La maxi deduzione costo del lavoro rappresenta una misura di grande rilievo prevista a partire dal 2025, inserita nel quadro della riforma fiscale delineata dalla Legge n. 111/2023. Il principio guida di questa nuova disciplina consiste nel rafforzare il ruolo dei costi per lavoro dipendente ai fini della determinazione del reddito d’impresa e del reddito di lavoro autonomo.

La disposizione mira a incentivare l’occupazione, in particolare quella stabile e giovanile, attraverso una deduzione potenziata rispetto al trattamento attualmente in vigore.

L’obiettivo della nuova deduzione è quello di favorire l’incremento occupazionale mediante una leva fiscale specifica e differenziata. La misura consente di dedurre dal reddito una quota maggiorata del costo del lavoro, in base alla tipologia di lavoratore assunto e alla forma contrattuale.

La logica di fondo è quella di rendere più competitivo il costo del lavoro stabile, premiando soprattutto l’assunzione di giovani under 30 e la contrattualizzazione a tempo indeterminato.

La decorrenza della maxi deduzione è fissata a partire dal 2025, con effetti applicabili già nel 2026 in sede di dichiarazione dei redditi relativa all’anno precedente. Tuttavia, la misura assume carattere strutturale, in quanto prevista come modifica permanente all’impianto normativo esistente.

La nuova disciplina prevede diverse forme di deduzione, differenziate in base alla tipologia di lavoratori e alla natura del contratto. È prevista una deduzione base applicabile a tutto il costo del lavoro dipendente, e deduzioni incrementali per le assunzioni a tempo indeterminato e per i lavoratori sotto i trent’anni di età.

I soggetti beneficiari della maxi deduzione costo del lavoro sono tutti i titolari di reddito d’impresa e di lavoro autonomo che impiegano lavoratori dipendenti. La misura riguarda quindi tanto le imprese individuali quanto le società, senza esclusione di forma giuridica. È inclusa anche la platea dei professionisti, purché si avvalgano di personale dipendente nella propria attività.

Una delle principali novità normative consiste nell’estensione della maxi deduzione anche ai soggetti che aderiscono al concordato preventivo biennale.

In pratica, l’ammontare dedotto in base alla nuova disciplina viene considerato rilevante ai fini del calcolo del reddito concordato, contribuendo a una maggiore aderenza alla capacità contributiva reale del contribuente.

Nel contesto del concordato preventivo biennale, il reddito stimato tiene conto anche delle deduzioni legate al costo del lavoro secondo il nuovo meccanismo. Questo significa che il beneficio fiscale derivante dall’assunzione di lavoratori rientra pienamente nel sistema di determinazione automatica del reddito.

I valori rilevanti per il calcolo della maxi deduzione includono l’intero ammontare del costo del lavoro sostenuto, al netto di eventuali contributi o agevolazioni già ottenute. L’importo deducibile è poi modulato secondo le percentuali stabilite in base alla categoria di lavoratore e alla durata del contratto. Questi valori sono automaticamente incorporati nella base dati dell’Agenzia delle Entrate, garantendo trasparenza e coerenza nell’attribuzione del beneficio.

Dal punto di vista contabile, la maxi deduzione costo del lavoro comporta una differenziazione tra reddito effettivo e reddito concordato. Nei modelli dichiarativi, dovranno essere evidenziate separatamente le componenti reddituali assoggettate alla deduzione potenziata, al fine di rendere tracciabile l’operazione ai fini del controllo fiscale.

I modelli dichiarativi verranno adeguati per recepire le nuove regole in materia di deducibilità del costo del lavoro. Saranno introdotti specifici quadri o sezioni per l’indicazione dell’importo dedotto e delle relative motivazioni. In questo modo sarà possibile monitorare l’utilizzo effettivo della misura, anche ai fini delle analisi statistiche dell’amministrazione finanziaria.

La normativa precedente prevedeva una deduzione standardizzata dei costi per lavoro dipendente, senza una specifica premialità in base alla natura dell’assunzione. Con la nuova maxi deduzione costo del lavoro, si introduce un principio di selettività che premia l’occupazione stabile e giovanile, superando l’uniformità del passato.

La misura si colloca in una cornice più ampia di politiche per il lavoro e di incentivi fiscali. Essa può essere integrata con altri strumenti già previsti, come esoneri contributivi, crediti d’imposta per assunzioni e agevolazioni per zone svantaggiate. L’integrazione tra strumenti diversi deve però essere gestita con attenzione, evitando il rischio di cumulo non compatibile.

Per accedere alla maxi deduzione, le imprese devono rispettare specifici obblighi documentali, tra cui la conservazione delle copie dei contratti, delle buste paga e della documentazione attestante la tipologia di lavoratore. Questi documenti saranno soggetti a eventuali verifiche da parte dell’Agenzia delle Entrate, in un’ottica di contrasto all’evasione fiscale e di verifica dell’effettività dell’assunzione.

L’attuazione della maxi deduzione costo del lavoro sarà supportata da strumenti digitali messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate. Le procedure saranno automatizzate, con calcolo precompilato e accesso alle informazioni attraverso i canali telematici.

In base alle previsioni normative, l’introduzione della maxi deduzione costo del lavoro dovrebbe generare un effetto positivo sulla creazione di posti di lavoro, soprattutto tra i giovani e nelle aree ad alto tasso di disoccupazione. Il meccanismo fiscale è progettato per ridurre il costo netto del lavoro per il datore, rendendo più sostenibile l’assunzione a lungo termine.

Il legislatore ha previsto strumenti di monitoraggio dell’impatto della nuova misura, mediante l’analisi dei dati dichiarativi e l’evoluzione dell’occupazione. Tali attività saranno coordinate dall’Agenzia delle Entrate in collaborazione con il Ministero del Lavoro, con l’obiettivo di verificare l’efficacia della leva fiscale utilizzata.

Per maggiori chiarimenti e per consulenze personalizzate il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

FAQ

Che cos’è la maxi deduzione costo del lavoro?
È una misura fiscale che consente di dedurre in misura maggiorata il costo del lavoro dipendente, a partire dal 2025.

Chi può beneficiare della maxi deduzione?
Tutti i titolari di reddito d’impresa e di lavoro autonomo che impiegano lavoratori dipendenti.

È applicabile anche nel regime di concordato preventivo biennale?
Sì, la deduzione rileva anche ai fini della determinazione del reddito concordato.

Quali lavoratori danno diritto alla deduzione potenziata?
Lavoratori assunti a tempo indeterminato e lavoratori con meno di 30 anni di età.

Come viene calcolata la deduzione?
In base al costo effettivo del lavoro sostenuto, modulato per tipologia contrattuale e anagrafica.

Sono previsti obblighi documentali?
Sì, è necessario conservare contratti, documentazione retributiva e attestazioni relative ai lavoratori.

Dal 1° luglio 2025 le società quotate FTSE MIB non applicano più lo split payment: cosa cambia per Iva e fatturazione.

Questa novità, in vigore dal mese corrente, nasce dall’attuazione di una direttiva europea che modifica radicalmente le modalità di applicazione dell’imposta, e trova attuazione nell’articolo 10 del D.L. n. 84/2025, che ha soppresso la lettera d) dell’articolo 17-ter, comma 1-bis, del Dpr n. 633/1972.

Il nuovo quadro normativo segue le indicazioni della Decisione di esecuzione 2023/1552 del Consiglio dell’Unione europea, che aveva autorizzato la proroga dello split payment per tutti i soggetti interessati fino al 30 giugno 2026, ma aveva previsto specificamente l’esclusione delle società quotate FTSE MIB dal meccanismo a partire dal 1° luglio 2025.

Nel dettaglio, il sistema dello split payment ha previsto che, nelle operazioni con le Pubbliche Amministrazioni, con società controllate e con determinati altri enti, sia il committente o cessionario – invece del fornitore – a versare direttamente l’imposta all’Erario.

Fino al 30 giugno 2025, anche le società quotate nel FTSE MIB rientravano tra i destinatari di questo regime speciale, ma dal 1° luglio, per effetto dell’abrogazione della lettera d) sopra citata, tali società sono definitivamente escluse dal perimetro dello split payment.

Per tutte le fatture emesse a partire dal 1° luglio 2025 nei confronti di società quotate FTSE MIB, il versamento dell’Iva torna a essere di competenza del fornitore, secondo il regime ordinario di rivalsa. Le società fornitrici e i professionisti dovranno quindi emettere fattura ordinaria, incassare l’Iva e successivamente versarla secondo le normali scadenze previste dalla legge.

L’Agenzia delle Entrate, attraverso le proprie FAQ pubblicate a fine giugno, ha precisato che la data di emissione della fattura elettronica rappresenta l’elemento determinante per individuare il regime applicabile: tutte le fatture con data di emissione fino al 30 giugno 2025 restano soggette allo split payment, mentre per quelle con data successiva al 1° luglio 2025 si applicherà il regime ordinario. In altre parole, il meccanismo di scissione dei pagamenti si considera superato solo per le operazioni fatturate dal 1° luglio in avanti.

Un’ulteriore attenzione riguarda le diverse tipologie di fatturazione. Nel caso delle fatture immediate, che possono essere emesse entro dodici giorni dall’effettuazione dell’operazione, fa fede la data riportata in fattura: se la data è anteriore o pari al 30 giugno, si applica ancora lo split payment, indipendentemente dal giorno di trasmissione al Sistema di Interscambio. Per le fatture differite, che possono essere emesse entro il quindicesimo giorno del mese successivo rispetto a quello in cui l’operazione è stata effettuata, la data di riferimento è sempre quella riportata nel documento elettronico.

Dal punto di vista strettamente normativo, a partire dal 1° luglio 2025 la lettera d) dell’articolo 17-ter, comma 1-bis, del Dpr n. 633/1972 risulta abrogata. Pertanto, l’obbligo di scissione dei pagamenti resta valido solo per gli altri soggetti individuati dalla norma, come enti pubblici, fondazioni e società controllate, ai quali continua ad applicarsi lo split payment secondo le regole in vigore.

Per maggiori chiarimenti e per assistenza personalizzata il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

Con l’entrata in vigore del recente DL Fiscale, sono state apportate alcune importanti modifiche alle modalità applicative del cosiddetto meccanismo di Reverse Charge (inversione contabile), con particolare attenzione ai settori della logistica e degli appalti.

Il Reverse Charge è un particolare metodo di liquidazione dell’IVA che prevede il trasferimento dell’obbligo tributario dal cedente al cessionario del bene o servizio. Normalmente, infatti, l’imposta sul valore aggiunto viene assolta dal soggetto che emette la fattura, mentre con il Reverse Charge tale onere si trasferisce all’acquirente, che dovrà integrarla e registrarla nelle proprie scritture contabili.

L’introduzione del Reverse Charge è avvenuta inizialmente per contrastare fenomeni di evasione fiscale. Questa tecnica consente all’amministrazione fiscale di ridurre potenziali frodi o evasioni IVA dovute all’emissione di fatture per operazioni inesistenti o comunque irregolari.

Il recente DL Fiscale ha apportato significative modifiche riguardo all’applicazione del Reverse Charge, soprattutto in relazione ai contratti di subappalto caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera e ai servizi resi nel settore della logistica.

In particolare, il provvedimento chiarisce le situazioni specifiche nelle quali si applica il meccanismo dell’inversione contabile, indicando in modo dettagliato le tipologie contrattuali e i settori coinvolti.

Il decreto fiscale interviene in maniera specifica sul settore degli APPALTI, stabilendo con precisione che il Reverse Charge debba essere applicato a tutte le prestazioni di servizi rese da imprese subappaltatrici che impiegano prevalentemente manodopera presso i locali del committente. Quindi, l’appaltatore che riceve la fattura dal subappaltatore non vedrà applicata l’IVA, ma dovrà integrarla e liquidarla autonomamente.

L’obiettivo dichiarato dal legislatore è quello di contrastare fenomeni illeciti che spesso avvengono proprio nel delicato settore degli appalti, caratterizzato da frequenti situazioni di subappalto e impiego massiccio di lavoratori.

Un settore interessato dalle novità introdotte dal DL Fiscale è quello della LOGISTICA, specialmente riguardo ai servizi di movimentazione delle merci, di carico e scarico, gestione dei magazzini e operazioni analoghe.

La normativa recentemente introdotta ha chiarito, infatti, che l’applicazione del Reverse Charge si estende esplicitamente ai servizi di logistica caratterizzati da una prevalente componente lavorativa, forniti presso le strutture operative del committente. Tale precisazione normativa è importante perché definisce chiaramente il perimetro applicativo del Reverse Charge in un ambito dove spesso potevano nascere dubbi interpretativi.

Secondo quanto previsto dal DL Fiscale, l’impresa appaltatrice o committente che riceve la fattura senza IVA, perché soggetta al Reverse Charge, ha il compito di integrare tale documento contabile con l’indicazione dell’imposta dovuta, registrando l’operazione sia nel registro acquisti che in quello delle vendite. In questo modo, l’IVA viene assolta dal soggetto che riceve il servizio e non da quello che lo fornisce.

L’impresa che invece emette la fattura (il subappaltatore o prestatore del servizio) dovrà obbligatoriamente riportare in fattura l’annotazione “operazione soggetta al Reverse Charge ex articolo 17 DPR 633/72”, specificando quindi chiaramente la natura dell’operazione.

Si tratta di adempimenti tecnici specifici che richiedono molta attenzione da parte delle imprese coinvolte, per non incorrere in errori o omissioni che potrebbero comportare conseguenze fiscali negative.

La decorrenza delle novità introdotte dal DL Fiscale è stabilita chiaramente nella normativa stessa. Le disposizioni entrano immediatamente in vigore e si applicano ai nuovi contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della normativa.

Per quanto riguarda invece i contratti già in corso al momento della pubblicazione della normativa, il decreto specifica dettagliatamente se e quando tali disposizioni si applicano, fornendo così criteri chiari di riferimento per imprese e professionisti.

Le aziende coinvolte sono tenute ad adeguare le proprie procedure amministrative e contabili tempestivamente, assicurando così la piena conformità alle nuove disposizioni normative.

Il legislatore prevede specifiche sanzioni per coloro che non applicano correttamente le nuove regole sul Reverse Charge, al fine di incentivare una corretta applicazione della normativa e prevenire possibili fenomeni evasivi.

Per ulteriori dettagli, chiarimenti e per assistenza personalizzata il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

FAQ

1. Cos’è precisamente il Reverse Charge?
Il Reverse Charge è un meccanismo di inversione contabile attraverso cui l’obbligo di versamento dell’IVA passa dal cedente/prestatore del servizio al cessionario/committente. In altre parole, l’IVA non è addebitata nella fattura emessa dal fornitore, ma deve essere integrata e versata direttamente dall’acquirente.

  1. Quali settori sono coinvolti dalle novità introdotte dal DL Fiscale sul Reverse Charge?
    Le novità introdotte dal recente DL Fiscale riguardano principalmente il settore della logistica e degli appalti, con particolare riferimento ai servizi caratterizzati da un prevalente utilizzo di manodopera eseguiti presso i locali del committente.
  2. Come deve essere compilata correttamente una fattura soggetta al Reverse Charge?
    Nella fattura emessa da un soggetto che applica il Reverse Charge, non deve essere indicata l’IVA, ma è necessario inserire una dicitura esplicita come: “Operazione soggetta al Reverse Charge ex articolo 17 DPR 633/72”.
  3. Quali sono gli adempimenti a carico del committente o acquirente che riceve una fattura soggetta a Reverse Charge?
    L’impresa che riceve una fattura soggetta a Reverse Charge ha l’obbligo di integrarla con l’indicazione dell’IVA dovuta, registrandola contemporaneamente sia nel registro delle fatture di acquisto sia nel registro vendite.
  4. Ci sono sanzioni specifiche per chi non applica correttamente il Reverse Charge?
    Sì, sono previste specifiche sanzioni amministrative per chi viola le disposizioni relative al Reverse Charge. Queste sanzioni sono dettagliate chiaramente nella normativa fiscale e possono essere rilevanti economicamente.
  5. Il Reverse Charge si applica sempre ai contratti di subappalto nel settore della logistica?
    Il Reverse Charge si applica specificamente ai servizi di subappalto che prevedano prevalentemente l’impiego di manodopera, purché eseguiti presso le strutture operative del committente. È importante valutare attentamente caso per caso.

Il Decreto Legge Fiscale recentemente emanato ha introdotto alcune importanti novità relativamente alla cessione delle quote delle Società tra Professionisti (STP), con specifiche disposizioni che coinvolgono direttamente i professionisti.

Le Società tra Professionisti (STP) sono società costituite ai sensi della Legge 183/2011, disciplinate dalla normativa specifica, che consente a diversi professionisti di esercitare in forma societaria attività regolamentate e protette, iscritti agli Ordini professionali di appartenenza.

Questo tipo di società consente dunque ai professionisti di operare sotto forma societaria, garantendo loro la possibilità di cedere o trasferire quote societarie secondo le regole previste dalla legge e dai regolamenti collegati.

Il recente DL Fiscale, nel quadro di interventi normativi mirati a definire con maggiore precisione alcune procedure fiscali e tributarie, ha introdotto novità importanti in relazione alla cessione delle quote delle STP. Le modifiche riguardano principalmente i criteri e le modalità attraverso cui può essere operata la cessione delle quote da parte dei soci, con particolare attenzione agli aspetti procedurali e agli obblighi dichiarativi.

In particolare, il decreto chiarisce che l’operazione di cessione delle quote di STP deve essere comunicata tempestivamente al competente Ordine Professionale, specificando in modo chiaro l’identità dei soggetti coinvolti nell’operazione, il numero di quote cedute, nonché le eventuali modifiche nella composizione societaria che risultano dall’operazione stessa.

Tale obbligo è stato introdotto per garantire trasparenza e consentire ai singoli Ordini di avere una chiara rappresentazione della struttura societaria e delle relative modifiche intervenute nel tempo.

I soci, siano essi professionisti singoli o società di capitali, che procedono con la cessione delle quote delle Società tra Professionisti devono attenersi a precisi obblighi dichiarativi, come previsto dal decreto stesso. In particolare, è previsto l’obbligo di dichiarare in modo dettagliato la transazione e il valore delle quote cedute ai fini fiscali, rispettando così gli obblighi di natura tributaria.

Le disposizioni introdotte dal DL Fiscale si applicano indistintamente a tutte le STP già costituite, indipendentemente dal tipo di attività professionale svolta e dalle dimensioni della società stessa.

La normativa descritta risulta dunque applicabile in modo generalizzato e uniforme su tutto il territorio nazionale, a partire dall’entrata in vigore del decreto, rendendo pertanto obbligatoria l’applicazione delle nuove regole a tutte le operazioni di cessione quote successive alla data di decorrenza dello stesso.

Le novità introdotte nel quadro normativo delle STP hanno come conseguenza diretta una maggiore attenzione ai profili amministrativi e fiscali relativi alle operazioni societarie, con il risultato di aumentare la trasparenza verso gli organismi di vigilanza professionale e fiscale. I soci, quindi, devono prestare particolare attenzione alla tempestività e precisione delle comunicazioni obbligatorie e delle dichiarazioni fiscali relative alla cessione delle quote societarie.

La nuova normativa vuole rendere più chiara e uniforme la procedura da seguire per la cessione delle quote, sottolineando l’importanza della corretta gestione dei passaggi societari attraverso un puntuale rispetto delle regole dettate dal decreto.

Tali disposizioni assumono pertanto rilevanza significativa nella gestione quotidiana delle STP, determinando un preciso iter amministrativo e fiscale che deve essere seguito ogni volta che i soci intendano trasferire o acquisire quote societarie.

Il Decreto Legge Fiscale indica chiaramente anche quali siano le conseguenze in caso di mancato rispetto delle nuove disposizioni previste per la cessione delle quote.

Nello specifico, eventuali omissioni o ritardi nelle comunicazioni obbligatorie agli Ordini di appartenenza o nelle dichiarazioni fiscali inerenti le operazioni societarie potrebbero determinare responsabilità per i soci coinvolti.

Per maggiori chiarimenti e per assistenza personalizzata il nostro studio è a vostra disposizione.

Tabella riepilogativa

Ambito di applicazione Tutte le STP indipendentemente dalla dimensione e dal tipo di attività professionale esercitata
Comunicazione obbligatoria agli Ordini professionali Obbligo di comunicare tempestivamente all’Ordine di appartenenza ogni operazione di cessione quote con dettagli precisi (identità dei soci, numero e valore quote cedute)
Obblighi dichiarativi fiscali Obbligo per i soci cedenti di dichiarare il valore e i dettagli della transazione ai fini tributari
Tempistiche di applicazione Immediate: tutte le cessioni successive alla data di entrata in vigore del decreto
Conseguenze in caso di inadempimento Responsabilità specifiche per soci che omettono o ritardano comunicazioni e dichiarazioni previste dal DL

FAQ

Quali sono gli obblighi introdotti dal DL Fiscale per i soci STP?

Il decreto obbliga a comunicare tempestivamente ogni cessione di quote al competente Ordine professionale e a fornire puntualmente le dichiarazioni fiscali relative alla transazione effettuata.

Le regole sono applicabili a tutte le STP?

Sì, la normativa si applica indistintamente a tutte le STP costituite e operative, indipendentemente dall’attività esercitata o dalle dimensioni della società.

Quali sono le conseguenze del mancato rispetto delle nuove disposizioni?

Eventuali inadempimenti agli obblighi di comunicazione e dichiarativi previsti dal decreto comportano specifiche responsabilità per i soci coinvolti.

Di fronte a un clima sempre più instabile, con temperature che superano frequentemente i 40 gradi, le istituzioni regionali hanno adottato una serie di ordinanze a tutela della sicurezza sul lavoro, specialmente nei settori più esposti al rischio di stress termico e colpi di calore.

Il contesto climatico, influenzato dai cambiamenti climatici, ha accelerato l’adozione di misure preventive rigorose per limitare le attività durante le ore più calde della giornata. Diverse Regioni, tra cui Lazio, Toscana, Emilia-Romagna, Lombardia, Abruzzo e Basilicata, hanno formalmente introdotto il divieto di lavoro all’aperto dalle ore 12:30 alle 16:00, nei giorni in cui il sistema Worklimate dell’INAIL segnala un livello di rischio “alto”.

Nel Lazio, ad esempio, l’ordinanza firmata dal presidente della Regione prevede il blocco delle attività esterne tra le 12:30 e le 16:00 fino al 31 agosto 2025, qualora venga confermato il rischio termico elevato. Misura simile è stata adottata anche in Toscana, dove il presidente Eugenio Giani ha sottolineato la gravità del fenomeno e la necessità di tutelare i lavoratori nei settori agricolo, florovivaistico e dell’edilizia.

La sicurezza sul lavoro è diventata così una priorità assoluta, e l’attivazione delle ordinanze si estende anche ad altri comparti come la logistica e le cave, laddove le attività si svolgano sotto il sole cocente. L’Emilia-Romagna ha incluso nel provvedimento anche i piazzali della logistica, riconoscendo l’intensità fisica e l’esposizione al caldo come elementi di rischio significativi.

Oltre alle sospensioni obbligatorie, le regioni come il Veneto hanno scelto una linea più soft, raccomandando piuttosto che imponendo, soluzioni come la rotazione del personale, la riduzione dei tempi di esposizione e l’adozione di misure organizzative flessibili. Questo approccio mira comunque a garantire il diritto alla salute anche nei casi in cui l’interruzione totale dell’attività non sia possibile.

Le misure straordinarie sono state attivate anche nel Sud Italia: la Calabria, la Campania, la Puglia e la Sicilia hanno approvato ordinanze simili che impongono lo stop ai lavori all’aperto durante le ore centrali della giornata. Un elemento comune a tutte le normative è il riferimento alla mappa termica pubblicata dal portale Worklimate, sviluppato dall’INAIL in collaborazione con il CNR. Questo strumento consente di monitorare in tempo reale il rischio di esposizione occupazionale al caldo, diventando un punto di riferimento per datori di lavoro e istituzioni.

Le ordinanze, seppur differenti nei dettagli operativi, convergono su un principio comune: la prevenzione. Il caldo viene considerato un fattore di rischio professionale con effetti anche gravi sulla salute, come evidenziato dai casi di malore registrati negli ultimi anni tra operai agricoli e manovali.

A livello normativo, le imprese interessate possono fare ricorso a strumenti come la cassa integrazione con causale EONE (eventi meteo non evitabili) o la CISOA per il settore agricolo, nei giorni in cui è attiva la sospensione. Questo consente di tutelare sia i lavoratori che il tessuto produttivo, limitando l’impatto economico delle interruzioni.

Le ordinanze anti-caldo adottate nel 2025 si inseriscono in un quadro normativo sempre più attento alla gestione dei rischi climatici nel mondo del lavoro. Le misure variano da regione a regione ma seguono linee guida condivise e coordinate, con l’obiettivo di ridurre l’esposizione al calore e garantire condizioni di lavoro sicure anche durante i picchi di calore estivo.

Ordinanze Regionali Anti-Caldo 2025

Regione Periodo Validità Orario di Sospensione Settori Coinvolti Condizioni di Attivazione Eccezioni / Note
Lombardia 2 luglio – 15 settembre 2025 12:30 – 16:00 Edilizia, cave, agricoltura, florovivaismo Solo nei giorni con livello di rischio “alto” secondo Worklimate Escluse attività urgenti, pubblica utilità, protezione civile
Lazio Fino al 31 agosto 2025 12:30 – 16:00 Tutte le attività all’aperto Rischio “Alto” su Worklimate Valida su tutto il territorio regionale
Emilia-Romagna Fino al 15 settembre 2025 12:30 – 16:00 Cantieri edili, agricoltura, florovivaismo, logistica In caso di caldo estremo o anomalo Ordinanza regionale specifica
Abruzzo Fino al 31 agosto 2025 12:30 – 16:00 Agricoltura, florovivaismo, edilizia e affini Lavori con esposizione prolungata al sole Escluse attività di pubblica utilità
Veneto Raccomandazione in vigore Sconsigliato nelle ore calde Tutti i lavori all’aperto Suggerimento generale per i datori di lavoro Raccomandazioni su turni, pause, rotazioni
Basilicata Fino al 31 agosto 2025 12:30 – 16:00 Lavoro agricolo Rischio “Alto” su Worklimate Ordinanza valida nei giorni con rischio elevato
Toscana Fino al 31 agosto 2025 12:30 – 16:00 Attività fisica intensa con esposizione prolungata al sole Livello di rischio alto su Worklimate Ordinanza firmata da Eugenio Giani
Calabria Dal 10 giugno 2025 Non specificato Tutte le attività all’aperto Ordinanza già attiva su tutto il territorio Tra le prime ad attivarsi
Umbria Da metà giugno 2025 Non specificato Tutti i lavori esposti Ordinanza anticipata rispetto agli anni precedenti Prima volta con attivazione così tempestiva

 

 

Con il messaggio n. 1961 del 20 giugno 2025, l’INPS ha ulteriormente definito i dettagli tecnici da rispettare: è ora obbligatoria la valorizzazione di specifici elementi all’interno dell’elemento e sono state posticipate a ottobre 2025 alcune valorizzazioni originariamente previste per luglio. Questo aggiornamento si applica a tutte le aziende del settore privato, compresi i datori di lavoro agricoli e le pubbliche amministrazioni.

Possono accedere al rimborso delle retribuzioni tutti i lavoratori dipendenti del settore privato, inclusi colf, badanti, operai agricoli e lavoratori domestici. Per avere diritto alla giornata retribuita, la donazione deve essere gratuita, effettuata presso un centro autorizzato, e deve consistere in almeno 250 grammi di sangue. Nei casi di inidoneità alla donazione, il motivo deve essere riconducibile a quelli previsti dal decreto del 2015 e indicato in un certificato medico con giorno, ora e motivazione.

L’assenza giustificata dà inoltre diritto all’accredito della contribuzione figurativa, che è importante ai fini previdenziali e per il calcolo della pensione. Qualora il datore non presenti richiesta di rimborso, la retribuzione versata rientrerà nella normale contribuzione ordinaria.

Il calcolo della retribuzione per l’assenza da donazione deve essere effettuato considerando la retribuzione ordinaria che il dipendente avrebbe percepito se avesse lavorato. Devono essere escluse le componenti non ricorrenti, e vanno considerate solo le voci fisse e continuative. Per i lavoratori mensilizzati, la retribuzione teorica mensile va divisa per 26; per chi ha una retribuzione oraria, si applica anche un divisore orario.

In particolare, per gli operai agricoli, il flusso Uniemens-PosAgri richiede l’applicazione di un divisore di 6,5 ore giornaliere.

Esistono due modalità per il rimborso: tramite conguaglio nel flusso Uniemens, o con domanda diretta telematica. Il conguaglio è possibile per i datori che operano secondo il D.L. 663/1979, i quali possono recuperare quanto anticipato direttamente nel flusso Uniemens usando i codici evento “DON” per la donazione e “IDS” per l’inidoneità. È obbligatorio anche indicare il codice fiscale del centro trasfusionale. I codici conguaglio sono S127 per indennità da donazione, S129 per inidoneità, e S211 per eventuali differenze.

La domanda diretta telematica è necessaria per quei datori che non possono effettuare il conguaglio, come ad esempio i datori di lavoro domestico o gli agricoli a tempo determinato. La domanda va presentata tramite i servizi INPS, usando SPID, CIE, CNS o PIN dispositivo, e deve essere inviata entro la fine del mese successivo alla data della donazione o dell’inidoneità.

Per ottenere il rimborso, è necessario allegare un certificato medico contenente il codice fiscale della struttura, la quantità donata, il giorno e l’ora, e l’attestazione della gratuità della donazione. Il lavoratore deve inoltre rilasciare una dichiarazione sulla fruizione della giornata. Nei casi di inidoneità, il certificato deve riportare anche l’orario di entrata e uscita.

Dal 1° luglio 2025, sono previste nuove istruzioni tecniche per la compilazione del flusso Uniemens. Sarà obbligatoria la valorizzazione di campi specifici come l’elemento , il codice fiscale della struttura sanitaria, il tipo di evento, il numero di ore (in caso di inidoneità) e il tipo di copertura. Tutto ciò al fine di migliorare l’accuratezza dei dati e garantire un corretto accredito contributivo.

È importante evidenziare che l’obbligo di valorizzazione degli elementi è stato posticipato al periodo di competenza ottobre 2025, dando così più tempo ai datori per adeguarsi. Questo slittamento riduce il rischio di errori nelle prime applicazioni della nuova disciplina.

Per i datori di lavoro agricoli, la circolare INPS n. 96/2025 fornisce specifiche istruzioni: devono utilizzare il flusso Uniemens/PosAgri e indicare la retribuzione anticipata con il codice “S”. È necessario valorizzare correttamente il campo <Retribuzione Persa (RP)>, utile per il calcolo della contribuzione figurativa. La somma oggetto di anticipazione va riportata nel campo .

Sono stati anche illustrati esempi pratici per facilitare la compilazione: ad esempio, nel caso di donazione con giornata interamente retribuita, va utilizzato il codice evento DON con copertura totale; per le situazioni di inidoneità con assenza parziale, si utilizza IDS con il numero effettivo di ore indicate.

La documentazione da presentare è fondamentale. Il certificato medico deve contenere tutti i dati richiesti dalla normativa. Anche la dichiarazione del lavoratore è indispensabile per confermare la gratuità dell’atto e la fruizione dell’assenza.

Per la trasmissione delle domande INPS, sono accettati diversi strumenti di identificazione digitale: SPID, Carta d’Identità Elettronica (CIE), Carta Nazionale dei Servizi (CNS) o il vecchio PIN dispositivo. L’uso di questi strumenti garantisce la sicurezza della comunicazione e l’accesso ai servizi digitali.

Dal punto di vista previdenziale, le giornate di assenza giustificate per donazione danno diritto all’accredito figurativo e sono pienamente riconosciute ai fini del diritto alla pensione. Tuttavia, è fondamentale una corretta compilazione dei flussi per non perdere tali benefici.

Una compilazione errata può portare a sanzioni, soprattutto in caso di incongruenze nei dati trasmessi. L’INPS effettua verifiche sulle comunicazioni inviate e può bloccare i rimborsi in presenza di errori.

Per maggiori chiarimenti e per assistenza personalizzata il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

FAQ

Chi ha diritto al rimborso per donazione di sangue?
Tutti i lavoratori dipendenti del settore privato, inclusi domestici e agricoli, a condizione che la donazione sia gratuita e avvenga in un centro autorizzato.

Cosa succede se il lavoratore è giudicato inidoneo?
Ha comunque diritto alla retribuzione per il tempo necessario alla visita e al ritorno, se l’inidoneità è certificata.

Entro quanto tempo va fatta la richiesta di rimborso all’INPS?
Entro la fine del mese successivo alla data dell’assenza per donazione o inidoneità.

Quali sono i canali per inviare la domanda all’INPS?
SPID, CIE, CNS e PIN dispositivo.

Il giorno di assenza incide sulla pensione?
No, viene riconosciuto contributivamente grazie all’accredito figurativo previsto per legge.

Domicilio digitale degli amministratori: Unioncamere chiarisce, nessuna scadenza fissata dalla legge

Secondo quanto affermato da diverse Camere di commercio italiane, tra cui quelle di Milano, Torino, Bergamo, Lecce e Padova, non è previsto alcun termine sanzionabile entro il 30 giugno 2025 per il deposito del domicilio digitale (PEC) da parte degli amministratori delle società iscritte al 1° gennaio 2025. Le Camere di commercio hanno reso nota questa posizione per chiarire le interpretazioni diffuse da organi di stampa e alcune campagne pubblicitarie che indicavano tale data come una scadenza ufficiale.

L’obbligo di comunicazione della PEC degli amministratori è stato introdotto con la Legge di Bilancio 2025 (legge n. 207/2024), articolo 1, comma 860. Tuttavia, nella formulazione della norma non viene indicato alcun termine specifico entro cui adempiere all’obbligo. Inoltre, nessuna sanzione viene espressamente prevista dalla legge nel caso di mancata comunicazione della PEC entro una certa data.

Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha fornito una prima lettura della disposizione, che lasciava intendere la presenza di un termine, ma tale indicazione non ha fondamento normativo. A questa prima lettura ha fatto seguito una nota ufficiale di Unioncamere del 2 aprile 2025, in cui si richiede un chiarimento da parte del Ministero stesso. La risposta del Ministero è ancora attesa.

Secondo quanto riferito, le Camere di commercio hanno assunto una posizione comune secondo cui non sussistono né il termine del 30 giugno né l’applicabilità di sanzioni, basandosi sulla formulazione letterale della norma e sulla normativa vigente in materia di sanzioni amministrative.

L’articolo 2630 del Codice civile prevede infatti che le sanzioni amministrative siano applicabili solo quando un soggetto, obbligato per legge, omette un adempimento nei termini prescritti. In assenza di un termine definito per legge, la sanzione non può essere applicata. Inoltre, l’articolo 1 della legge 689/1981 stabilisce che «nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge» che definisca in modo esplicito tempi e modalità della violazione.

Le Camere di commercio sottolineano anche che, ai fini delle notifiche da parte della Pubblica amministrazione o di soggetti privati, l’unico indirizzo PEC valido resta quello della società pubblicato nel Registro delle imprese, come previsto dal 2008. Le PEC degli amministratori, che potranno essere inserite dal 1° gennaio 2025, non sono rilevanti per tali notifiche ufficiali.

La disposizione della Legge di Bilancio introduce dunque un obbligo formale, ma senza l’indicazione di una scadenza né la previsione di una sanzione, come previsto dai criteri normativi per la validità delle sanzioni amministrative. In questo contesto, Unioncamere ha richiesto un chiarimento definitivo da parte degli uffici del Ministero competente, in merito alla corretta applicazione della norma.

Aggiornamento del 25 giugno 2025 – Differimento del termine per il domicilio digitale

Con avviso del 25 giugno 2025, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha disposto il differimento al 31 dicembre 2025 del termine per la comunicazione del domicilio digitale da parte degli amministratori di imprese costituite in forma societaria e già iscritte alla data del 1° gennaio 2025. Il provvedimento integra le indicazioni fornite con la precedente comunicazione del 12 marzo, garantendo un’applicazione uniforme delle disposizioni previste dall’art. 1, comma 860, della legge n. 207/2024.

Per ulteriori chiarimenti il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

Le nuove Regole Tecniche Antiriciclaggio emanate dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) nel gennaio 2025 rappresentano un importante aggiornamento per l’intera categoria dei professionisti.

Queste nuove disposizioni sono il frutto di un lavoro di armonizzazione normativa e semplificazione procedurale, volto a rendere più efficace e agevole l’adempimento degli obblighi previsti dal D.Lgs. 231/2007. Rispetto alla versione del 2019, il documento pubblicato con l’Informativa n. 41 del 5 giugno 2025 introduce rilevanti chiarimenti e aggiornamenti su tre aspetti fondamentali: l’autovalutazione del rischio, l’adeguata verifica della clientela e la conservazione dei documenti.

L’Autovalutazione del Rischio
Regola Tecnica n. 1

Il primo pilastro delle nuove regole riguarda l’autovalutazione del rischio, che resta un obbligo personale e non delegabile per ogni professionista. Tuttavia, viene ammessa la possibilità per gli studi associati e le società tra professionisti (STP) di adottare un modello accentrato, purché siano definite procedure formali coerenti con la struttura organizzativa adottata.

Le novità più rilevanti includono l’introduzione di una funzione antiriciclaggio obbligatoria per gli studi associati e le STP, a meno che ogni professionista non operi in piena autonomia. Inoltre, per strutture con oltre 30 professionisti e 30 collaboratori, è prevista una funzione di revisione indipendente, un meccanismo che rafforza i controlli interni e garantisce maggiore trasparenza.

Il riferimento normativo principale è contenuto negli articoli 15 e 16 del D.Lgs. 231/2007, che delineano il quadro per valutare il rischio inerente legato alle attività professionali svolte. Le nuove regole confermano l’impianto del 2019, ma ne aggiornano i parametri e rendono più concreto il processo di valutazione. L’obiettivo è una maggiore responsabilizzazione del professionista nel riconoscere e mitigare i rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo.

L’Adeguata Verifica della Clientela
Regola Tecnica n. 2

La seconda regola tecnica riguarda la cosiddetta adeguata verifica della clientela, considerata una delle attività più critiche e sensibili in ambito antiriciclaggio. Il nuovo impianto normativo riformula i criteri di valutazione, distinguendo tre tipologie di verifica: semplificata, ordinaria e rafforzata, in funzione del rischio specifico connesso al cliente e all’operazione.

Vengono introdotti indicatori di rischio aggiornati e schemi di valutazione più strutturati, che permettono al professionista di stabilire con maggiore precisione il livello di approfondimento richiesto. La classificazione delle prestazioni professionali in base al grado di intensità del rischio inerente rappresenta uno degli elementi innovativi più rilevanti.

Si individuano quattro gradi di rischio:

  • Grado 1: non significativo
  • Grado 2: poco significativo
  • Grado 3: abbastanza significativo
  • Grado 4: molto significativo

Le prestazioni che rientrano nel grado 1, come il visto di conformità o la mediazione giudiziale, presentano un rischio residuale. Quelle classificate nel grado 4, come la consulenza in finanza straordinaria, richiedono invece verifiche approfondite e misure rafforzate.

Un ulteriore chiarimento importante riguarda il titolare effettivo: la fotocopia del documento di identità non è più obbligatoria, salvo la presenza di dubbi o incongruenze. Questo snellisce il processo ma impone al professionista maggiore attenzione nella valutazione della veridicità dei dati.

Conservazione della Documentazione
Regola Tecnica n. 3

Il terzo ambito di intervento è quello relativo alla conservazione dei documenti, finalizzato a garantire integrità, leggibilità e reperibilità delle informazioni trattate. Le nuove regole confermano le tre modalità previste: cartacea, informatica e mista, offrendo una maggiore flessibilità operativa.

Devono essere conservati sia i documenti acquisiti durante l’adeguata verifica della clientela, sia le scritture probatorie relative alle operazioni effettuate. In caso di controllo, è fondamentale poter ricostruire dettagli come la data di conferimento dell’incarico, i dati identificativi del cliente, lo scopo e la natura del rapporto, fino ad arrivare ai dettagli delle operazioni (data, importo, causale, mezzi di pagamento).

Per gli studi associati e le STP, è ora consentito un sistema accentrato di conservazione, subordinato all’adozione di procedure interne chiare e ben documentate. Questo sistema centralizzato consente di gestire in modo unitario i dati del cliente, dell’esecutore e del titolare effettivo, garantendo al contempo trasparenza e responsabilità individuale.

Per chiarimenti ed assistenza professionale il nostro team di esperti è a vostra disposizione.

Regola Tecnica Aspetti Chiave Novità 2025
Regola Tecnica n. 1
Autovalutazione del rischio
Valutazione del rischio inerente all’attività svolta dal professionista. – Obbligo personale e non delegabile
– Modello accentrato ammesso per studi associati/STP con procedure formalizzate
– Obbligo di funzione antiriciclaggio per strutture complesse
– Revisione indipendente per strutture con oltre 30 professionisti e 30 collaboratori
Regola Tecnica n. 2
Adeguata verifica della clientela
Verifica dell’identità e del rischio associato al cliente e alla prestazione offerta. – Introduzione di indicatori di rischio aggiornati
– Classificazione delle prestazioni in 4 gradi di rischio (non significativo → molto significativo)
– Estensione casi con misure semplificate
– Non più obbligatoria copia documento titolare effettivo salvo dubbi/incongruenze
Regola Tecnica n. 3
Conservazione dei documenti
Obbligo di conservare in modo sicuro e accessibile la documentazione relativa alle verifiche e alle operazioni effettuate. – Ammessi tutti i formati: cartaceo, digitale, misto
– Obbligo di garantire integrità, leggibilità e reperibilità
– Sistema accentrato per studi associati/STP con procedure interne definite
– Dettagli conservati: incarico, dati cliente, operazioni (data, importo, causale, mezzi di pagamento)

 

 

Il Decreto Legislativo n. 13/2024, in vigore dal 2024, ha introdotto il CPB per i soggetti ISA e i contribuenti in regime forfetario con reddito d’impresa o di lavoro autonomo. L’obiettivo è quello di rafforzare il rapporto di fiducia con l’Amministrazione finanziaria, garantendo certezza sugli importi da versare e incentivando la compliance.

In parallelo, il secondo decreto correttivo della riforma fiscale – attualmente in via di approvazione – prevede sia il differimento al 30 settembre 2025 del termine di adesione al CPB 2025-2026, sia la soppressione del concordato per i contribuenti forfetari a partire da tale biennio.

Con due distinti provvedimenti del 9 e 24 aprile 2025, l’Agenzia delle Entrate ha approvato:

  • il nuovo modello di comunicazione dei dati per i soggetti ISA, necessario all’elaborazione della proposta per il biennio 2025-2026;
  • le specifiche tecniche per l’invio dell’adesione e dell’eventuale revoca del CPB.

Queste misure si collocano nell’ambito della strategia delineata dal MEF, che, attraverso il decreto del 28 aprile 2025, ha varato la Nota Metodologica con i criteri per la formulazione delle proposte di concordato.

Uno dei punti di maggiore interesse riguarda il calcolo dell’acconto 2025 per chi ha aderito al CPB 2024-2025. Ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs. n. 13/2024, gli acconti devono essere calcolati secondo le regole ordinarie, ma tenendo conto dei redditi e del valore della produzione netta (VAP) concordati.

Nel caso in cui si utilizzi il metodo storico, è prevista una maggiorazione del 10% o del 3% qualora vi sia una differenza positiva rispetto al periodo precedente, come stabilito dai commi 1 e 2 dell’art. 20. Tuttavia, questo criterio si applica solo al primo anno di ciascun biennio di concordato.

Pertanto, per il 2025, secondo quanto chiarito nella FAQ del 28 maggio 2025, l’acconto va determinato con riferimento all’imposta dovuta per il 2024, senza considerare il reddito concordato per il 2025. In concreto, il valore di riferimento è il rigo RN34 del modello REDDITI 2025 PF. Ne consegue che non si applica alcuna maggiorazione e, di conseguenza, l’acconto risulterà inferiore, ma il saldo sarà più elevato.

Ulteriore precisazione riguarda la Flat Tax incrementale: ai fini del calcolo dell’acconto, non va inclusa la parte di reddito 2024 che ne è stata oggetto. Questo chiarimento evita distorsioni nel calcolo delle imposte, mantenendo coerenza con i principi della normativa vigente.

Per i nuovi aderenti al CPB 2025-2026, il calcolo dell’acconto IRPEF/IRES/IRAP dovrà invece includere la maggiorazione prevista dall’art. 20, che si applicherà in fase di versamento della seconda rata di novembre 2025.

Un altro nodo interpretativo importante riguarda la cessazione del CPB in seguito al cambio del codice attività. In base all’art. 21 del D.Lgs. n. 13/2024, la modifica dell’attività esercitata nel biennio rispetto al periodo precedente può comportare la perdita del regime, salvo che si applichi lo stesso ISA.

Con l’introduzione della nuova classificazione ATECO 2025, approvata dall’ISTAT, molti contribuenti si sono visti assegnare un nuovo codice attività. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che:

  • il solo cambio di codice non determina la cessazione automatica del CPB;
  • anche l’applicazione di un diverso ISA derivante da modifiche ATECO non causa l’esclusione, se non corrisponde a un mutamento sostanziale dell’attività svolta.

Il principio guida è quindi quello della continuità economica, che prevale sulla mera variazione formale del codice ATECO.

Per maggiori chiarimenti e per assistenza personalizzata il nostro team di professionisti è a vostra disposizione.

 

Tabella riepilogativa dei principali chiarimenti sul CPB 2024-2025
Soggetti coinvolti Contribuenti ISA e forfetari con reddito d’impresa o lavoro autonomo
Periodo di validità Biennio 2024-2025
Calcolo acconto 2025 Metodo storico, basato sull’imposta 2024, senza maggiorazioni
Maggiorazioni applicabili Solo per il primo anno del biennio; non applicabili nel 2025
Trattamento Flat Tax incrementale Reddito soggetto a Flat Tax escluso dal calcolo acconto
Codice attività ATECO 2025 Non causa cessazione se non modifica sostanziale dell’attività
Cambi ISA per aggiornamento ATECO Non causa cessazione se dovuti alla riclassificazione ATECO 2025
Termine adesione CPB 2025-2026 Prorogato al 30 settembre 2025
Soppressione per forfetari Prevista per CPB 2025-2026

 

FAQ

  1. Come si calcola l’acconto IRPEF per chi ha aderito al CPB 2024-2025?

Si utilizza il metodo storico, facendo riferimento all’imposta dovuta per il 2024, senza considerare il reddito concordato per il 2025 e senza applicare maggiorazioni.

  1. La Flat Tax incrementale influisce sul calcolo dell’acconto?
    No, la parte di reddito 2024 soggetta a Flat Tax incrementale non va considerata nel calcolo dell’acconto.
  2. Se cambia il codice ATECO nel 2025, il CPB decade?
    Non necessariamente: il cambio non determina la cessazione se non corrisponde a una variazione sostanziale dell’attività o se continua ad applicarsi lo stesso ISA.
  3. Qual è il termine per aderire al CPB 2025-2026?
    Il termine di adesione è stato differito al 30 settembre 2025.
  4. Chi aderisce per la prima volta al CPB 2025-2026 è soggetto a maggiorazioni?
    Sì, in caso di utilizzo del metodo storico, devono essere applicate le maggiorazioni previste all’art. 20, comma 2, da versare con la seconda rata di novembre.

L’evoluzione normativa in materia di Enti del Terzo Settore (ETS) ha vissuto un momento di svolta con l’introduzione della Legge n. 104/2024, entrata in vigore il 3 agosto dello stesso anno. Questa nuova disposizione ha modificato radicalmente il quadro dei limiti dimensionali per la redazione del bilancio degli ETS, ridefinendo criteri, soglie e obblighi di trasparenza. Il nuovo impianto normativo è stato pensato per riflettere in modo più coerente la realtà operativa degli enti non profit, introducendo una disciplina più attenta alla proporzionalità e alla gestione efficiente delle risorse.

L’obiettivo principale della riforma è duplice: da un lato si intende rafforzare la trasparenza e la coerenza contabile degli enti di dimensioni più strutturate; dall’altro, si cerca di semplificare gli obblighi amministrativi per le organizzazioni di dimensioni minori. L’aggiornamento delle soglie tiene conto delle mutate condizioni operative degli ETS, superando limiti che erano ormai percepiti come troppo stringenti e poco rappresentativi delle effettive capacità economiche.

Uno degli interventi più significativi riguarda l’aumento del limite massimo dei ricavi, proventi o entrate annuali, che passa da 220.000 euro a 300.000 euro. Questo nuovo limite segna il confine oltre il quale gli enti sono obbligati a redigere il bilancio nella sua forma completa. Il cambiamento ha una portata notevole poiché consente agli ETS più piccoli di utilizzare modelli semplificati, risparmiando risorse amministrative e riducendo la complessità della gestione contabile.

La struttura del bilancio degli ETS, come stabilito dal Codice del Terzo Settore (D.Lgs. n. 117/2017), resta fondata su tre componenti essenziali: stato patrimoniale, rendiconto gestionale e relazione sulla missione. Tali strumenti permettono di fotografare in modo trasparente l’andamento economico e gestionale degli enti, offrendo una rappresentazione chiara e coerente delle attività svolte e delle risorse impiegate.

L’impianto normativo introduce inoltre una distinzione tra ETS con personalità giuridica e ETS senza personalità giuridica, prevedendo differenti obblighi contabili in base alla fascia di entrate annue. Per gli enti senza personalità giuridica, esiste una maggiore flessibilità nella fascia tra 60.001 e 300.000 euro, mentre per quelli con personalità giuridica, l’obbligo del bilancio completo si applica già oltre i 60.000 euro.

Le soglie dimensionali vengono così articolate: per entrate fino a 60.000 euro, è previsto l’uso del rendiconto di cassa super-semplificato; tra 60.001 e 300.000 euro, si può optare tra il modello D e il bilancio completo (salvo personalità giuridica); oltre i 300.000 euro, vige l’obbligo del bilancio completo per tutti gli ETS, a prescindere dalla forma giuridica.

L’applicazione dei nuovi limiti non è immediata e indistinta. Secondo quanto chiarito nella Circolare n. 6/2024 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la nuova disciplina si applica a partire dal primo bilancio successivo all’anno in corso alla data di entrata in vigore della Legge. Per gli enti con esercizio coincidente con l’anno solare, ciò significa che i nuovi limiti si applicheranno a partire dal bilancio 2025, da redigere nel 2026. Per gli enti con esercizio non solare, l’applicazione può avvenire già per il bilancio 2024-2025, se quest’ultimo ha avuto inizio dopo il 3 agosto 2024.

La riforma ha importanti ricadute anche sulla governance interna degli ETS, in particolare riguardo alla nomina dell’organo di controllo e dell’eventuale revisore legale. I nuovi limiti dimensionali, infatti, aggiornano automaticamente le soglie previste dagli articoli 30 e 31 del Codice del Terzo Settore. I nuovi parametri sono: 150.000 euro per il totale attivo dello stato patrimoniale, 300.000 euro per ricavi e proventi e 7 unità per il numero medio di dipendenti. L’obbligo di nomina scatta se, per due esercizi consecutivi, l’ente supera almeno due di questi tre limiti.

Va precisato che anche gli enti che avevano già provveduto alla nomina degli organi di controllo in base ai precedenti criteri sono tenuti a mantenere tali incarichi, a meno che non sussista una giusta causa per la revoca, come previsto dall’art. 2400 del Codice Civile. Questo aspetto assicura l’indipendenza degli organi di controllo e tutela la loro funzione da eventuali pressioni interne derivanti da variazioni di bilancio.

Un’ulteriore novità rilevante introdotta dalla Legge n. 104/2024 riguarda il termine per il deposito del bilancio presso il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS). In precedenza, il termine era fissato al 30 giugno, indipendentemente dalla data di chiusura dell’esercizio. Ora, invece, il termine è diventato mobile: il deposito deve avvenire entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio. Ad esempio, per un esercizio chiuso il 31 dicembre 2024, il deposito dovrà essere effettuato entro il 30 giugno 2025.

Per maggiori chiarimenti e per assistenza personalizzata il nostro Studio è a vostra disposizione.

Tabella riepilogativa – Limiti dimensionali e modelli di bilancio ETS (Legge 104/2024)

Fascia di Entrate Annue ETS senza Personalità Giuridica ETS con Personalità Giuridica
Fino a 60.000 € – Rendiconto di cassa super-semplificato
– Modello D
– Bilancio completo (facoltativo)
– Rendiconto di cassa super-semplificato
– Modello D
– Bilancio completo (facoltativo)
60.001 – 300.000 € – Modello D
– Bilancio completo (opzionale)
Obbligo di bilancio completo
Oltre 300.000 € Obbligo di bilancio completo Obbligo di bilancio completo

FAQ – Nuovi limiti per il bilancio degli ETS

  1. Quali sono i nuovi limiti di ricavi per la redazione del bilancio completo degli ETS?
    La Legge 104/2024 ha innalzato il limite massimo di ricavi, proventi o entrate da 220.000 a 300.000 euro. Superata questa soglia, gli Enti del Terzo Settore devono redigere obbligatoriamente il bilancio in forma completa, indipendentemente dalla loro forma giuridica.
  2. Gli ETS con entrate inferiori a 60.000 euro devono presentare un bilancio?
    Sì, ma hanno l’opportunità di utilizzare un rendiconto di cassa super-semplificato, più facile da redigere e conforme alla dimensione delle attività svolte. In alternativa, possono comunque scegliere di adottare il modello D o il bilancio completo, se lo ritengono opportuno.
  3. Da quando si applicano i nuovi limiti previsti dalla Legge 104/2024?
    Le nuove soglie si applicano dal primo esercizio finanziario successivo all’anno in corso al 3 agosto 2024, data di entrata in vigore della legge. Per gli enti con esercizio solare, i nuovi limiti si applicano a partire dal bilancio 2025, da redigere nel 2026.
  4. Cosa cambia per la nomina dell’organo di controllo negli ETS?
    Con l’aggiornamento dei limiti, l’obbligo di nominare un organo di controllo o un revisore legale scatta se l’ETS supera almeno due su tre parametri per due anni consecutivi: attivo patrimoniale oltre 150.000 €, ricavi superiori a 300.000 € e più di 7 dipendenti medi annui.
  5. Entro quanto tempo deve essere depositato il bilancio al RUNTS secondo le nuove regole?
    La nuova scadenza è mobile: il bilancio deve essere depositato entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio. Questa modifica sostituisce il termine fisso del 30 giugno e permette una maggiore coerenza tra l’approvazione e la pubblicazione del bilancio.
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