A partire dal 1° gennaio 2024, con l’introduzione delle modifiche apportate dal Decreto Legislativo n. 209/2023, il quadro normativo è stato significativamente aggiornato per adeguarsi alle esigenze di maggiore chiarezza e uniformità. Questa riforma segue quanto previsto dalla Legge Delega n. 111/2023 e mira a migliorare la gestione dei flussi fiscali internazionali.

Le nuove regole stabiliscono criteri aggiornati per individuare la residenza fiscale delle persone fisiche, tenendo in particolare considerazione la presenza fisica, il domicilio e la residenza nel territorio italiano. Questo approccio multidimensionale consente di rafforzare il controllo sui contribuenti, garantendo una maggiore trasparenza nella tassazione, soprattutto per i soggetti coinvolti in spostamenti transnazionali.

Fino al 31 dicembre 2023, la residenza fiscale in Italia era regolata dall’articolo 2, comma 2, del TUIR, che faceva riferimento a tre criteri alternativi. Una persona fisica si considerava residente se era iscritta all’anagrafe della popolazione residente, se aveva il proprio domicilio in Italia, o se vi risiedeva abitualmente. Questi parametri, mutuati dal Codice Civile, fornivano un quadro di riferimento univoco, ma spesso generavano incertezze interpretative, specialmente nei casi di mobilità internazionale.

Il domicilio, secondo l’articolo 43 del Codice Civile, era definito come il luogo in cui una persona aveva stabilito la sede principale dei propri affari e interessi. La residenza, invece, indicava il luogo della dimora abituale. Questa distinzione, sebbene teoricamente chiara, si scontrava con situazioni pratiche complesse, come i trasferimenti temporanei o le residenze multiple.

Le nuove regole mirano a superare queste ambiguità, introducendo criteri più specifici e meno soggetti a interpretazioni. In particolare, il Decreto Legislativo n. 209/2023 modifica profondamente il concetto di domicilio, conferendogli un significato più allineato alle pratiche internazionali e introducendo nuove modalità per verificare la presenza fisica di un soggetto sul territorio italiano.

Le Novità

Con l’entrata in vigore delle nuove disposizioni, la residenza fiscale si basa ora su un approccio più articolato, che considera sia elementi oggettivi sia situazioni personali e familiari. La principale novità riguarda l’introduzione del criterio della presenza fisica nel territorio italiano, calcolata anche in base alle frazioni di giorno. Questo criterio offre un metodo più concreto per determinare la residenza fiscale, riducendo le aree di incertezza.

Il domicilio è stato ridefinito come il luogo in cui si sviluppano principalmente le relazioni personali e familiari, conferendo una maggiore importanza alla dimensione umana rispetto agli interessi economici. Questo cambiamento segna un allontanamento dalla tradizionale concezione civilistica, avvicinandosi invece a standard utilizzati in ambito internazionale e nelle convenzioni contro le doppie imposizioni.

Infine, l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente, che in precedenza aveva carattere di presunzione assoluta, assume ora una natura relativa. Ciò significa che il contribuente può fornire prove contrarie per dimostrare l’assenza di un effettivo radicamento in Italia, ampliando le possibilità di difesa in casi controversi.

 

 

I Quattro Criteri Alternativi di Residenza Fiscale

La nuova disciplina, in vigore dal 1° gennaio 2024, stabilisce che una persona fisica è considerata residente fiscalmente in Italia se soddisfa uno dei quattro criteri alternativi per la maggior parte del periodo d’imposta, ossia almeno 183 giorni (o 184 in anni bisestili). I criteri sono: residenza, domicilio, presenza fisica e iscrizione all’anagrafe della popolazione residente.

La residenza, secondo il Codice Civile, continua a indicare il luogo della dimora abituale. Questo criterio rimane essenziale, soprattutto per le persone che vivono stabilmente in Italia, ma offre una definizione più concreta rispetto al passato.

Il domicilio, ridefinito dal nuovo articolo 2, comma 2, del TUIR, privilegia il luogo in cui si sviluppano principalmente le relazioni personali e familiari del soggetto. Questa novità pone maggiore enfasi sui legami personali, allineandosi alle prassi internazionali e riducendo l’importanza degli interessi economici nel determinare la residenza.

Un aspetto significativo delle nuove regole riguarda i cittadini italiani che si trasferiscono in Stati a regime fiscale privilegiato. Il comma 2-bis dell’articolo 2, TUIR, non modificato dalla riforma, stabilisce che tali cittadini si considerano residenti in Italia salvo prova contraria. Questo principio si basa sulla presunzione relativa: il contribuente deve dimostrare di aver perso ogni significativo collegamento con l’Italia e di aver stabilito una residenza reale e duratura all’estero.

Dal 1° gennaio 2024, la Svizzera non è più considerata uno Stato a regime fiscale privilegiato, come stabilito dal Decreto MEF del 20 luglio 2023. Questo cambiamento implica che i cittadini trasferitisi in Svizzera potranno beneficiare di un trattamento diverso rispetto agli anni precedenti, purché soddisfino i requisiti di residenza del paese ospitante.

L’iscrizione all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) rimane un elemento chiave, ma non sufficiente, per dimostrare la perdita della residenza fiscale in Italia. Gli italiani all’estero devono fornire prove documentali che attestino l’assenza di rapporti significativi con il territorio italiano, come l’uso di proprietà immobiliari o conti bancari.

Esempi Pratici

Per comprendere meglio l’applicazione dei nuovi criteri, l’Agenzia delle Entrate ha fornito esempi concreti nella Circolare n. 20/2024. Un caso riguarda la presenza fisica frazionata. Una persona che, durante un anno bisestile, trascorre in Italia un totale di 184 giorni, anche non consecutivi, sarà considerata residente fiscale. Questo include soggiorni brevi per vacanze, lavoro o visite familiari.

Un altro esempio riguarda i soggetti che si trasferiscono temporaneamente all’estero ma mantengono legami significativi con l’Italia. Se una persona vive per sei mesi in un altro Stato e torna in Italia per il resto dell’anno, potrebbe comunque essere considerata residente fiscale, a seconda del criterio predominante tra domicilio, residenza o presenza fisica.

Questi esempi dimostrano la complessità delle nuove norme e l’importanza di valutare caso per caso. Il nuovo approccio richiede una documentazione accurata da parte dei contribuenti per dimostrare il soddisfacimento o meno dei criteri di residenza.

Doppie Imposizioni

Le convenzioni contro le doppie imposizioni rappresentano un pilastro fondamentale nel coordinamento della normativa italiana con quella degli altri Stati. Questi accordi internazionali, ispirati al Modello OCSE, prevedono criteri specifici per risolvere conflitti di residenza fiscale. In caso di controversia, le “tie breaker rules” stabiliscono quale Stato abbia diritto a considerare un soggetto residente.

Queste regole seguono un ordine gerarchico: si parte dal criterio dell’abitazione permanente, seguito dal centro degli interessi vitali, dal soggiorno abituale e, infine, dalla nazionalità. Ad esempio, un lavoratore che vive in due Stati diversi durante l’anno sarà considerato residente nel paese in cui ha un’abitazione permanente o dove si concentrano i suoi legami personali e professionali.

In alcune convenzioni, come quelle con Germania, Svizzera e Panama, si applica la clausola dello “split year”, che consente di dividere il periodo d’imposta tra due Stati. Questo approccio è utile per chi trasferisce il domicilio da un paese all’altro durante l’anno fiscale, evitando la doppia tassazione.

 

Smart Working e Residenza Fiscale

L’aumento del lavoro da remoto ha posto nuove sfide nella determinazione della residenza fiscale. Secondo le nuove regole, i lavoratori in smart working che trascorrono la maggior parte dell’anno (183 giorni o più) in Italia sono considerati fiscalmente residenti, indipendentemente dal luogo in cui si trova il datore di lavoro o la sede aziendale.

Questo criterio, basato sulla presenza fisica, risulta particolarmente stringente. Ad esempio, un lavoratore che opera per una società estera ma svolge le sue mansioni da casa in Italia è soggetto alla tassazione sui redditi prodotti a livello globale.

Tuttavia, per i lavoratori che svolgono smart working dall’estero per aziende italiane, la residenza fiscale in Italia potrebbe essere mantenuta se soddisfano uno degli altri criteri, come il domicilio o l’iscrizione all’anagrafe.

 

Regimi Agevolativi per i Trasferimenti in Italia

Il sistema tributario italiano offre diversi regimi agevolativi per incentivare il trasferimento della residenza fiscale nel Paese. Tra questi figurano l’opzione per l’imposta sostitutiva sui redditi esteri (articolo 24-bis del TUIR) e il regime per i pensionati che si stabiliscono nel Mezzogiorno (articolo 24-ter del TUIR).

Una novità introdotta dal D.Lgs. n. 209/2023 è il regime agevolativo per i lavoratori impatriati. Questo incentivo mira ad attrarre professionisti dall’estero, offrendo una tassazione ridotta sui redditi prodotti in Italia. Per accedere a questi benefici, il contribuente deve dimostrare di non essere stato fiscalmente residente in Italia nei tre anni precedenti il trasferimento.

Dal 2024, l’idoneità per questi regimi sarà valutata secondo i nuovi criteri di residenza fiscale. Per i periodi d’imposta antecedenti, invece, si applicheranno le vecchie regole, basate su domicilio e residenza civilistica.

 

Differenze con il Sistema Precedente

Le modifiche introdotte segnano un’importante evoluzione rispetto alla disciplina precedente. La definizione di domicilio si è spostata dal campo economico a quello personale, ponendo maggiore attenzione alle relazioni familiari e sociali. Questo cambiamento allinea il sistema italiano alle best practice internazionali, riducendo il rischio di contenziosi.

Un’altra differenza cruciale riguarda la presunzione di residenza derivante dall’iscrizione all’anagrafe. Se in passato questo criterio era assoluto, ora è relativo, permettendo al contribuente di fornire prove contrarie per dimostrare l’assenza di un radicamento effettivo.

Infine, il nuovo criterio della presenza fisica offre un parametro oggettivo, rendendo più difficile per i contribuenti eludere la residenza fiscale mediante spostamenti frequenti o temporanei.

 

Strumenti per la Risoluzione dei Conflitti di Residenza

I conflitti di residenza tra Stati possono essere risolti mediante le convenzioni internazionali, che offrono una guida chiara per attribuire la residenza fiscale a uno dei due Paesi. Le tie breaker rules rappresentano uno strumento efficace per evitare la doppia tassazione e garantire un trattamento equo.

Ad esempio, un contribuente con legami personali in Italia e lavorativi in un altro Stato può risolvere il conflitto stabilendo quale dei due paesi rappresenta il centro principale dei suoi interessi vitali. In caso di parità, si utilizzerà il criterio della presenza fisica o, in ultima istanza, quello della nazionalità.

La clausola dello split year offre un ulteriore strumento per i soggetti che trasferiscono il domicilio durante l’anno fiscale. Questa regola, applicata in alcune convenzioni, consente di frazionare il periodo d’imposta, attribuendo i redditi ai rispettivi Stati di residenza.

 

FAQ

  1. Quali sono i criteri principali per determinare la residenza fiscale in Italia dal 2024?
    I quattro criteri sono: residenza, domicilio, presenza fisica e iscrizione all’anagrafe della popolazione residente.
  2. Come si dimostra di non essere residenti fiscali in Italia?
    Occorre fornire documenti che attestino l’assenza di legami significativi con l’Italia, come l’iscrizione all’AIRE e la presenza stabile in un altro Stato.
  3. Quali sono i benefici fiscali per chi trasferisce la residenza in Italia?
    Tra i benefici figurano il regime agevolato per i lavoratori impatriati e l’imposta sostitutiva per i redditi esteri.
  4. Cosa cambia per i lavoratori frontalieri con la nuova normativa?
    La presenza fisica frazionata in Italia potrebbe farli rientrare nei criteri di residenza fiscale italiana, richiedendo l’applicazione delle tie breaker rules.
  5. Le Convenzioni contro le doppie imposizioni come influenzano la residenza fiscale?
    Questi accordi risolvono i conflitti di residenza, attribuendo la tassazione al Paese di prevalenza in base a criteri come il centro degli interessi vitali.

Per chiarimenti, assistenza e consulenza personalizzata lo Studio Pallino Commercialisti è a vostra disposizione.

 

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