio digitale da parte degli amministratori di imprese costituite in forma societaria e già iscritte alla data del 1° gennaio 2025. Il provvedimento integra le indicazioni fornite con la precedente comunicazione del 12 marzo, garantendo un’applicazione uniforme delle disposizioni previste dall’art. 1, comma 860, della legge n. 207/2024.

Per ulteriori chiarimenti il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

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