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La riforma fiscale introdotta nel 2024 ha portato significativi cambiamenti nel panorama normativo italiano, soprattutto in relazione alla determinazione della residenza fiscale delle società e degli enti. Con l’emanazione del Decreto Legislativo n. 209/2023, sono stati ridefiniti i criteri applicabili in materia fiscale, con l’obiettivo di armonizzare il sistema normativo italiano con le prassi internazionali e prevenire conflitti di residenza.

Questi cambiamenti si inseriscono nel quadro della Legge delega per la Riforma Fiscale (Legge n. 111/2023), che ha dato impulso a una revisione complessiva della fiscalità internazionale. La Circolare n. 20/2024 dell’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti operativi, garantendo uniformità di azione tra gli uffici fiscali e contribuendo a delineare un quadro applicativo più chiaro per le aziende.

La normativa precedente si basava su tre criteri distinti e alternativi per determinare la residenza fiscale di una società o ente: la sede legale, la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale. Questa tripartizione consentiva una certa flessibilità, ma non garantiva un’adeguata corrispondenza con la sostanza economica delle attività svolte.

Il D.Lgs. n. 209/2023 ha introdotto un cambiamento significativo, eliminando i riferimenti all’oggetto principale e alla sede dell’amministrazione. Al loro posto sono stati introdotti i concetti di “sede di direzione effettiva” e “gestione ordinaria in via principale”. Questi nuovi criteri mirano a garantire una maggiore coerenza tra la residenza fiscale dichiarata e la reale operatività delle entità.

I nuovi criteri per la determinazione della residenza fiscale

La riforma prevede tre criteri distinti, alternativi tra loro, per determinare la residenza fiscale:

Sede legale: la presenza della sede legale in Italia continua a rappresentare un criterio formale per stabilire la residenza fiscale.

Sede di direzione effettiva: introdotta come criterio sostanziale, si riferisce al luogo in cui vengono prese le decisioni strategiche fondamentali.

Gestione ordinaria in via principale: rappresenta il luogo in cui si svolge la gestione corrente e quotidiana dell’ente o della società.

Questi criteri devono essere soddisfatti per la maggior parte del periodo d’imposta affinché la società o l’ente venga considerato fiscalmente residente in Italia.

La sede di direzione effettiva rappresenta un elemento cardine della nuova normativa. Secondo l’articolo 73, comma 3 del TUIR, essa corrisponde al luogo in cui avviene la “continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”.

L’obiettivo è di adottare un criterio sostanziale che rifletta la reale operatività della società, evitando situazioni di residenza “fittizia”. L’Agenzia delle Entrate, nella Circolare n. 20/2024, sottolinea come la prevalenza della sostanza sulla forma rappresenti un principio fondamentale per prevenire conflitti di residenza con altri Stati.

Le tecnologie digitali svolgono un ruolo cruciale nell’individuazione della sede di direzione effettiva, permettendo di distinguere tra il luogo in cui si svolgono le attività d’impresa e quello in cui vengono prese le decisioni strategiche.

Il criterio della gestione ordinaria in via principale è stato introdotto per ampliare le possibilità di collegamento tra la società e il territorio italiano. Questa nozione, disciplinata dall’articolo 73, comma 3 del TUIR, si riferisce al “continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”.

Secondo i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, tale criterio si riferisce al luogo in cui si svolgono le attività operative quotidiane. I fattori da considerare includono la struttura imprenditoriale, l’attività caratteristica e l’organizzazione aziendale complessiva. Questo approccio consente di identificare la residenza fiscale basandosi su parametri sostanziali, evitando discrepanze tra la localizzazione formale e quella operativa.

Anche per le società di persone, il D.Lgs. n. 209/2023 ha apportato modifiche significative, sostituendo i criteri precedenti con quelli della sede legale, della sede di direzione effettiva e della gestione ordinaria in via principale. Secondo l’articolo 5, comma 3 del TUIR, queste società sono considerate residenti in Italia se soddisfano almeno uno di tali criteri per la maggior parte del periodo d’imposta.

Questa ridefinizione garantisce un approccio coerente con quanto previsto per le società di capitali, favorendo una maggiore uniformità normativa.

La riforma fiscale deve essere coordinata con le disposizioni delle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia. In questo contesto, la nozione di “place of effective management” assume un ruolo centrale per risolvere eventuali conflitti di residenza.

Le convenzioni prevedono che, in caso di conflitto, la residenza sia attribuita allo Stato in cui si trova il luogo di direzione effettiva. Questo approccio si allinea con il principio della sostanza sulla forma, riducendo il rischio di controversie fiscali internazionali.

 

Lo studio Pallino Commercialisti offre assistenza personalizzata per supportare le aziende nell’adeguamento alle nuove disposizioni fiscali e nella gestione delle implicazioni pratiche. Il nostro team di esperti è a vostra disposizione per una consulenza dedicata.

FAQ

Che cosa si intende per sede di direzione effettiva?

La sede di direzione effettiva è il luogo in cui vengono prese le decisioni strategiche fondamentali per la società o l’ente nel suo complesso.

Qual è la differenza tra gestione ordinaria e gestione amministrativa?

La gestione ordinaria si riferisce alle attività operative quotidiane, mentre la gestione amministrativa riguarda aspetti più formali e burocratici.

Cosa succede in caso di conflitti di residenza con paesi esteri?

In caso di conflitti, si fa riferimento al “place of effective management” per risolvere la questione.

Contratti di Locazione ‘A Scaletta’: La Complessità delle Operazioni Permutative tra Conduttore e Locatore

Nel contesto delle locazioni immobiliari, talvolta si fa ricorso a contratti che prevedono canoni chiamati “a scaletta” o comunque di importo variabile. Questo approccio è adottato per tener conto di elementi come, ad esempio, i lavori eseguiti dal conduttore per rendere l’immobile adatto all’attività commerciale prevista. Lo scopo è rimborsare, almeno in parte, al conduttore le spese sostenute per questi lavori di ristrutturazione e/o adeguamento dell’immobile.

Secondo questi contratti, da un lato, il conduttore si impegna a effettuare i lavori di ristrutturazione/adeguamento a sue spese e, dall’altro, ottiene dal locatore il diritto di utilizzare l’immobile per la sua attività economica pagando un canone “ridotto” per un determinato periodo di tempo.

Dal punto di vista dell’IVA e delle imposte indirette, queste prestazioni “incrociate”, che hanno un effetto “compensativo”, sono considerate operazioni permutative ai sensi dell’articolo 11, D.P.R. 633/1972. Questo articolo stabilisce che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in corrispettivo di altre cessioni di beni o prestazioni di servizi, o per estinguere obbligazioni precedenti, sono soggette all’imposta separatamente da quelle per le quali sono effettuate.

L’Agenzia delle Entrate ha confermato questa interpretazione nella risposta ad un interpello (n. 424/2022). In sostanza, se il conduttore sostiene spese per i lavori di ristrutturazione/adeguamento, la riduzione del canone per i primi tre anni rappresenta il corrispettivo per questi lavori. Il conduttore deve emettere una fattura per questa prestazione nei confronti del locatore, quantificando il vantaggio rappresentato dalla riduzione dei canoni di locazione.

Per quanto riguarda il trattamento fiscale, il momento impositivo per entrambe le prestazioni coincide con l’esecuzione della seconda prestazione, ovvero l’ultimazione dei lavori di ristrutturazione. Il conduttore deve emettere la fattura al locatore al momento del ricevimento della fattura per il canone di locazione originariamente pattuito.

Nel caso specifico di questi contratti, è importante considerare attentamente la natura delle spese sostenute dal conduttore. Se queste spese incrementano il valore dell’immobile, dovrebbero essere capitalizzate al valore del bene immobile, contribuendo alla formazione del reddito nei limiti delle quote di ammortamento deducibili, come previsto dall’articolo 102 del TUIR e dai coefficienti del D.M. 31/12/1988.

In sintesi, questi contratti comportano una complessa interazione tra le parti e richiedono una valutazione attenta sia per quanto riguarda l’IVA che le imposte sui redditi.

Per maggiori informazioni su questo argomento o per una consulenza personalizzata  lo Studio Pallino Commercialisti è a vostra disposizione.

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