Con l’inasprimento delle politiche commerciali statunitensi e con l’introduzione dei dazi, le imprese esportatrici verso gli Stati Uniti si trovano oggi di fronte a una sfida importante: contenere i costi senza compromettere la competitività. Esistono diversi strumenti legali e strategie efficaci che permettono alle aziende di ridurre l’impatto delle tariffe doganali.
Una delle soluzioni più efficaci è quella di spostare il “cuore” del prodotto. Non è necessario delocalizzare l’intera produzione per beneficiare di dazi più favorevoli, ma basta dimostrare che la componente essenziale del bene viene realizzata in un Paese con regimi doganali più vantaggiosi. Questa scelta tattica consente alle aziende di accedere a un canale legale che permette di ottenere una classificazione più favorevole per il prodotto, riducendo sensibilmente l’aliquota applicata.
Un altro approccio utile è abbassare legalmente il valore del bene, sfruttando le deducibilità fiscali riconosciute per alcuni costi accessori. Molte spese che concorrono a determinare il prezzo in fattura, ma che non costituiscono realmente il costo del bene, possono essere escluse dalla base imponibile. In pratica, se un prodotto viene venduto a 100 dollari negli USA, grazie a queste deduzioni è possibile ridurre il valore dichiarato in dogana a 80 dollari o anche meno. A quel punto, anche applicando un dazio del 20%, il prezzo finale torna a essere competitivo, riportando semplicemente il costo totale intorno ai 100 dollari iniziali.
La riduzione del valore della fattura può avvenire anche mediante l’ottimizzazione dei contratti di compravendita. In particolare, l’inserimento di una terza parte nella catena produttiva può offrire vantaggi significativi. Se, ad esempio, il contratto di vendita prevede che un intermediario riceva un compenso specifico per la sua attività, questo importo può essere dedotto dal valore complessivo della fattura. In tal modo, si riesce a ridurre ulteriormente l’importo soggetto a tassazione.
Un’opportunità spesso sottovalutata ma molto efficace è rappresentata dai magazzini doganali. Queste strutture si trovano fisicamente all’interno del territorio degli Stati Uniti, ma fiscalmente sono trattate come zone duty free. Finché la merce rimane in deposito in questi magazzini, non viene considerata importata a tutti gli effetti e non è soggetta al pagamento dei dazi. Il versamento delle tariffe doganali avviene solo nel momento in cui la merce viene effettivamente venduta nel mercato americano. Questo consente alle imprese di posticipare l’esborso economico e di gestire meglio la liquidità, evitando di anticipare costi su beni che potrebbero non essere subito immessi sul mercato.
Infine, per quanto più complesse e meno immediate, ci sono anche le vie legali. L’amministrazione Trump ha sfruttato una nuova cornice giuridica che consente di introdurre dazi anche in risposta a emergenze nazionali, come nel caso della crisi degli oppioidi (con riferimento al Fentanyl) o del disavanzo commerciale.
Questo ha permesso di estendere i dazi in modo uniforme a tutti i Paesi, superando i vecchi vincoli che li limitavano solo a determinati Stati o settori. Pur trattandosi di percorsi giuridici intricati e con esiti non garantiti, questa strada resta percorribile per le aziende che vogliono impugnare o negoziare le tariffe imposte, magari all’interno di un contenzioso internazionale o tramite accordi bilaterali.
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