L’Agenzia delle Entrate ha recentemente pubblicato un aggiornamento delle specifiche tecniche per la fatturazione elettronica, introducendo significative novità normative. A partire dal 1° aprile 2025, entrerà in vigore la nuova versione del sistema, che prevede l’adozione del codice “TD29” per la comunicazione delle fatture omesse o irregolari. Questa misura si inserisce in un contesto più ampio di riforme che mirano a rendere il processo di fatturazione più trasparente ed efficiente, riducendo il rischio di evasione fiscale e semplificando le procedure per i contribuenti. Fino ad oggi, la mancata emissione di una fattura doveva essere comunicata attraverso strumenti meno strutturati, lasciando margini di incertezza interpretativa.

Con l’introduzione del codice TD29, il processo di regolarizzazione sarà standardizzato, eliminando eventuali ambiguità e facilitando il rispetto degli obblighi fiscali da parte delle aziende. Questo aggiornamento si allinea alle recenti modifiche normative apportate dal D.Lgs. n. 87/2024, che disciplina le sanzioni relative alle violazioni fiscali. La nuova disciplina prevede che il cessionario o committente debba comunicare l’omissione entro 90 giorni dalla scadenza dell’emissione della fattura, pena l’applicazione di sanzioni pecuniarie più severe. Il codice TD29 rappresenta quindi un importante strumento per assicurare la corretta gestione delle fatture elettroniche, fornendo un canale ufficiale per la regolarizzazione delle omissioni.

Il codice TD29 è stato introdotto con l’obiettivo di regolamentare in maniera chiara la gestione delle fatture non emesse o irregolari. A differenza dei codici precedentemente utilizzati, il TD29 sarà specificamente destinato alla comunicazione di omissioni, consentendo un controllo più efficace da parte dell’Agenzia delle Entrate. Il suo utilizzo obbligatorio dal 1° aprile 2025 impone alle aziende una revisione delle procedure interne per garantire la tempestiva segnalazione di eventuali irregolarità. La principale differenza rispetto al codice TD20 risiede nella funzione principale: mentre il TD20 era destinato anche ad altre finalità, il TD29 si concentra esclusivamente sulla comunicazione dell’omessa fatturazione. Questo consente di uniformare le procedure e ridurre la probabilità di errori nella gestione dei documenti fiscali. La normativa stabilisce che il cessionario o committente debba predisporre un file XML contenente il codice TD29 e trasmetterlo tramite il Sistema di Interscambio (SdI). Il file deve includere i dati identificativi del cedente o prestatore per garantire la corretta attribuzione dell’irregolarità. L’adozione di questo sistema consente di eliminare l’obbligo di versare l’imposta da parte del cessionario, come precedentemente previsto, e semplifica il processo di regolarizzazione. L’introduzione del codice TD29 risponde quindi alla necessità di migliorare la gestione delle fatture elettroniche e rafforzare il controllo sulle operazioni commerciali, garantendo maggiore chiarezza e tracciabilità.

Per regolarizzare un’omessa fattura tramite il nuovo codice TD29, il cessionario o committente dovrà seguire una procedura ben definita. Innanzitutto, entro 90 giorni dalla scadenza dell’emissione della fattura, dovrà predisporre un file XML conforme alle specifiche tecniche pubblicate dall’Agenzia delle Entrate. Questo file dovrà contenere le informazioni essenziali, inclusi i dati identificativi del cedente o prestatore. La trasmissione avverrà attraverso il Sistema di Interscambio (SdI), che fungerà da canale ufficiale per la comunicazione dell’irregolarità. Un elemento fondamentale da considerare è che il file XML non potrà contenere dati che coincidano con quelli del cessionario, altrimenti verrà scartato dal sistema.

Nonostante l’introduzione del codice TD29, il codice TD20 non verrà completamente dismesso. Esso resterà utilizzabile per particolari casistiche, come le operazioni soggette a inversione contabile e alcuni acquisti intracomunitari. Il TD20 continuerà ad essere valido nei casi previsti dall’art. 46 comma 5 del DL 331/93, per la regolarizzazione di fatture non ricevute entro il termine di due mesi dall’operazione. Inoltre, sarà applicabile nei casi in cui il documento ricevuto riporti un importo inferiore a quello reale. Questa distinzione tra TD20 e TD29 consente di mantenere separate le diverse tipologie di regolarizzazione, garantendo maggiore precisione nei processi di fatturazione.

Fino al 1° aprile 2025, non vi sono indicazioni ufficiali su come comportarsi per regolarizzare un’omessa fattura. Potrebbe essere possibile continuare a utilizzare il codice TD20, ma solo per finalità di comunicazione e non di versamento dell’imposta. Tuttavia, senza una conferma esplicita da parte dell’Agenzia delle Entrate, il rischio di errori interpretativi rimane elevato.

La mancata comunicazione dell’omessa fattura entro i termini previsti comporta una sanzione pari al 70% dell’imposta, con un minimo di 250 euro. Con la nuova regolamentazione, la responsabilità del cessionario si limita alla segnalazione dell’irregolarità, senza dover versare l’imposta.

Per maggiori chiarimenti e per assistenza personalizzata il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

FAQ

Quando entrerà in vigore il codice TD29? Dal 1° aprile 2025.

Qual è la differenza tra il codice TD29 e TD20? Il TD29 è specifico per l’omissione della fattura, mentre il TD20 resta utilizzabile per altre irregolarità.

Cosa succede se non si comunica l’omessa fattura? Si applica una sanzione del 70% dell’imposta.

Quali dati devono essere inseriti nel file XML? Informazioni sul cedente o prestatore e dettagli dell’operazione.

Il codice TD20 verrà eliminato? No, continuerà ad essere valido per determinate operazioni.

Congedo parentale e agevolazioni per la genitorialità

SPECIALE LEGGE DI BILANCIO 2025

 

Negli ultimi anni, il legislatore ha introdotto diverse misure a sostegno della genitorialità, con particolare attenzione al congedo parentale e agli incentivi per le lavoratrici madri. L’evoluzione normativa ha risposto alla necessità di garantire un migliore equilibrio tra vita lavorativa e familiare, favorendo la partecipazione attiva dei genitori alla crescita dei figli. La più recente manovra finanziaria, in vigore dal 2025, prevede un ulteriore ampliamento, portando a tre i mesi di congedo indennizzati all’80%.

Parallelamente, il Governo ha introdotto misure fiscali per le lavoratrici madri, includendo un esonero contributivo destinato alle donne con almeno due figli. La finalità di queste politiche è duplice: incentivare la natalità e promuovere una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro. Tuttavia, le agevolazioni presentano specifici requisiti e condizioni di accesso, che ne determinano l’applicabilità a diverse categorie di lavoratori. L’adozione di queste misure si inserisce in un quadro più ampio di riforme volte a garantire un sistema di welfare più inclusivo e sostenibile.

Le riforme introdotte  vogliono incentivare la fruizione del congedo anche da parte dei padri, contrastando il fenomeno del carico di cura sbilanciato sulle madri. Inoltre, l’adeguamento delle misure italiane alle direttive europee ha portato a una maggiore tutela dei lavoratori genitori, garantendo strumenti più flessibili per la conciliazione tra vita privata e professionale.

Il congedo parentale non deve essere confuso con il congedo di maternità o di paternità obbligatorio, ma si configura come un diritto aggiuntivo volto a prolungare il periodo di assistenza al minore nei primi anni di vita.

Il sistema normativo italiano distingue tra diverse forme di congedo riconosciute ai genitori lavoratori, ciascuna con finalità e modalità di fruizione specifiche. Il congedo di maternità è obbligatorio e spetta alle lavoratrici nei cinque mesi a cavallo del parto, con un’indennità pari all’80% della retribuzione, che in alcuni casi può essere integrata dal datore di lavoro fino al 100%. L’obiettivo è garantire alla madre un adeguato periodo di riposo prima e dopo la nascita del bambino, tutelando al contempo la salute della lavoratrice e del neonato.

Il congedo di paternità obbligatorio, introdotto per promuovere un maggiore coinvolgimento dei padri nella cura dei figli, prevede 10 giorni di astensione dal lavoro retribuiti al 100%, da usufruire entro i primi cinque mesi di vita del bambino. Esiste inoltre un congedo di paternità alternativo, applicabile nei casi in cui la madre sia impossibilitata a prendersi cura del neonato, ad esempio per gravi motivi di salute.

Il congedo parentale, invece, è una misura più flessibile, fruibile da entrambi i genitori fino al compimento del dodicesimo anno di età del bambino. Può essere richiesto per un massimo di sei mesi per ciascun genitore, fino a un totale complessivo di dieci mesi. Con la recente riforma, una parte di questo congedo viene retribuita all’80% nei primi tre mesi, mentre la restante quota resta indennizzata al 30%, garantendo così un maggiore equilibrio tra esigenze familiari e impegni professionali.

 

 

Con l’entrata in vigore delle nuove disposizioni, l’indennità INPS per il congedo parentale ha subito un rilevante incremento, passando dal 30% all’80% della retribuzione per un periodo di tre mesi. Questa modifica è stata introdotta con l’obiettivo di fornire un maggiore sostegno economico ai genitori nei primi anni di vita del bambino, facilitando così la conciliazione tra lavoro e famiglia.

Questa misura è riservata ai lavoratori dipendenti, sia del settore pubblico che privato, e non è trasferibile tra i genitori: ciascuno ha diritto al proprio periodo di congedo con l’indennità maggiorata, senza possibilità di cessione. Per i mesi successivi ai primi tre, l’indennità resta fissata al 30%, secondo la disciplina vigente. L’INPS sarà l’ente incaricato di gestire l’applicazione della norma, fornendo chiarimenti operativi sulle modalità di richiesta e sui requisiti specifici da soddisfare per accedere al beneficio.

Esonero contributivo per le madri lavoratrici

Parallelamente alle misure di sostegno al congedo parentale, il Governo ha introdotto un esonero contributivo rivolto alle lavoratrici madri, con l’obiettivo di incentivare la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Questa misura si applica alle donne con almeno due figli e prevede una riduzione dei contributi previdenziali a loro carico.

L’agevolazione è stata estesa non solo alle lavoratrici dipendenti ma anche alle lavoratrici autonome che percepiscono redditi derivanti da lavoro autonomo, impresa in contabilità ordinaria o semplificata, o partecipazioni societarie, purché non abbiano aderito al regime forfettario. L’obiettivo principale è quello di ridurre il costo del lavoro per le donne con figli, favorendo così la loro permanenza e crescita professionale.

L’esonero è riconosciuto fino al mese in cui il figlio più piccolo compie 10 anni, mentre dal 2027 sarà riservato esclusivamente alle madri con almeno tre figli e potrà essere fruito fino al compimento del 18° anno di età del più giovane. Tuttavia, la misura non si applica alle lavoratrici che già beneficiano di altri sgravi contributivi previsti dalla Legge di Bilancio 2024 per gli anni 2025 e 2026.

FAQ
Chi può beneficiare del congedo parentale indennizzato all’80%?

L’indennità all’80% per il congedo parentale è riconosciuta ai lavoratori dipendenti, sia del settore pubblico che privato, che terminano il congedo di maternità o paternità obbligatorio dopo il 31 dicembre 2024. Ogni genitore può usufruire individualmente di tre mesi indennizzati all’80%, senza possibilità di cessione all’altro. Il beneficio è applicabile fino al sesto anno di vita del bambino, mentre il restante periodo di congedo parentale continua a essere indennizzato al 30%.

Quali sono le differenze tra congedo di maternità, paternità e parentale?

Il congedo di maternità è obbligatorio e garantisce cinque mesi di astensione dal lavoro per le madri prima e dopo il parto, con un’indennità pari all’80% della retribuzione. Il congedo di paternità obbligatorio dura invece 10 giorni, retribuiti al 100%, ed è fruibile nei primi cinque mesi di vita del bambino. Il congedo parentale è una misura più flessibile, disponibile per entrambi i genitori fino al dodicesimo anno di età del figlio, con una durata massima di sei mesi per ciascun genitore e un’indennità variabile in base alla normativa vigente.

Quali lavoratrici possono usufruire dell’esonero contributivo?

L’agevolazione contributiva è riservata alle lavoratrici madri con almeno due figli. Il beneficio si applica alle lavoratrici dipendenti e, con la nuova normativa, anche alle autonome che percepiscono redditi da lavoro autonomo, d’impresa in contabilità ordinaria o semplificata, o da partecipazioni societarie, purché non abbiano optato per il regime forfettario.

Esistono limiti di reddito per accedere alle agevolazioni?

Sì, la normativa prevede un tetto massimo di reddito pari a 40.000 euro annui per poter beneficiare dell’esonero contributivo. Questo limite si applica sia alle lavoratrici dipendenti che a quelle autonome e sarà oggetto di verifiche da parte dell’INPS e dell’Agenzia delle Entrate per accertarne il rispetto.

Cosa succede se il decreto attuativo del Ministero del Lavoro tarda a essere emanato?

In caso di ritardi nell’emanazione del decreto attuativo, l’applicazione dell’esonero contributivo potrebbe subire uno slittamento, impedendo alle lavoratrici di beneficiare immediatamente della misura. In passato, ritardi simili hanno comportato l’erogazione degli incentivi in via retroattiva, ma l’incertezza potrebbe generare difficoltà operative sia per le aziende che per le lavoratrici. Sarà quindi fondamentale monitorare gli aggiornamenti ufficiali per comprendere i tempi e le modalità di accesso al beneficio.

Per maggiori chiarimenti e per assistenza personalizzata il nostro team è a vostra disposizione.

Il regime forfetario è un regime fiscale agevolato riservato alle persone fisiche che esercitano attività d’impresa, arti o professioni. Per accedervi, è necessario rispettare determinati requisiti, tra cui limiti di reddito e condizioni specifiche relative alla struttura dell’attività. Inoltre, alcune fattispecie impediscono l’accesso o la permanenza nel regime. L’aggiornamento normativo al 2025 introduce nuove soglie e chiarimenti per alcune cause ostative.

L’accesso al regime forfetario è consentito alle persone fisiche che esercitano attività d’impresa, arti o professioni e che rispettano i limiti previsti dalla normativa vigente.

Limite di ricavi e compensi

Per poter applicare il regime forfetario nel 2025, è necessario che nell’anno precedente siano stati rispettati i seguenti limiti:

Criterio Limite previsto
Ricavi o compensi percepiti Non superiori a 85.000 euro (ragguagliati ad anno)
Spese per lavoro dipendente e collaborazioni Non superiori a 20.000 euro (senza ragguaglio ad anno)

Il calcolo dei ricavi e compensi deve avvenire in base al regime contabile adottato nell’anno precedente, generalmente secondo il principio di cassa o, in alcuni casi, secondo il criterio della competenza di registrazione.

Alcuni aspetti specifici devono essere considerati per determinare correttamente il rispetto del limite di accesso:

  • In caso di più attività, si deve considerare la somma dei ricavi e compensi delle diverse attività svolte.
  • Sono rilevanti i proventi derivanti dall’autoconsumo.
  • Per le attività avviate nel corso dell’anno, i ricavi devono essere ragguagliati all’anno solare.
  • Non rilevano i ricavi derivanti dall’adeguamento agli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA).

Il requisito relativo al costo dei beni strumentali è stato eliminato a partire dal 2019, in quanto considerato non coerente con il nuovo limite di ricavi e compensi.

L’accesso al regime forfetario è precluso a coloro che rientrano in determinate categorie o che esercitano particolari attività.

Soggetti esclusi dal regime forfetario

Sono esclusi dal regime i contribuenti che:

  • Si avvalgono di regimi speciali IVA, tra cui agricoltura, pesca, editoria, gestione di servizi di telefonia pubblica, commercio di fiammiferi, rivendita di documenti di trasporto pubblico e di sosta, intrattenimenti e giochi, agenzie di viaggi e turismo.
  • Non sono residenti in Italia, salvo il caso in cui siano residenti in uno Stato dell’Unione Europea o in un Paese aderente allo Spazio Economico Europeo e producano almeno il 75% del loro reddito in Italia.
  • Effettuano in via prevalente cessioni di immobili o di mezzi di trasporto nuovi.
  • Sono soci di società di persone, collaboratori in imprese familiari o associati in associazioni professionali.
  • Detengono il controllo, diretto o indiretto, di una società a responsabilità limitata che svolge un’attività riconducibile a quella del soggetto forfetario.

Un’importante causa ostativa riguarda coloro che esercitano un’attività in regime forfetario prevalentemente nei confronti del proprio ex datore di lavoro o di un soggetto per cui abbiano lavorato nei due anni precedenti. Questa disposizione non si applica ai professionisti iscritti ad albi o registri che siano dipendenti con contratto part-time presso datori di lavoro con almeno 250 dipendenti.

Limite di reddito da lavoro dipendente

Dal 2025, è prevista una soglia più elevata per il reddito da lavoro dipendente o assimilato che impedisce l’accesso al regime forfetario. Il limite è così definito:

Anno di riferimento Limite di reddito per accesso al regime
2024 35.000 euro
Anni precedenti 30.000 euro

Tuttavia, il superamento di questa soglia non è rilevante se il rapporto di lavoro dipendente è cessato nell’anno precedente a quello di applicazione del regime forfetario.

Partecipazione in società e regime forfetario

Partecipazione in società di persone

Il possesso di partecipazioni in società di persone costituisce una causa ostativa all’applicazione del regime forfetario. Tuttavia, se la partecipazione è acquisita per successione e viene ceduta entro la fine dell’anno, il soggetto può mantenere il regime agevolato.

Partecipazione in SRL (società a responsabilità limitata)

La normativa prevede condizioni più articolate per chi possiede partecipazioni in SRL. Il regime forfetario non è applicabile quando sussistono entrambe le seguenti condizioni:

 

  1. Controllo della società:
    • Il soggetto possiede direttamente o indirettamente più del 50% della società.
    • Il controllo può essere esercitato anche con una partecipazione pari al 50% o tramite il coniuge e i familiari fino al terzo grado.
  2. Riconducibilità delle attività:
    • Il regime forfetario è precluso se la SRL e il contribuente svolgono attività economiche appartenenti alla stessa sezione della tabella ATECO 2007.
    • Se le attività rientrano in sezioni differenti della tabella ATECO, il soggetto può accedere al regime forfetario.

La verifica del rispetto di queste condizioni avviene al termine dell’anno di riferimento, poiché solo in quel momento è possibile accertare l’effettivo svolgimento delle attività economiche.

FAQ

Chi può accedere al regime forfetario nel 2025?
Possono accedere le persone fisiche che esercitano attività d’impresa, arti o professioni e che rispettano i limiti di ricavi e compensi, non superando gli 85.000 euro nell’anno precedente.

Quali sono le principali cause di esclusione?
Sono esclusi i soggetti che applicano regimi speciali IVA, i non residenti (salvo eccezioni), chi effettua cessioni prevalenti di immobili o mezzi di trasporto nuovi, i soci di società di persone e chi ha un’attività riconducibile a una SRL controllata.

Se percepisco redditi da lavoro dipendente, posso aderire al regime forfetario?
Sì, a condizione che nell’anno precedente tali redditi non abbiano superato i 35.000 euro per il 2024. Se il rapporto di lavoro è cessato, il limite non si applica.

Posso accedere al regime se lavoro per il mio ex datore di lavoro?
No, se l’attività è svolta prevalentemente nei confronti dell’ex datore di lavoro o di un soggetto per cui si è lavorato nei due anni precedenti.

Il possesso di una partecipazione in SRL è un ostacolo?
Sì, se si detiene il controllo della società e le attività sono riconducibili alla stessa sezione ATECO. In caso contrario, il regime forfetario è applicabile.

Per chiarimenti e assistenza personalizzata il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

Con la nota n. 579 del 22 gennaio 2025, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha fornito indicazioni operative in merito alla procedura di dimissioni per fatti concludenti, disciplinate dall’articolo 26, comma 7-bis, del D.Lgs. n. 151/2015, introdotto dall’articolo 19 della Legge n. 203/2024 (cd. Collegato Lavoro). Tale nota fornisce un quadro operativo e un modello standard di comunicazione, rivolgendosi principalmente a datori di lavoro e consulenti del lavoro, al fine di uniformare la gestione di tali situazioni.

L’articolo 26, comma 7-bis, del D.Lgs. n. 151/2015, come introdotto dalla Legge n. 203/2024, disciplina le dimissioni per fatti concludenti. Questa normativa interviene nei casi di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre un determinato periodo.

La procedura di dimissioni per fatti concludenti si applica in presenza di assenza ingiustificata del lavoratore che superi i termini previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) applicato al rapporto. In assenza di specifica previsione contrattuale, il termine di riferimento è fissato a 15 giorni. Il superamento di tale limite temporale costituisce il presupposto per l’avvio della procedura da parte del datore di lavoro.

Procedura Prevista

La procedura delineata dalla normativa e specificata dalla nota INL n. 579/2025 prevede i seguenti passaggi:

  1. Comunicazione all’INL: Il datore di lavoro è tenuto a comunicare l’assenza ingiustificata alla sede territoriale competente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (ITL). La comunicazione deve essere trasmessa preferibilmente tramite Posta Elettronica Certificata (PEC).
  2. Contenuto della Comunicazione: La comunicazione all’INL deve contenere le seguenti informazioni:
    • Dati anagrafici del lavoratore (nome, cognome, data e luogo di nascita, codice fiscale).
    • Recapiti del lavoratore (indirizzo di residenza, numero di telefono, indirizzo email, se disponibili).
    • Data di inizio dell’assenza ingiustificata.
    • Eventuale riferimento al CCNL applicato e alle relative disposizioni in materia di assenza.
    • Ogni altra informazione ritenuta utile alla valutazione del caso.
  3. Verifica da parte dell’INL: L’Ispettorato, una volta ricevuta la comunicazione, ha la facoltà di avviare accertamenti entro 30 giorni dalla ricezione della segnalazione. Tali accertamenti sono finalizzati a verificare l’effettiva sussistenza dell’assenza e l’eventuale presenza di giustificazioni da parte del lavoratore. Le verifiche possono consistere in:
    • Contatto diretto con il lavoratore per acquisire informazioni sulle motivazioni dell’assenza.
    • Intervista ad altro personale impiegato presso la stessa azienda.
    • Acquisizione di documentazione o informazioni da altri soggetti che possano fornire elementi utili all’accertamento.
  4. Esito della Verifica e Risoluzione del Rapporto:
    • Assenza Ingiustificata: Qualora l’INL accerti l’assenza ingiustificata e il lavoratore non fornisca alcuna giustificazione o non dimostri l’impossibilità di comunicare le ragioni dell’assenza, il rapporto di lavoro si considera risolto per volontà del lavoratore. In questa circostanza, non sono necessarie ulteriori formalità o comunicazioni da parte del datore di lavoro.
    • Giustificazione dell’Assenza: Se, al contrario, il lavoratore fornisce adeguate giustificazioni all’INL, ad esempio presentando certificazione medica per ricovero ospedaliero o documentazione relativa a fatti imputabili al datore di lavoro, la procedura di dimissioni per fatti concludenti non avrà effetto. In tali casi, l’INL può disporre la ricostituzione del rapporto di lavoro, ripristinando la situazione antecedente all’assenza.

Ruolo dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL)

La procedura introdotta dalla Legge n. 203/2024 e specificata dalla nota INL n. 579/2025 attribuisce un ruolo centrale all’ITL. Il datore di lavoro non può autonomamente dichiarare la risoluzione del rapporto di lavoro a seguito di assenza ingiustificata, ma è tenuto a comunicare preventivamente la situazione all’ITL. Tale obbligo di comunicazione preventiva introduce un elemento di garanzia e trasparenza, volto a tutelare entrambe le parti coinvolte.

L’ITL svolge una funzione di verifica e controllo, accertando la reale natura dell’assenza segnalata dal datore di lavoro. Questa attività di controllo previene possibili abusi o licenziamenti arbitrari, assicurando che la procedura si svolga nel rispetto della normativa vigente. L’intervento dell’ITL si configura quindi come una garanzia di equilibrio e correttezza nel processo.

La nota n. 579/2025 introduce un modello standard di comunicazione che i datori di lavoro possono utilizzare per notificare le assenze ingiustificate all’ITL. L’adozione di un modello standardizzato ha l’obiettivo di uniformare le comunicazioni a livello nazionale, semplificando l’adempimento per i datori di lavoro e facilitando l’attività di controllo da parte dell’Ispettorato. Il modello standardizzato dovrebbe contenere i campi informativi precedentemente elencati relativi al lavoratore e all’assenza.

La nuova procedura per le dimissioni per fatti concludenti, con l’intervento dell’INL, mira a fornire un quadro normativo più chiaro e a tutelare i diritti di entrambe le parti del rapporto di lavoro. Per i datori di lavoro, è fondamentale seguire scrupolosamente la procedura descritta, prestando particolare attenzione alla comunicazione all’ITL e alla corretta compilazione del modello standard. La mancata osservanza della procedura potrebbe inficiare la validità della risoluzione del rapporto di lavoro.

Per i lavoratori, la procedura offre una garanzia di tutela contro possibili abusi, assicurando che la risoluzione del rapporto avvenga solo in presenza di effettiva assenza ingiustificata e dopo le opportune verifiche da parte dell’ITL.

La nota n. 579/2025 dell’INL fornisce importanti chiarimenti operativi in merito alla procedura di dimissioni per fatti concludenti, delineando un percorso preciso che coinvolge attivamente l’Ispettorato Territoriale del Lavoro. L’introduzione di un modello standard di comunicazione rappresenta un ulteriore passo verso la semplificazione e l’uniformità nella gestione di queste situazioni. L’osservanza delle indicazioni fornite dalla nota è fondamentale per garantire la correttezza e la validità della procedura, tutelando i diritti di entrambe le parti del rapporto di lavoro.
Per maggiori chiarimenti o per assistenza personalizzata il nostro studio è a vostra disposizione.

Il sistema di tassazione dei veicoli concessi in uso promiscuo ha subito una revisione con l’intento di promuovere l’acquisto di auto elettriche e plug-in. Fino al 2024, il valore dei veicoli immatricolati e concessi a partire dal 1° luglio 2020 era determinato in base alle emissioni di CO2.

La Legge di Bilancio introduce un cambiamento significativo, passando da un sistema basato sulle emissioni di CO2 a uno fondato sulla tipologia di alimentazione. Questa nuova modalità si applica esclusivamente ai veicoli assegnati a partire dal 2025.

Nonostante l’introduzione del nuovo sistema, rimane invariato il riferimento alle tabelle ACI, le quali determinano il valore in base a una percorrenza convenzionale di 15.000 km. A tale valore, tuttavia, si applicano percentuali differenti a seconda della tipologia di alimentazione del veicolo:

  • 10% per i veicoli a trazione esclusivamente elettrica;
  • 20% per i veicoli ibridi plug-in;
  • 50% per i veicoli con alimentazione tradizionale termica o ibrida non plug-in.

È importante sottolineare che il nuovo sistema di calcolo si applica unicamente ai contratti stipulati a partire dal 1° gennaio 2025. Di conseguenza, è presumibile che per i veicoli concessi entro il 31 dicembre 2024 continuerà a essere applicato il regime precedente.

Fino al 2024, il valore in fringe benefit dell’auto aziendale concessa in uso promiscuo era calcolato in base alle emissioni di anidride carbonica (CO2) del veicolo. Questo sistema, introdotto con la Legge di Bilancio 2020, prevedeva diverse percentuali di tassazione, applicate al costo chilometrico stabilito dalle tabelle ACI, moltiplicato per una percorrenza convenzionale di 15.000 km annui. Le percentuali variavano in base alle seguenti fasce di emissioni di CO2:

  • 25% per i veicoli con emissioni di CO2 inferiori a 60 g/km;
  • 30% per i veicoli con emissioni di CO2 comprese tra 60 e 160 g/km;
  • 50% per i veicoli con emissioni di CO2 superiori a 160 g/km;
  • 60% per i veicoli con emissioni di CO2 superiori a 190 g/km (percentuale introdotta successivamente).

Questo sistema mirava a incentivare l’utilizzo di veicoli a basse emissioni, offrendo una tassazione inferiore per le auto meno inquinanti.

A partire dal 1° gennaio 2025, come anticipato, il criterio di calcolo del fringe benefit legato all’uso promiscuo dell’auto aziendale è cambiato radicalmente. Il focus si sposta dalle emissioni di CO2 alla tipologia di alimentazione del veicolo. Il valore di riferimento rimane quello determinato dalle tabelle ACI, basato su una percorrenza convenzionale di 15.000 km annui, ma le percentuali applicate a tale valore sono le seguenti:

  • 10% per i veicoli a trazione esclusivamente elettrica: questa percentuale ridotta mira a promuovere l’adozione di veicoli elettrici, considerati a zero emissioni dirette.
  • 20% per i veicoli ibridi plug-in: questa categoria comprende i veicoli dotati di motore termico e motore elettrico, con la possibilità di ricaricare la batteria da una fonte esterna. La percentuale del 20% rappresenta un incentivo all’utilizzo di questa tecnologia, considerata una fase di transizione verso la mobilità completamente elettrica.
  • 50% per i veicoli ad alimentazione tradizionale termica o ibrida non plug-in: questa categoria include i veicoli con motore a combustione interna (benzina, diesel, GPL, metano) e i veicoli ibridi che non possono essere ricaricati tramite una fonte esterna. La percentuale del 50% rappresenta la tassazione standard per i veicoli con tecnologie meno recenti.

Riepilogo delle Differenze Tra i Due Regimi

Per maggiore chiarezza, si riporta una tabella riassuntiva delle principali differenze tra il regime di calcolo del fringe benefit in vigore fino al 2024 e quello entrato in vigore dal 2025:

Caratteristica Fino al 2024 Dal 2025
Criterio di calcolo Emissioni di CO2 Tipologia di alimentazione
Percentuali di tassazione 25%, 30%, 50%, 60% (in base alle emissioni) 10% (elettrici), 20% (ibridi plug-in), 50% (altri)
Riferimento base Tabelle ACI (15.000 km) Tabelle ACI (15.000 km)
Applicazione temporale Veicoli immatricolati e concessi dal 1° luglio 2020 Contratti stipulati dal 1° gennaio 2025

 

Le modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio rappresentano un passo verso la promozione di una mobilità più sostenibile ed il passaggio a un sistema basato sulla tipologia di alimentazione; con le percentuali di tassazione ridotte per i veicoli elettrici e ibridi plug-in si mira a incentivare le aziende ad adottare tecnologie più rispettose dell’ambiente.

Per meglio comprendere queste nuove dinamiche o per chiarimenti il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

 

Con l’art. 18 del Collegato lavoro (legge n. 203/2024, entrata in vigore il 12 gennaio), si apre una nuova opportunità per i giovani che desiderano approfondire la loro formazione e ottenere qualificazioni professionali.

Cosa prevede l’art. 18 del Collegato lavoro

La legge n. 203/2024 rappresenta un passo importante per l’evoluzione della regolamentazione sul lavoro. Entrata in vigore il 12 gennaio 2024, questa normativa permette a un giovane di intraprendere un secondo percorso di apprendistato dopo aver completato il primo. Tale disposizione risponde alla necessità di offrire una maggiore flessibilità formativa e contrattuale, allineandosi alle esigenze di un mercato del lavoro in costante evoluzione.

Il secondo apprendistato è un’opportunità pensata per coloro che hanno già completato un apprendistato di primo livello. Dopo aver conseguito una qualifica o un diploma professionale, i giovani possono accedere a una nuova tipologia di contratto, che permette loro di acquisire ulteriori competenze tecniche e professionali.

La normativa distingue tre principali tipologie di apprendistato, ognuna delle quali risponde a specifiche esigenze formative e professionali.

Apprendistato di primo livello

L’apprendistato di primo livello è finalizzato al conseguimento di qualifiche professionali. Si rivolge principalmente a giovani che vogliono combinare formazione e lavoro per ottenere diplomi di istruzione secondaria superiore o certificati di specializzazione tecnica superiore.

Apprendistato professionalizzante

Questa seconda tipologia è pensata per chi desidera ottenere una qualificazione professionale ai fini contrattuali. Il contratto può essere attivato solo dopo un aggiornamento del piano formativo individuale, per assicurare una formazione mirata alle esigenze aziendali e personali del lavoratore.

Apprendistato di alta formazione e ricerca

L’apprendistato di alta formazione e ricerca, regolamentato dalle regioni e province autonome, è destinato a chi vuole intraprendere percorsi altamente specializzati. Questa forma contrattuale si basa su requisiti specifici, legati ai titoli di studio necessari per accedere ai percorsi formativi.

La possibilità di accedere a un secondo apprendistato è riservata a giovani che soddisfano precisi requisiti anagrafici e formativi. Devono aver completato il primo percorso formativo e conseguito un titolo come qualifica professionale, diploma d’istruzione secondaria superiore o certificato di specializzazione tecnica superiore.

La normativa stabilisce che la durata complessiva dei due apprendistati non può superare il limite massimo fissato dalla contrattazione collettiva. Questo garantisce un equilibrio tra le esigenze di formazione e quelle del mercato del lavoro, evitando periodi eccessivamente lunghi che potrebbero ostacolare la stabilità contrattuale.

Per passare dal primo al secondo apprendistato è fondamentale aggiornare il piano formativo individuale. Questo documento definisce gli obiettivi e le modalità di formazione del lavoratore, assicurando una transizione efficace tra i due contratti.

Vantaggi del secondo apprendistato per i giovani lavoratori

Il secondo apprendistato offre numerosi vantaggi per i giovani, tra cui:

  • La possibilità di acquisire competenze specifiche richieste dal mercato del lavoro.
  • Un’integrazione immediata nel mondo del lavoro attraverso contratti mirati.
  • Un riconoscimento formale delle qualificazioni ottenute, utile per la crescita professionale.

Benefici per le imprese che assumono apprendisti

Anche le imprese traggono vantaggio dall’introduzione del secondo apprendistato. In particolare:

  • Possono beneficiare di incentivi economici e contributivi.
  • Hanno l’opportunità di formare lavoratori in base alle proprie esigenze specifiche, migliorando così la competitività aziendale.

Apprendistato di Primo Tipo

Tipologia di Azienda Datori di Lavoro Lavoratori
Aziende fino a 9 dipendenti – Primo anno di apprendistato: 1,5% + Cig (2/3) 5,84% + Cig (1/3)
– Secondo anno: 3% + Cig (2/3)
– Dal terzo anno: 5% + Cig (2/3)
Aziende oltre i 9 dipendenti – Qualunque anno: 11,61% + Cig (2/3) 5,84% + Cig (1/3)

 

Apprendistato di Secondo e Terzo Tipo

Tipologia di Azienda Datori di Lavoro Lavoratori
Aziende fino a 9 dipendenti – Primo anno di apprendistato: 3,11% + Cig (2/3) 5,84% + Cig (1/3)
– Secondo anno: 4,61% + Cig (2/3)
– Dal terzo anno: 11,61% + Cig (2/3)
Aziende oltre i 9 dipendenti – Qualunque anno: 11,61% + Cig (2/3) 5,84% + Cig (1/3)

 

A partire dal 1° gennaio 2022, è previsto il versamento del contributo per finanziare i trattamenti di cassa integrazione salariale, calcolato in base al settore di attività e alla dimensione aziendale del datore di lavoro. Di tale contributo, il 2/3 è a carico del datore di lavoro, mentre il restante 1/3 è a carico dell’apprendista.

I benefici legati alla contribuzione sono riconosciuti per un anno nel caso in cui il rapporto di lavoro venga mantenuto al termine del periodo di apprendistato. Tali agevolazioni non prevedono limiti d’età, a condizione che il datore di lavoro assegni all’apprendista mansioni mirate a una qualificazione o riqualificazione professionale. Gli stessi benefici possono essere applicati anche nei casi di mobilità o disoccupazione connessa a trattamenti di integrazione salariale.

Le regioni e le province autonome svolgono un ruolo importante nella gestione dell’apprendistato di alta formazione e ricerca. Sono responsabili della definizione della durata e delle finalità dei percorsi, oltre a stabilire i requisiti d’accesso. Questa autonomia garantisce che i percorsi formativi siano adattati alle specificità del territorio.

La contrattazione collettiva gioca un ruolo fondamentale nel definire le modalità di applicazione del secondo apprendistato. Essa stabilisce i limiti di durata, i livelli retributivi e le specificità dei percorsi formativi, garantendo un equilibrio tra le esigenze delle imprese e quelle dei lavoratori.

Il secondo apprendistato rappresenta un’importante opportunità per ridurre la disoccupazione giovanile e favorire l’inserimento professionale.

FAQ

Qual è l’età massima per accedere al secondo apprendistato?
Generalmente, l’età massima è definita dalla normativa regionale e dalla contrattazione collettiva, ma di solito non supera i 29 anni.

È possibile combinare il secondo apprendistato con altri contratti di lavoro?
Sì, a patto che non ci sia sovrapposizione tra i periodi contrattuali e che siano rispettate le normative vigenti.

Quali settori offrono maggiori opportunità per il secondo apprendistato?
I settori più attivi includono tecnologia, sanità e artigianato.

Quali sono i requisiti per accedere all’apprendistato di alta formazione e ricerca?
Occorre possedere titoli di studio specifici, come diplomi universitari o certificazioni tecniche avanzate.

Cosa succede se il piano formativo individuale non viene aggiornato?
In questo caso, non sarà possibile procedere con la transizione al secondo apprendistato, e il contratto potrebbe essere considerato nullo.

 

Il nostro team di esperti è pronto a offrirvi chiarimenti e consulenze personalizzate.

Con la risposta n. 5/2025, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito un aspetto fondamentale relativo alla gestione dei fringe benefit attraverso carte di debito nominative. Questa interpretazione normativa si inserisce nel più ampio quadro della disciplina dei benefit aziendali, regolata dall’articolo 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), offrendo nuove opportunità di ottimizzazione fiscale per datori di lavoro e dipendenti.

Il piano di welfare aziendale rappresenta uno strumento sempre più utilizzato dalle imprese per migliorare il benessere dei dipendenti, fornendo loro beni e servizi senza dover corrispondere direttamente somme di denaro. In questo contesto, una società ha presentato un’istanza per introdurre un sistema basato sull’utilizzo di carte di debito nominative, vincolate a specifici fornitori e non monetizzabili. Questa soluzione, offerta da un provider specializzato, garantisce che i fringe benefit siano utilizzati esclusivamente per finalità legate al welfare aziendale, rispettando i limiti di esenzione previsti dalla normativa.

L’articolo 51, comma 3-bis, del TUIR stabilisce che i fringe benefit assegnati sotto forma di documenti di legittimazione, come voucher cartacei o elettronici, non siano soggetti a tassazione purché rispettino determinati requisiti. La carta di debito, essendo nominativa e utilizzabile solo presso fornitori predeterminati, soddisfa tali condizioni.

I Requisiti del Documento di Legittimazione

L’Agenzia delle Entrate ha esaminato la natura giuridica delle carte di debito in relazione alla disciplina dei documenti di legittimazione, richiamando il decreto del 25 marzo 2016. Secondo questo decreto, i documenti di legittimazione:

  • Non possono essere utilizzati da persone diverse dal titolare;
  • Non sono monetizzabili o cedibili a terzi;
  • Consentono l’acquisto di un solo bene o servizio per intero valore nominale, senza integrazioni da parte del titolare.

Nel caso analizzato, le carte di debito proposte rispettano pienamente queste condizioni, essendo strettamente vincolate a un budget figurativo e prive di opzioni per l’integrazione con somme personali. Inoltre, la natura nominativa delle carte garantisce che solo il dipendente beneficiario possa utilizzarle.

Un aspetto fondamentale riguarda la possibilità di controllo da parte del datore di lavoro, che può verificare in maniera trasparente e tracciabile l’utilizzo delle carte. Questa caratteristica non solo evita abusi, ma assicura anche che i benefit siano spesi in conformità con le finalità stabilite dal piano di welfare.

Limiti di Esenzione

La legge di Bilancio 2024 ha recentemente innalzato i limiti di esenzione per i fringe benefit a 1.000 o 2.000 euro, a seconda delle circostanze specifiche. Questo aumento rafforza l’attrattività dei piani di welfare aziendale, consentendo alle imprese di offrire ai dipendenti vantaggi significativi senza incidere sul reddito imponibile.

Secondo la risposta dell’Agenzia, entro questi limiti di valore, il datore di lavoro non è tenuto ad applicare la ritenuta a titolo di acconto prevista dall’articolo 23 del DPR n. 600/1973. Questo rappresenta un vantaggio sia per i datori di lavoro, che possono ottimizzare la gestione fiscale dei benefit, sia per i dipendenti, che usufruiscono interamente del valore nominale del beneficio.

Inoltre, l’innalzamento dei limiti di esenzione ha incentivato molte aziende ad ampliare la gamma di servizi offerti, includendo opzioni che spaziano dall’istruzione ai servizi sanitari, fino alle attività sportive e culturali. Queste scelte permettono una maggiore personalizzazione del welfare aziendale, rendendolo più aderente alle esigenze specifiche dei dipendenti.

Tracciabilità e Controlli Fiscali

Un ulteriore elemento di rilievo è la tracciabilità delle spese. La gestione dei fringe benefit tramite un budget figurativo associato a carte di debito garantisce un controllo rigoroso sull’utilizzo dei fondi, riducendo il rischio di abusi o utilizzi impropri. L’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che questa modalità di erogazione è conforme ai principi espressi nella circolare n. 28/E del 2016 e nella risposta n. 273 del 2019.

Tuttavia, è importante considerare che eventuali controlli successivi potrebbero portare a una diversa valutazione del profilo fiscale del piano di welfare. Pertanto, è essenziale che le imprese adottino procedure rigorose per garantire la corretta attuazione e documentazione dei benefit erogati.

In particolare, le aziende devono assicurarsi che i fornitori selezionati rispettino i criteri stabiliti dalla normativa e che i dipendenti siano adeguatamente informati sulle modalità di utilizzo delle carte. Questo approccio previene non solo potenziali irregolarità, ma consolida anche il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratori.

Questa innovazione rappresenta un passo avanti nella personalizzazione e nell’efficienza dei piani di welfare aziendale, promuovendo un approccio più sostenibile e orientato al lungo termine. Inoltre, la possibilità di monitorare e analizzare i dati relativi all’utilizzo dei benefit consente alle imprese di adattare continuamente le proprie offerte, migliorandone l’efficacia e l’impatto complessivo.

Per chiarimenti e assistenza personalizzata sui fringe benefits il nostro studio è a vostra disposizione.

È stata approvata il 28.12.2024 la legge di Bilancio 2025. Tra le principali novità spicca la modifica del regime del cuneo fiscale che prevede l’abbandono del sistema basato sull’esonero contributivo e l’introduzione di alcune indennità e detrazioni aggiuntive a sostegno dei redditi più bassi, nonché disposizioni a sostegno della genitorialità e delle famiglie.

Le nuove norme prevedono due strumenti principali:

  1. Indennità fiscale per i contribuenti con redditi complessivi fino a 20.000 euro, calcolata in percentuale sul reddito da lavoro dipendente e decrescente all’aumentare del reddito.
  2. Detrazione aggiuntiva per i redditi più alti, che beneficia coloro con redditi complessivi tra 20.000 e 40.000 euro.

L’indennità, che non concorre alla formazione del reddito imponibile, viene erogata direttamente al lavoratore e recuperata dal sostituto d’imposta tramite compensazione nel modello F24.

Le percentuali previste sono le seguenti:

  • 7,1% per redditi fino a 8.500 euro.
  • 5,3% per redditi tra 8.500 e 15.000 euro.
  • 4,8% per redditi tra 15.000 e 20.000 euro.

Percentuali dell’Indennità Fiscale (Redditi Fino a 20.000 Euro)

Fascia di Reddito (Euro) Percentuale dell’Indennità
Fino a 8.500 7,1%
Da 8.501 a 15.000 5,3%
Da 15.001 a 20.000 4,8%

Per quanto riguarda le detrazioni, queste variano in base al reddito complessivo:

  • 1.000 euro per redditi tra 20.000 e 32.000 euro.
  • Un valore progressivamente decrescente per redditi superiori a 32.000 euro, calcolato con una formula basata sul rapporto tra 40.000 euro e l’importo eccedente.

Detrazione Aggiuntiva (Redditi Tra 20.000 e 40.000 Euro)

Fascia di Reddito (Euro) Importo della Detrazione
Da 20.001 a 32.000 1.000 Euro
Da 32.001 a 40.000 Formula basata sul rapporto tra 40.000 euro e l’importo eccedente

Questa riforma introduce un elemento chiave: il reddito complessivo diventa il parametro di riferimento per determinare le agevolazioni, superando il precedente sistema che considerava solo il reddito derivante dal rapporto di lavoro dipendente.

Revisione delle Aliquote IRPEF

La Legge di Bilancio 2025 consolida la revisione delle aliquote IRPEF, già introdotta in via sperimentale nel 2024. Il nuovo sistema a tre scaglioni è ora strutturale e prevede:

  • 23% per i redditi fino a 28.000 euro.
  • 35% per i redditi tra 28.001 e 50.000 euro.
  • 43% per i redditi superiori a 50.000 euro.

Questa semplificazione mira a rendere il sistema fiscale più comprensibile e a ridurre il carico per i redditi medio-bassi, stimolando al contempo il consumo interno.

Aliquote IRPEF a Tre Scaglioni (Dal 2025)

Fascia di Reddito (Euro) Aliquota IRPEF (%)
Fino a 28.000 23%
Da 28.001 a 50.000 35%
Oltre 50.000 43%

Nuovi Parametri per le Detrazioni

Un’altra importante innovazione riguarda le detrazioni d’imposta, con l’introduzione di limiti e criteri più articolati. A partire dal 2025, i contribuenti con redditi superiori a 75.000 euro vedranno applicati nuovi tetti agli oneri detraibili. Questi saranno calcolati moltiplicando un importo base decrescente, a seconda del reddito, per un coefficiente variabile in base alla composizione del nucleo familiare. Ecco i dettagli:

  • Per redditi tra 75.000 e 100.000 euro, l’importo base è di 14.000 euro.
  • Per redditi superiori a 100.000 euro, l’importo base è di 8.000 euro.

Importi Base per le Detrazioni (Redditi Superiori a 75.000 Euro)

Fascia di Reddito (Euro) Importo Base delle Detrazioni (Euro)
Da 75.000 a 100.000 14.000
Oltre 100.000 8.000

I coefficienti, invece, dipendono dal numero di figli a carico:

  • 0,50 senza figli.
  • 0,70 con un figlio.
  • 0,85 con due figli.
  • 1,00 con tre o più figli, oppure con un figlio disabile.

Coefficienti per la Composizione Familiare

Numero di Figli a Carico Coefficiente da Applicare
Nessun figlio 0,50
1 figlio 0,70
2 figli 0,85
3 o più figli / Figlio disabile 1,00

Tuttavia, alcune spese rimangono escluse da questa revisione, tra cui quelle sanitarie, gli oneri relativi a mutui contratti entro il 31 dicembre 2024 e le spese per interventi di riqualificazione energetica o edilizia.

Per i contribuenti non residenti in Italia o in uno Stato UE, le detrazioni per familiari a carico non saranno applicabili, salvo eccezioni per residenti in paesi aderenti all’accordo sullo Spazio Economico Europeo.

Cambiamenti per i Carichi di Famiglia

Anche le detrazioni per carichi di famiglia subiscono modifiche significative. La detrazione di 950 euro per figli di 21 anni o più viene estesa fino al limite di età di 30 anni, ad eccezione dei figli con disabilità, per i quali non si applicano limiti di età. La detrazione di 750 euro, precedentemente riservata ai familiari conviventi, sarà ora disponibile anche per gli ascendenti conviventi.

Modifiche alle Detrazioni per Carichi di Famiglia

Carico Familiare Importo della Detrazione (Euro) Limite di Età
Figli maggiorenni (21+ anni) 950 Fino a 30 anni (se non disabili)
Altri familiari conviventi 750 Nessun limite specifico
Ascendenti conviventi 750 Nessun limite specifico

Per maggiori dettagli, chiarimenti o per una consulenza personalizzata il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

Le recenti modifiche apportate al comma 8 dell’articolo 12 del D.Lgs. n. 472/1997 hanno introdotto una significativa innovazione nell’ambito del sistema sanzionatorio italiano. Dal 1° settembre 2024, il cumulo giuridico è applicabile anche nell’ambito del ravvedimento operoso. Questa disposizione deriva dall’intervento legislativo del D.Lgs. n. 87/2024, che ha esteso la portata delle sanzioni uniche a nuove fattispecie già previste per l’accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale. L’obiettivo è promuovere la regolarizzazione spontanea delle violazioni da parte dei contribuenti, mantenendo comunque un criterio rigoroso di separazione per tributo, periodo d’imposta e istituto deflativo.

Questa evoluzione normativa segna un importante passo in avanti verso un sistema di gestione delle sanzioni più flessibile e coerente, fornendo agli operatori economici uno strumento ulteriore per risolvere tempestivamente le irregolarità.

Il cumulo giuridico rappresenta una modalità di determinazione della sanzione unica, in deroga al principio del cumulo materiale, applicabile nei casi di pluralità di violazioni connesse tra loro. La normativa specifica che il calcolo della sanzione avviene separatamente per ciascun tributo, periodo d’imposta e istituto deflativo. Questa impostazione consente una maggiore equità, evitando progressioni sanzionatorie non proporzionali rispetto alle singole violazioni.

La nuova disciplina conferma, inoltre, l’inapplicabilità del cumulo giuridico agli omessi versamenti e alle indebite compensazioni, preservando il principio di rigore per queste particolari infrazioni. L’articolo 12, comma 8-bis, aggiunge un ulteriore livello di dettaglio, prevedendo che il calcolo della sanzione unica si applichi separatamente tra tributi erariali, imposte doganali e imposte sulla produzione e sui consumi.

L’estensione del cumulo giuridico al ravvedimento operoso costituisce una novità assoluta. In passato, questa possibilità era esclusa, limitando il ricorso al ravvedimento in situazioni di pluralità di violazioni. La nuova disciplina equipara il ravvedimento agli istituti deflativi già contemplati, quali l’accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale, rendendo la regolarizzazione spontanea un’opzione ancor più vantaggiosa per i contribuenti.

Attraverso questa modifica, il legislatore intende incentivare comportamenti proattivi da parte dei soggetti fiscali, permettendo loro di beneficiare di riduzioni sanzionatorie significative pur nel rispetto delle norme vigenti.

La determinazione della sanzione unica mediante il cumulo giuridico segue criteri rigorosi. Il calcolo della sanzione “base” prende come riferimento la violazione più grave, aumentata di un quarto. Tale importo rappresenta la base per l’applicazione delle riduzioni previste in caso di ravvedimento operoso.

L’applicazione del cumulo giuridico è effettuata separatamente per ciascun tributo. Questo significa che, per ogni periodo d’imposta e per ogni istituto deflativo, le violazioni devono essere analizzate autonomamente. Per esempio, nel caso di tributi erariali, le imposte IVA, IRPEF e IRAP saranno trattate in maniera indipendente, garantendo una maggiore precisione nel calcolo delle sanzioni.

Il ravvedimento operoso consente al contribuente di regolarizzare volontariamente le proprie posizioni fiscali, beneficiando di significative riduzioni delle sanzioni. Con l’introduzione del cumulo giuridico, il calcolo delle sanzioni è reso ancor più favorevole. La determinazione della sanzione “base” permette una riduzione proporzionale al tempo trascorso dalla violazione e alla tempestività del ravvedimento.

Questa modalità di regolarizzazione rappresenta un’alternativa concreta e conveniente rispetto all’attesa dell’irrogazione ufficiale delle sanzioni da parte dell’amministrazione finanziaria. Per i contribuenti, ciò significa poter risolvere eventuali irregolarità in tempi brevi e con costi ridotti.

 

Esempio Pratico: Omessa Fatturazione e Registrazione

Un caso emblematico dell’applicazione del cumulo giuridico riguarda l’omessa fatturazione e registrazione di un’operazione imponibile. Consideriamo una transazione avvenuta nell’ottobre 2024 per un importo di 10.000 euro, con un’IVA evasa pari al 22% (2.200 euro). La violazione comporta, inoltre, imposte aggiuntive IRPEF e IRAP, pari rispettivamente a 2.300 euro e 390 euro.

Le sanzioni specifiche per tali violazioni includono:

  • Omessa fatturazione: 1.540 euro (70% dell’imposta);
  • Infedele liquidazione periodica IVA: 500 euro;
  • Infedele dichiarazione annuale IVA: 1.540 euro;
  • Infedele dichiarazione dei redditi: 1.610 euro;
  • Infedele dichiarazione IRAP: 273 euro.

 

Applicando il cumulo giuridico, l’ufficio fiscale determinerebbe una sanzione unica per ciascun tributo, calcolata considerando la violazione più grave e aumentando l’importo di un quarto. Se il contribuente optasse per il ravvedimento operoso, potrebbe beneficiare di una riduzione significativa della sanzione complessiva, portandola a soli 544 euro rispetto agli 805 euro previsti in caso di definizione ufficiale.

Le modifiche normative introdotte dal D.Lgs. n. 87/2024 rafforzano la centralità del cumulo giuridico quale strumento di equità nel sistema sanzionatorio italiano. L’estensione della sua applicabilità al ravvedimento operoso rappresenta una novità che offre vantaggi concreti per i contribuenti, incentivando una gestione proattiva delle posizioni fiscali.

La separazione per tributo, periodo d’imposta e istituto deflativo garantisce un’applicazione coerente e trasparente delle sanzioni, mantenendo al contempo un alto livello di rigore per le violazioni più gravi. Con l’applicazione del cumulo giuridico, il sistema fiscale italiano compie un passo importante verso un equilibrio tra esigenze di controllo e flessibilità operativa.

Per meglio comprendere le opportunità offerte dal ravvedimento operoso, per ulteriori chiarimenti o per ricevere una consulenza personalizzata, il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

Gennaio 2025 Fiscale

16 gennaio  DICHIARAZIONI DEI REDDITI
– Versamento 2° acconto opzione rateale IVA
– Liquidazione e versamento Iva mensile
– RITENUTE IRPEF Operate a Dicembre 2024 su redditi di lavoro autonomo
– RITENUTE ALLA FONTE Operate a Dicembre 2024

27 gennaio INTRASTAT
– Presentazione elenchi INTRA mensili e trimestrali

31 gennaio ACCISE

– Benefici gasolio autotrazione 4° trimestre 2024

DICHIARAZIONE PRECOMPILATA 2025
– Trasmissione dati al sistema TS 2° semestre 2024

Gennaio 2025 Lavoro

10 gennaio
– CONTRIBUTI TERZIARIO Versamento dei contributi a favore dei Fondi di previdenza
integrativa e assistenziale per i dirigenti in relazione al trimestre precedente

16 gennaio
– CONTRIBUTI GIORNALISTI Versamento dei contributi mensili dovuti dai giornalisti
con contratto di collaborazione
– VERSAMENTO UNIFICATO – Versamento delle ritenute alla fonte sui redditi di lavoro
dipendente e assimilati e dei contributi da lavoro dipendente

20 gennaio
– CONTRIBUTO PREVINDAI – Versamento dei contributi dovuti sulla retribuzione
corrisposta ai dirigenti iscritti al Previndai, nel trimestre precedente

31 gennaio
– PROSPETTO DISABILI Invio del prospetto informativo degli obblighi di assunzione dei
disabili in forza al 31 dicembre dell’anno precedente
UNIEMENS – Presentazione dati retribuzione e contribuzione mese precedente
SOMMINISTRAZIONI – Comunicazionedei lavoratori somministrati per contratti conclusi nel 2024

Minimi retributivi: agricoltura (operai); alimentari (artigianato); alimentari (cooperative); alimentari (industria);
allevatori e consorzi zootecnici; assicurazioni; barbieri parrucchieri e acconciatori; calzaturieri (industria); dirigenti (industria); chimici gomma plastica e  vetro(artigianato); ceramica (artigianato); occhiali (artigianato); tessili (artigianato); panificatori (artigianato); vigilanza privata; concerie(industria); legno e arredamento; lapidei (industria); shopper; turismo (ANPIT-CISAL); servizi (ANPIT-CISAL); miniere metallurgia; studi professionali e agenzie di assicurazioni;
fiorai (lavorazione e commercio).

Scadenze contrattuali: agenzia di sicurezza sussidiaria non armata; dirigenti industria; marketing (ANPIT-CISAL); dirigenti imprese pubbliche

Il nostro Studio è a vostra disposizione per chiarimenti e consulenze personalizzate.

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